De re rustica

Paul Cezanne, Le fumeur (1895) - Mosca, Museo Puskin
Nel mio personale Pantheon dei tabacchi da pipa sono senza dubbio i Virginia a farla da padroni: chiari, scuri, rossi, curati ad aria o a fuoco, stoved, "lisci" o conditi con un pizzico di Perique sono i tabacchi che costituiscono la spina dorsale di tutto ciò che per me significa fumare la pipa.

Da un paio di annetti - vinte le iniziali diffidenze e trovato un approccio che sembra funzionare - anche le miscele col Latakia hanno trovato un posto nel mio orizzonte e nei fornelli delle mie pipe: un posto forse non ampio quanto quello dei Virginia ma comunque niente affatto trascurabile.

Ancor più di recente - invece - mi sta capitando di fumare con sempre maggior desiderio e soddisfazione i tabacchi appartenenti a un'altra ancora delle categorie in cui di solito si classificano i trinciati da pipa.
La categoria in oggetto è quella dei tabacchi cosiddetti naturali o mediterranei: etichetta che - a voler essere rigorosi - dice tutto e nulla. Se parliamo di naturalezza, alla fin fine è giocoforza ammettere che un prelibato Golden Glow di Samuel Gawith non è in nulla meno naturale di un Semois belga o di uno Scaferlati francese; e anche la denominazione mediterranei è quantomeno problematica se appiccicata a tabacchi fabbricati nelle Ardenne (per non parlare del Landtabak, fabbricato nel Regno Unito e commercializzato in Austria). Ma tant'è: a volte certi abusi di linguaggio si impongono vuoi per mancanza di alternative migliori vuoi perchè al fondo il nome, sia pure fattualmente inappropriato, restituisce un'eco non del tutto estranea alla cosa.

E in effetti i tabacchi di questa famiglia (che comprende cose come i Semois belgi, gli Scaferlati e gli altri bruns francesi, le varie accezioni di Landtabak austriaco, il nostro Trinciato Forte, le spuntature di Toscano che il fumatore italico deve fabbricarsi da sè mentre quello svizzero le trova già pronte, e via via enumerando) hanno forse di problematico solo il nome che collettivamente li identifica.

Per il resto sono forse i tabacchi più concettualmente (se non altro) naturali, più francescanamente semplici che si possano immaginare: privi dell'eterea gamma di dolcezze dei Virginia, privi del complesso interplay delle miscele inglesi, privi più che mai delle suggestioni (e degli inganni) degli aromatizzati,  sono tabacchi accomunati all'ingrosso da un aroma (sia a crudo che durante la fumata) robusto, spesso pungente; da un gusto altrettanto deciso, con prevalenza di note terrose e tostate; da un'evoluzione spesso poco pronunciata (fatta forse eccezione per certi Semois) e da una spinta nicotinica decisamente da non sottovalutare.
Quest'ultimo aspetto fa sì che diversi fumatori anzichè in radica li gustino usando pipe di schiuma o (forse in maniera filologicamente più corretta) pipe di terracotta o di mais.
Data la relativa povertà in zuccheri delle varietà di tabacco utilizzate sono referenze che vale la pena accumulare solo a fini di stoccaggio, senza potersi né doversi aspettare variazioni significative nel gusto col passare del tempo.
Inoltre il taglio sottile e la relativa secchezza fanno sì che brucino praticamente da soli, tanto che spesso vanno caricati più pressati di come si è abituati a fare pena una combustione troppo rapida e a temperature troppo alte. Queste stesse caratteristiche di taglio e di (poca) umidità fanno sì che possano essere maggiormente apprezzati in pipe dai fornelli capienti, nelle quali il tabacco abbia agio di raccontare le sue storie.

Sì, perchè questi sono tabacchi che più di altri hanno un'attitudine che non saprei come altro definire se non come narrativa. Raccontano storie spesso a sfondo agreste: le storie della verghiana Vita dei campi o delle Veglie alla fattoria di Dikan'ka di Gogol. Non necessariamente sempre liete: ma sempre raccontante con un ritmo placido, lento, patriarcale. Un ritmo che rassicura, che culla. Se il fumare la pipa è già in sé stesso un tirarsi fuori dalle frenesie e dai rumori quotidiani, fumare questi tabacchi è un recedere al quadrato.

Forse per questo sono tabacchi dai quali, se appena si riesce ad andare al di là di un'apparenza magari scorbutica e (usando un bellissimo termine caro a Guareschi) malgarbata, è possibile davvero trarre conforto.
E forse per questo li si apprezza di più via via che il tempo passa: come se per un'esperienza davvero completa l'affinamento dovesse avvenire non nel tabacco, ma in chi lo fuma.






Commenti

  1. Ma mille grazie per questo tuo elogio del 'naturale'! Che mi trova in tutto d'accordo.

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