Larghetto

E un altro anno è passato. Il pensiero corre a tutto ciò che l'anno scorso non c'era e adesso c'è; e ovviamente a tutto ciò che adesso manca e l'anno scorso c'era. E' sempre complicato tirare queste somme algebriche, stabilire da che parte pende la bilancia. Ma esaminando la contabilità da lontano e all'ingrosso (ossia al contrario di come si dovrebbe fare) il bilancio mi sembra nel complesso positivo, e mi accontento così.

Di questa stagione che ormai può essere definita di mezzo solo facendo ricorso a una robusta dose di ottimismo, apprezzo quello che con un ossimoro definirei il partecipe distacco attraverso il quale appaiono buona parte delle vicende della vita; e l'impulso dei venti e trent'anni che non è ancora tanto lontano da non riuscire di quando in quando a dare l'illusione che ci si possa ancora far conto.

Una cosa interessante di cui mi sto accorgendo in maniera sempre più evidente man mano che il tempo passa è che la musica di Mozart è una specie di contrazione, in senso metrico, dell'esistenza umana: cioè che dai venticinque anni scarsi durante i quali essa si è originata è possibile trarre gioia, conforto e ispirazione per intervalli temporali anche più estesi, anche (sperabilmente) parecchio più lunghi, con una vicinanza istintiva a questo o quel momento che varia con lo scorrere del tempo. E nello stesso tempo, con un paradosso che è tipicamente mozartiano, mi rendo conto che il continuare a trovare nuovi motivi di interesse e vicinanza esclude a priori che questa musica si possa sperare di poterla capire fino in fondo, in maniera compiuta e definitiva.

Non ricordo con esattezza quando mi capitò di ascoltare per la prima volta il concerto n. 27 per pianoforte e orchestra. L'asse dei tempi doveva essere da qualche parte fra i quattordici e i sedici anni.  Ho un vago ricordo che doveva trattarsi di un'esecuzione trasmessa alla radio dall'auditorium Rai di Napoli; e forse la solista doveva essere Maria Tipo. E' da allora che questo concerto mi tiene compagnia in maniera costante: ma mi sembra che solo adesso, in questa stagione dell'esistenza, io sia in grado di capire in maniera autentica certe penombre, certi mezzitoni, finanche certe pause. Capirli, voglio dire, nel senso di sentirli propri, nel senso di riuscire a trovare delle corrispondenze nell'esperienza, capirli al di là degli abbacinanti valori formali ed estetici.

Ed è attraverso questo prisma iridescente che oggi proverò a ripensare a fatti, avvenimenti, gioie e dolori: nella speranza di riuscire a far combaciare qualche pezzettino in più di questo gioco a incastro così stranamente, incomprensibilmente bello.


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