Vent'anni dopo

Quella che vedete qui a fianco è l'ultima pagina del mio vecchio passaporto.
Il timbro in alto a sinistra certifica con burocratica inequivocabilità il mio primo ingresso in Polonia: 22 dicembre 1996, esattamente vent'anni or sono.
Quella giornata segnò contemporaneamente il mio primo volo, il mio primo viaggio all'estero, il mio primo incontro diretto con la Polonia: se dico che quelle emozioni le sento ancora vive e palpitanti dentro di me credo che non farete fatica a credermi.

La prima cosa che (quasi materialmente) mi colpì della Polonia fu il freddo: fino a quel momento il posto più a nord in cui mi era capitato di vivere era Roma, e l'inverno del 1996 fu molto rigido anche per gli standard polacchi. Ricordo la sciabolata gelida che mi investì in piena faccia appena varcata la soglia dell'aeroporto; e la certezza assoluta maturata durante i dieci minuti di attesa alla fermata dell'autobus che le orecchie (improvvidamente lasciate scoperte dal cappello che mi ero portato dietro) mi si sarebbero staccate dalla testa non appena si fossero scongelate.
Ma poi una volta acclimatato (si fa per dire) trascorsi diversi giorni passando da stupore a stupore: tutto era nuovo per me, tutto era diverso. Dall'atmosfera ancora da piena Repubblica Popolare della stazione ferroviaria di Łódź Fabryczna (ma un po' di tutta la Łódź dell'epoca: sono uno degli ultimi a poter ancora dire di essere vissuto dentro un film di Kieślowski), all'odore del fumo del carbone usato per riscaldare case e negozi, all'incomprensibile brusio che per me all'epoca era il polacco, ai mandarini con l'etichetta "Morocco" mi sentivo davvero catapultato su un altro pianeta.

Łódź Fabryczna, com'era

Il freddo, certo. Ma anche - innegabile e speculare - il calore. Il calore fisico delle case, sconosciuto a me che venivo da un posto in cui il riscaldamento era poco più di un optional, spesso sostituito da un maglione più pesante. E ovviamente il calore della presenza di Justyna accanto a me, e il calore con cui mi accolse quella che era la sua e doveva diventare anche la mia famiglia: come dimenticare il "buongiorno!" con cui mi salutavano (talvolta anche di pomeriggio o di sera) i bambini di casa?

 Łódź Fabryczna, com'è
In questi vent'anni tante cose sono cambiate, come icasticamente dimostrano le due immagini di Łódź Fabryczna che vedete qui a fianco. E' cambiata la Polonia, prima di tutto, che in un paio di decenni si è trasformata economicamente, socialmente e culturalmente in una misura che lascia sbigottiti; e lo ha fatto senza rinunciare a un briciolo della propria anima e della propria specificità.
Sono cambiato io, che ho imparato ad apprezzare questa terra, la sua cultura, la sua storia. E a furia di camminare per le strade delle sue città e per i sentieri della sua campagna ho finito per interiorizzare il suo paesaggio e la sua luce.
E sono cambiati i bambini di vent'anni fa, che adesso sono dei giovani uomini, e uno di quelli che vent'anni fa si divertiva a dirmi "buongiorno" qualche mese fa si è sposato.

Ma altre cose - per fortuna - non sono cambiate, o almeno non sono cambiate ancora: questa casa da cui scrivo, che mi accoglie oggi come vent'anni fa; il modo febbrile e lieto con cui i polacchi aspettano il Natale; e soprattutto questo cielo che è bello quando è azzurro, quando è grigio e quando è bianco: questo cielo che sembra non finire mai, che forse davvero non finisce mai.

La luce, una cosa che non è cambiata e che sperabilmente non cambierà mai.




22 dicembre 2016, pronti per i prossimi vent'anni.




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