Cheek to cheek - McClelland Stave-Aged 35
Heaven, I'm in heaven
And the cares that hung around me through the week
Seem to vanish like a gambler's lucky streak...
Irving Berlin, Cheek to cheek (1935)
"E così abbiamo pensato: cosa possiamo fare di veramente creativo per celebrare il trentacinquesimo anniversario della McClelland Tobacco Company? E ci siamo detti: festeggiamo con un grande classico americano, il Bourbon; ma invece di stagionare il tabacco nelle botti, stagioniamo le botti nel tabacco. C'è un pezzo di botte in rovere bianco da Kentucky Bourbon in ogni latta, che conferisce i suoi sottili aromi e sapori di whiskey e regala alla miscela un carattere morbido e avvolgente."
Succede col tabacco ma anche con altri generi merceologici: di solito quanto più altisonanti sono i proclami che si trovano sulle confezioni tanto più modesto è il contenuto e tanto più cocente la delusione del fiducioso compratore. I tabaccacci da busta sono pieni di promesse di Nirvana; cosa scrivono invece Samuel Gawith, Gawith&Hoggarth, Charles Rattray e tanti altri produttori di tabacco davvero premium sulle loro confezioni, a parte il nome dello specifico? Nulla. E a ragion veduta: con quali parole si potrebbero rendere le sensazioni che si provano accostando il fuoco a una pipa riempita che so di Golden Glow?
Ma perbacco, McClelland è pur sempre McClelland: quella dei Matured Virginia, dei Grand Orientals, del Christmas Cheer. E poi in fondo so' americani, un po' di enfasi forse gliela si può concedere.
Queste le riflessioni che alla fine mi hanno spinto qualche mesetto fa ad abbandonare le diffidenze e a comprare una confezione del tabacco che vedete in foto: lo Stave-Aged 35 Virginia Ribbon.
Per un po' di tempo la latta ha occhieggiato sullo scaffale in attesa del suo momento; nel frattempo spulciando in rete su quello che si trovava a riguardo, mi sono imbattuto in questa pagina che ne raccontava la genesi e il processo che ha portato alla ricetta definitiva: decisamente sembrava che non fosse solo fuffa da marketing.
E così è arrivato il fatidico momento dell'apertura della tin. Credo che pochi tabacchi possano vantare un simile "effetto ooooh!" fin dal primo impatto: fra il colore, un tripudio di gialli, ocra e marroni veramente intrigante, il profumo marcatissimo di whiskey, il cubotto di legno (quello su cui è appoggiata la pipa nella foto), tutto contribuisce a dare la sensazione di un prodotto fuori dall'ordinario.
Sgombriamo subito il campo da un potenziale equivoco: il tabacco non è in alcun modo conciato. L'aroma e il profumo così particolari non sono l'effetto di bagni, fermentazioni e macerazioni in chissà che esoterici infusi, ma il semplice (si fa per dire) risultato della vicinanza fisica fra tabacco e pezzo di botte. A riprova di questa affermazione, una volta terminata (o per usare un termine più corretto: evaporata) la prima latta, ho messo il pezzo di legno in un Bormioli che ospitava un etto abbondante di Full Virginia Flake ottenendo dopo una ventina di giorni un delizioso FVF "barricato" che mi sentirei di consigliare agli amanti delle sperimentazioni.
- "Sì, ma alla fin fine com'è questo tabacco?" starà chiedendosi con giustificata impazienza il lettore. Beh, lettore, rassicurati pure: è buonissimo. Il profumo e l'aroma del Bourbon sono in costante dialogo con il melange di dolcissimi Virginia sottostanti, e in questo duettare risiede forse il segreto di questa miscela. La bontà dello Stave-Aged è una bontà golosa, la bontà gratificante di un barattolo di Nutella mangiato a cucchiaiate.
E' un tabacco che mentre lo si fuma regala momenti di autentica gioia del palato, aiutato anche da una combustibilità praticamente ideale. Non è neanche particolarmente esigente in termini di dimensioni, geometria del fornello, storia precedente delle pipe in cui lo si infila: si carica, si accende, si fuma. Sans souci.
Lo Stave-Aged non possiede la cangiante, rarefatta sofisticazione à-la Keith Jarrett Trio di certi Virginia puri; e neanche il sound corposo, ellingtoniano delle EM più riuscite. A me ha richiamato alla mente i meravigliosi duetti di Ella&Louis: non è forse il jazz più sperimentale e di ricerca che si sia mai sentito, ma fin quando la puntina del giradischi legge quei solchi è difficile anche soltanto immaginare che al mondo ci possa essere qualcosa di meglio.
E non è del tutto escluso che, a latta finita e mentre si sperimentano altre declinazioni e nuove sfaccettature dell'universo tabagico, ogni tanto si ripensi con soddisfazione e una punta neanche spiacevole di nostalgia a quelle voci intente a duettare.
Cheek to cheek.
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