Tout Maigret (peut-être), 5 - Una testa in gioco
(da ferencpinter.it) |
E soprattutto la testa potrebbe essere non tanto una testa fisica quanto una mente. E in particolare la mente di Jean Radek, il cecoslovacco dai capelli rossi che costituirà non solo un avversario per Maigret ma soprattutto un deuteragonista memorabile, uno dei pochi cui Simenon concederà tanto spazio e delineerà con tanta potenza.
Se infatti (come mi era già capitato di dire) i Maigret sono classificabili in un continuum fra quelli che potremmo definire romanzi della vittima e quelli che invece sono romanzi del carnefice, questo è decisamente un romanzo del carnefice. La figura di Radek, tragicamente solitaria, divorata al tempo stesso dall'intelligenza e dalla malattia, è indagata con un livello di dettaglio e una potenza evocativa da far venire in mente l'Ivan dei Fratelli Karamazov; e paralleli assai suggestivi potrebbero farsi anche con un libro che (circostanza incredibile) non era ancora uscito al momento della stesura di questo romanzo: sto parlando dello Straniero di Camus, che sarebbe apparso solo una decina d'anni dopo.
Come il Meursault di Camus, il Radek di Simenon giunge al delitto non per necessità o interesse, nè perchè soccombe a qualche passione: vi giunge come risultato, come conseguenza di una integrale alienazione dai propri simili; la prima cosa che sappiamo di Meursault è che gli è morta la madre, e sarà la morte della madre di Radek a fargli abbandonare l'università e a fargli iniziare quell'esistenza insensata che lo condurrà a uccidere; e al modo in cui Radek immagina e poi vive la propria esecuzione, si attagliano in maniera perfetta le ultime righe del capolavoro di Camus:
[...]Pour que tout soit consommé, pour que je me sente moins seul, il me restait à souhaiter qu'il y ait beaucoup de spectateurs le jour de mon exécution et qu'ils m'accueillent avec des cris de haine.
Altro aspetto rimarchevole di questo romanzo è la tensione, il contrasto, fra la nevroticità ossessiva di Radek (ma anche - sia pure in maniera attenuata - dei raffinati bar parigini in cui si svolge buona parte della trama) e il blocco di compatto granito rappresentato da Maigret. Che alla fine vince semplicemente adottando la strategia dello scoglio che immoto resta / contra i venti e la tempesta.
Ma questo scontro di caratteri, di personalità, di modi di concepire l'esistenza non si svolge in un contesto asettico: pochi romanzi del ciclo sono tanto permeati da un'autentica pietas per i deboli, per le vittime: da Heurtin, il ragazzotto quasi sul punto di pagare con la propria vita l'essere entrato nel campo visivo di Radek alla mendicante che canta per strada in una delle scene più toccanti del libro, tutti i vinti del libro sono tratteggiati con calore e commozione.
Un romanzo che non sfigurerebbe nei romans-durs, questo quinto capitolo maigrettiano, di una ricchezza di contenuti e atmosfere davvero memorabile (come si fa dimenticare la scena di Maigret che avvolto nel suo cappotto nero e fumando beatamente la pipa trascorre un'ora in taxi mentre fuori piove?). Da leggere e - soprattutto - da rileggere.
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