Soave sia il vento
Cosa fa un ragazzo di sedici-diciassette anni appassionato di musica che vive nell'epoca pre-internet e pre-Youtube e per il quale l'acquisto di dischi è una rara e felice eccezione e non la regola?
Risposta: accende la radio e la sintonizza su Radiotre.
E ogni settimana si procura in edicola il mitico "Radiocorriere TV" che gli dà un panorama dettagliato di tutta la programmazione musicale della settimana.
E di tanto in tanto compra qualche musicassetta vergine su cui registrare cose che lo interessano particolarmente.
Non so se sia ancora così; ma trent'anni fa durante i mesi di luglio e agosto Radiotre mandava in onda buona parte della programmazione del Festival di Salisburgo.
Ricordo il collegamento con la radio austriaca, una sigla nella quale c'era un carillon seguito da una fanfara e poi la voce del presentatore (nel cui discorso riuscivo a ca(r)pire solo le parole "Salzburger Festspiele") che veniva coperta dalla voce del cronista italiano.
Fu attraverso quelle benemerite trasmissioni che avvenne il mio primo contatto con molte opere mozartiane, e la fortuna volle che quelli fossero proprio gli anni delle memorabili esecuzioni di Riccardo Muti, sicchè fui introdotto a questa musica meravigliosa attraverso un'autentica porta d'oro.
Così fan tutte - ad esempio - la conobbi esattamente in questo modo. Ed è una musica che da allora non ha mai smesso di farmi compagnia.
Dire che intorno al 1983 o 1984 fossi in grado di cogliere appieno l'ampiezza, la profondità e la portata del messaggio mozartiano sarebbe ovviamente un'assurda esagerazione e probabilmente dirlo oggi è soltanto un po' meno esagerato; ma insomma, qualcosa in più in questi trent'anni penso di averla capita.
Quello che mi colpì fin da subito fu il tono da opera buffa, senz'altro il più marcato nella produzione operistica del Mozart maturo, tono che senz'altro è favorito da un libretto e da una trama in cui scambi di persona, travestimenti, intrighi e inganni costituiscono un asse portante della narrazione. Ma è favorito anche da una storia e dei personaggi decisamente meno appassionati di quanto succedeva nei precedenti capitoli della trilogia di Da Ponte, ma anche nel Ratto (per tacere - ovviamente - di Idomeneo). Lontana dal febbrile erompere, dal vorticoso brulicare dell'eros delle Nozze, lontana dagli abissi di amore e morte del Don Giovanni, la "sceneggiatura" di Così fan tutte ci parla invece di dominio, di controllo delle passioni da parte della ragione.
E questa impronta ironica, razionalistica, da autentico secolo dei Lumi, la riscontriamo anche nel vertiginoso gioco di simmetrie, ribaltamenti e corrispondenze che rimbalza fra il libretto e la musica: sei personaggi, scomponibili in tre uomini e tre donne; ma anche in tre coppie, due delle quali destinate a cambiare composizione nel corso dell'opera; la serva che manipola le padrone, il vecchio che manipola i giovani; e sopra tutto ovviamente lo scomporsi e il ricomporsi delle coppie di fidanzati, in un equilibrio talmente fragile che la riconciliazione finale rimane fatalmente ambigua: Dorabella ritornerà con Ferrando o già che c'è si accorgerà di preferire Guglielmo, "che più lepido le par"? E cosa farà Fiordiligi, scossa nella sua fermezza di "scoglio immoto"?
Su queste basi, non è difficile rendersi ragione del carattere di spensierata allegria, quasi di frivolezza che permea di sè molte pagine della musica di questo lavoro, carattere che è possibile cogliere già nella deliziosa petulanza delle frasi dell'oboe nell'ouverture e che si riscontra lungo tutta l'opera, dalla musica delle arie per Despina allo scatenato finale primo.
Tutte queste cose mi furono chiare più o meno da subito. Per coglierne altre però mi ci sono voluti tempo, ascolti, esperienze: mi ci è voluto che la vita facesse il suo corso.
Per esempio: il significato di certe pagine dall'afflato francamente religioso. Una delle intuizioni critiche più geniali contenute in quell'aureo libretto che è la Lettura delle Nozze di Figaro di Massimo Mila è l'idea che - fatta eccezione per alcune vette supreme quali il Requiem o la Messa in do minore - gran parte dei momenti di tangenza di Mozart con la sfera del sacro sono contenuti in lavori profani. E in particolare, nelle opere, laddove la situazione si confronta con concetto della felicità: la felicità che si è perduta, o ritrovata, o che si chiede, o che si spera.
Mila si riferiva ovviamente alla scena ultima della Nozze con la richiesta di perdono da parte del Conte, ma l'idea si può estendere anche a Così fan tutte: quale Crucifixus mozartiano regge il confronto col quintetto Di scrivermi ogni giorno? Quale Benedictus con Soave sia il vento? Quale meditazione può essere messa a paragone col canone E nel tuo, nel mio bicchiero che all'improvviso blocca il frastuono della festa nel finale II? Felicità perduta, felicità che si spera, felicità che si crede raggiunta.
Ma soprattutto mi ci è voluto tempo per intendere la portata dell'ironia mozartiana. In quest'opera infatti sembra che il compositore guardi i suoi personaggi con uno sguardo leggermente dall'alto, privo della partecipazione affettuosa di cui erano gratificati i protagonisti delle Nozze o del Ratto. Ma approfondendo meglio appare secondo me evidente che l'ironia di Mozart non è quella del burattinaio che muove i fili dei suoi pupazzi di legno e che non crede alle loro vicende. Non è l'ironia con cui (teatro nel teatro!) Don Alfonso commenta le lacrime e gli strepiti degli innamorati delusi.
E' solo che le ragazze, i loro spasimanti, Despina, lo stesso Don Alfonso sono alla fine metafore della vita umana. E in fondo è la vita stessa che non va presa troppo sul serio.
Lo dice magnificamente Strehler negli appunti di regia sull'allestimento di Così fan tutte stesi alla fine del 1997, le ultime cose che ha scritto: "Fedeltà, amore eterno… Un sogno, un sogno, tutti l’hanno imparato, tutti lo sanno. Ma la vita non è sogno, la vita è un’altra cosa. Noi uomini siamo effimeri come i nostri sentimenti… C’è tutto questo mentre cantate, al di là della parole. È questa la morale enorme che Mozart ci lascia. Su così bravi, tu coprila un po’ (dice a Gugliemo) perché lei è un po’ svestita. Su abbracciatevi, ridete con un po’ di tristezza magari… la vita è questo, cosa credete?"
Sono ormai due terzi abbondanti della mia esistenza che trascorro insieme a questa musica, e a tutta la musica di Mozart. Eppure (e per fortuna) ho la sensazione che ci sia ancora un'enormità di cose da capire, di segreti da svelare. La sensazione che - come cantava il grande Frank - the best is yet to come.
Risposta: accende la radio e la sintonizza su Radiotre.
E ogni settimana si procura in edicola il mitico "Radiocorriere TV" che gli dà un panorama dettagliato di tutta la programmazione musicale della settimana.
E di tanto in tanto compra qualche musicassetta vergine su cui registrare cose che lo interessano particolarmente.
Non so se sia ancora così; ma trent'anni fa durante i mesi di luglio e agosto Radiotre mandava in onda buona parte della programmazione del Festival di Salisburgo.
Ricordo il collegamento con la radio austriaca, una sigla nella quale c'era un carillon seguito da una fanfara e poi la voce del presentatore (nel cui discorso riuscivo a ca(r)pire solo le parole "Salzburger Festspiele") che veniva coperta dalla voce del cronista italiano.
Fu attraverso quelle benemerite trasmissioni che avvenne il mio primo contatto con molte opere mozartiane, e la fortuna volle che quelli fossero proprio gli anni delle memorabili esecuzioni di Riccardo Muti, sicchè fui introdotto a questa musica meravigliosa attraverso un'autentica porta d'oro.
Così fan tutte - ad esempio - la conobbi esattamente in questo modo. Ed è una musica che da allora non ha mai smesso di farmi compagnia.
Dire che intorno al 1983 o 1984 fossi in grado di cogliere appieno l'ampiezza, la profondità e la portata del messaggio mozartiano sarebbe ovviamente un'assurda esagerazione e probabilmente dirlo oggi è soltanto un po' meno esagerato; ma insomma, qualcosa in più in questi trent'anni penso di averla capita.
Quello che mi colpì fin da subito fu il tono da opera buffa, senz'altro il più marcato nella produzione operistica del Mozart maturo, tono che senz'altro è favorito da un libretto e da una trama in cui scambi di persona, travestimenti, intrighi e inganni costituiscono un asse portante della narrazione. Ma è favorito anche da una storia e dei personaggi decisamente meno appassionati di quanto succedeva nei precedenti capitoli della trilogia di Da Ponte, ma anche nel Ratto (per tacere - ovviamente - di Idomeneo). Lontana dal febbrile erompere, dal vorticoso brulicare dell'eros delle Nozze, lontana dagli abissi di amore e morte del Don Giovanni, la "sceneggiatura" di Così fan tutte ci parla invece di dominio, di controllo delle passioni da parte della ragione.
E questa impronta ironica, razionalistica, da autentico secolo dei Lumi, la riscontriamo anche nel vertiginoso gioco di simmetrie, ribaltamenti e corrispondenze che rimbalza fra il libretto e la musica: sei personaggi, scomponibili in tre uomini e tre donne; ma anche in tre coppie, due delle quali destinate a cambiare composizione nel corso dell'opera; la serva che manipola le padrone, il vecchio che manipola i giovani; e sopra tutto ovviamente lo scomporsi e il ricomporsi delle coppie di fidanzati, in un equilibrio talmente fragile che la riconciliazione finale rimane fatalmente ambigua: Dorabella ritornerà con Ferrando o già che c'è si accorgerà di preferire Guglielmo, "che più lepido le par"? E cosa farà Fiordiligi, scossa nella sua fermezza di "scoglio immoto"?
Su queste basi, non è difficile rendersi ragione del carattere di spensierata allegria, quasi di frivolezza che permea di sè molte pagine della musica di questo lavoro, carattere che è possibile cogliere già nella deliziosa petulanza delle frasi dell'oboe nell'ouverture e che si riscontra lungo tutta l'opera, dalla musica delle arie per Despina allo scatenato finale primo.
Tutte queste cose mi furono chiare più o meno da subito. Per coglierne altre però mi ci sono voluti tempo, ascolti, esperienze: mi ci è voluto che la vita facesse il suo corso.
Per esempio: il significato di certe pagine dall'afflato francamente religioso. Una delle intuizioni critiche più geniali contenute in quell'aureo libretto che è la Lettura delle Nozze di Figaro di Massimo Mila è l'idea che - fatta eccezione per alcune vette supreme quali il Requiem o la Messa in do minore - gran parte dei momenti di tangenza di Mozart con la sfera del sacro sono contenuti in lavori profani. E in particolare, nelle opere, laddove la situazione si confronta con concetto della felicità: la felicità che si è perduta, o ritrovata, o che si chiede, o che si spera.
Mila si riferiva ovviamente alla scena ultima della Nozze con la richiesta di perdono da parte del Conte, ma l'idea si può estendere anche a Così fan tutte: quale Crucifixus mozartiano regge il confronto col quintetto Di scrivermi ogni giorno? Quale Benedictus con Soave sia il vento? Quale meditazione può essere messa a paragone col canone E nel tuo, nel mio bicchiero che all'improvviso blocca il frastuono della festa nel finale II? Felicità perduta, felicità che si spera, felicità che si crede raggiunta.
Ma soprattutto mi ci è voluto tempo per intendere la portata dell'ironia mozartiana. In quest'opera infatti sembra che il compositore guardi i suoi personaggi con uno sguardo leggermente dall'alto, privo della partecipazione affettuosa di cui erano gratificati i protagonisti delle Nozze o del Ratto. Ma approfondendo meglio appare secondo me evidente che l'ironia di Mozart non è quella del burattinaio che muove i fili dei suoi pupazzi di legno e che non crede alle loro vicende. Non è l'ironia con cui (teatro nel teatro!) Don Alfonso commenta le lacrime e gli strepiti degli innamorati delusi.
E' solo che le ragazze, i loro spasimanti, Despina, lo stesso Don Alfonso sono alla fine metafore della vita umana. E in fondo è la vita stessa che non va presa troppo sul serio.
Lo dice magnificamente Strehler negli appunti di regia sull'allestimento di Così fan tutte stesi alla fine del 1997, le ultime cose che ha scritto: "Fedeltà, amore eterno… Un sogno, un sogno, tutti l’hanno imparato, tutti lo sanno. Ma la vita non è sogno, la vita è un’altra cosa. Noi uomini siamo effimeri come i nostri sentimenti… C’è tutto questo mentre cantate, al di là della parole. È questa la morale enorme che Mozart ci lascia. Su così bravi, tu coprila un po’ (dice a Gugliemo) perché lei è un po’ svestita. Su abbracciatevi, ridete con un po’ di tristezza magari… la vita è questo, cosa credete?"
Sono ormai due terzi abbondanti della mia esistenza che trascorro insieme a questa musica, e a tutta la musica di Mozart. Eppure (e per fortuna) ho la sensazione che ci sia ancora un'enormità di cose da capire, di segreti da svelare. La sensazione che - come cantava il grande Frank - the best is yet to come.
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