tag:blogger.com,1999:blog-76020745211521304782024-03-13T17:36:45.530+01:00il diario di un pigro"potrebbe fare di più ma non si applica"gmrobertohttp://www.blogger.com/profile/07424458071749974883noreply@blogger.comBlogger104125tag:blogger.com,1999:blog-7602074521152130478.post-65978952295350164542022-07-25T11:05:00.006+02:002022-07-29T17:14:42.718+02:00The Massa Lubrense Variations<p> </p><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEj5kvJSUKFJXmQ5iunjGg2XyBMPAWjl4ikXQcMe5_AqzccTCEWDAJBNwJbny0AH3W7pUTE1FvMG3t66bjKEjz6B9kMDUKWo4p3CvX-YY1O7hFEZN4Tk4jbBQ1D1H_e4ILoqgfzmbqc80Bg5BODO3cr_mKjE3j3NqOgK1lHmqGvbWQ2r5wR9ZIFmWrEU" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img alt="" data-original-height="675" data-original-width="1200" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/a/AVvXsEj5kvJSUKFJXmQ5iunjGg2XyBMPAWjl4ikXQcMe5_AqzccTCEWDAJBNwJbny0AH3W7pUTE1FvMG3t66bjKEjz6B9kMDUKWo4p3CvX-YY1O7hFEZN4Tk4jbBQ1D1H_e4ILoqgfzmbqc80Bg5BODO3cr_mKjE3j3NqOgK1lHmqGvbWQ2r5wR9ZIFmWrEU=w400-h225" width="400" /></a></div>E' di qualche giorno fa il putiferio social-mediatico generato da una frase di Concita De Gregorio che, parlando di Draghi, ha usato la similitudine: "<i>Aveva il tono di uno che, titolare di cattedra ad Harvard, è stato incaricato di una supplenza all'alberghiero di Massa Lubrense</i>". <p></p><p>A me onestamente il paragone è abbastanza piaciuto perché l'ho trovato ficcante come ogni paragone ben riuscito dovrebbe essere, ma non voglio entrare nel merito delle polemiche. </p><p>Anzi, proprio nello spirito del parallelo istituito dalla De Gregorio, mi sono divertito a immaginare altri accostamenti altrettanto divisivi che metto a disposizione dei miei venticinque lettori a testimonianza dei bizzarri effetti del caldo sugli anziani. </p><p><br /></p><p>1. "Accolse la notizia con l'espressione di uno che abituato a camminare per i villaggi del Canton Grigioni si trova bloccato nel traffico fra Scafati e Sarno".</p><p>2. "Affrontò quella situazione con l'aria di uno che appena sceso dall'Orient Express si deve fare Castelcisterna - Botteghelle sulla Circumvesuviana".</p><p>3. "Mangiava con la faccia che deve avere uno che abituato a cenare da Cracco deve scofanarsi un panino dal furgone di Rafele 'o 'nzevuso sulla 7 bis".</p><p>4."Il nuovo incarico ebbe su di lui l'effetto che potrebbe fare a un tenore che la stagione precedente si era esibito alla Scala la proposta di cantare l'alzata del Giglio della Gioventù a Brusciano".</p><p>5. "Guardava quello spettacolo con l'aria di uno che per anni ha assistito al Carnevale di Rio portato a vedere le quadriglie a Palma Campania".</p><p>6. “Il suo sgomento era quello di un pastore luterano svedese chiamato a presiedere i riti dei fujenti a Madonna dell’Arco”.</p><p>7. “Era spaesato come un latinista che assiste a una lite fra uno di Torre Annunziata e uno di Pozzuoli”.</p><p>8. “La sua reazione somigliava a quella di un abbonato della Società del Quartetto capitato a un concerto di Gigione”-</p><p>9. "Era motivato come può esserlo un sergente dei Marines nominato comandante dei vigili urbani di Casamarciano".</p><p>10. "Si sentiva come un profumiere di Parigi teletrasportato repentinamente a Contursi".</p><p>11. "Si trovava nello stato d'animo di uno che spera di trascorrere un mese in un resort a Bora Bora e si ritrova al Villaggio Coppola".</p><p>12. "La sua reazione di stupore era simile a quella di una persona abituata alla dizione di Giorgio Albertazzi che sente parlare per la prima volta uno di Atripalda".</p><p>13. "Era frastornato come un monaco tibetano catapultato fra i pescivendoli di Porta Nolana".</p><p>14. "Il suo sbigottimento era quello di un broker del New York Stock Exchange che assiste alla vendita del fumo alle Case dei Puffi di Scampia".</p><p>15. "La sua delusione era paragonabile a quella di uno che già pregusta un marshmallow e si trova ad addentare un pezzo di tutero di San Felice di Nola".</p><p>16. "Sperava che la vita scorresse liscia come un treno Joetsu Shinkansen delle ferrovie giapponesi ma presto si accorse che somigliava di più alla linea Napoli - Caserta via Cancello".</p><p>17. "Aveva negli occhi il terrore di uno che ha preso la patente ad Amburgo e deve immettersi nella rotonda di Arzano".</p><p>18. "Per lui fu come passare dallo shopping sulla Fifth Avenue alla spesa all'Euromercato di Casoria".</p><p>19. "Si sentiva umiliato come un commerciante con tre vetrine a via Condotti obbligato ad aprire una succursale al corso Umberto I a Marigliano"</p><p>20. "Era deluso come uno che si aspettava di comprare una Ferrari a Maranello e si trova a dover comprare una Panda 45 allo scasso di Peppe 'o gnummato a Qualiano".</p><p><br /></p><p><br /></p>gmrobertohttp://www.blogger.com/profile/07424458071749974883noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7602074521152130478.post-40598240817078826252021-09-26T12:11:00.008+02:002021-09-26T19:49:26.533+02:00"Asciutto, visionario e misterioso" - Beatrice Rana suona Chopin<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi-miIDnDRoW3FqB5GU2DyY8qjdZ_GiSGSjNsPhw7AQV0Ig-Loo_U7FXPGc_inp0CA1BuwUwEgG7hUDmqBLmO7Qa6IWLFBCzAvnn0aLYSOevzVmEL0JAyQnQm0yIH0pQWO7Ebt3x5TA56c/s1920/231767601_360939408733390_8149217928890339943_n.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1080" data-original-width="1920" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi-miIDnDRoW3FqB5GU2DyY8qjdZ_GiSGSjNsPhw7AQV0Ig-Loo_U7FXPGc_inp0CA1BuwUwEgG7hUDmqBLmO7Qa6IWLFBCzAvnn0aLYSOevzVmEL0JAyQnQm0yIH0pQWO7Ebt3x5TA56c/w400-h225/231767601_360939408733390_8149217928890339943_n.jpg" width="400" /></a></div><div style="text-align: justify;">Mi piacerebbe molto potermi intestare la paternità della terna di aggettivi che trovate nel titolo di questo post; in realtà la loro autrice è la stessa Beatrice Rana, che così definisce Chopin nel libretto che accompagna il suo CD appena uscito e che presenta la sua interpretazione dei dodici Studi op. 25 e dei quattro Scherzi del compositore polacco.</div><div style="text-align: justify;">Diciamocelo francamente: è un'aggettivazione che fa un po' a pugni con l'immagine convenzionale della musica di Chopin, ma che sintetizza in maniera assolutamente pregnante la visione che la pianista ha maturato di queste pagine e che realizza nelle esecuzioni che ci offre. </div><div style="text-align: justify;"><i><br /></i></div><div style="text-align: justify;"><i>Asciutto</i>: questo Chopin può essere assunto anche in dosi massicce senza bisogno di avere una fiala di insulina a portata di mano. Il sentimento e la passione che promanano da questa musica vengono non sovrapposti ma dedotti da un'analisi del segno musicale condotta da una mente di straordinaria lucidità e tradotti in suoni grazie a una tecnica apparentemente priva di limitazioni, capace di evidenziare istante per istante quello che Leopold Mozart chiamava <i>il filo</i> senza smarrirlo nel turbinio di note affastellate nei pentagrammi. </div><div style="text-align: justify;">È uno Chopin che arriva al cuore, in qualche caso prende alla gola, ma senza bisogno di passare per lo stomaco: ascoltate ad esempio l'effetto devastante con cui nel primo Scherzo il clima di serenità oltremondana del corale centrale viene interrotto dalla ripresa degli accordi iniziali, che qui suonano come degli autentici colpi di maglio. È un'opzione estetica che ricorda molto da vicino il Bergman di <i>Sussurri e grida</i>. <br /><br /></div><div style="text-align: justify;">Bisogna seguire con attenzione questo viaggio musicale per coglierne gli aspetti di straordinaria <i>visionarietà</i>: valga per tutti il caso dei dodici Studi che Beatrice Rana presenta come una sorta di polittico, quasi da ciclo di Lieder, nel quale si passa dalla melodicità di sapore quasi schubertiano del n. 1, al retrogusto bachiano del n. 4, alla declamazione dell'arioso del n. 7, all'irresistibile swing del n. 9 per arrivare infine al cuore oscuro degli ultimi tre studi in cui l'assoluto nitore della resa rende quasi intollerabile il carico di struggimento di cui sono intrisi. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">E arriviamo così al <i>mistero</i>: e per me il vero mistero che la pianista ci (rap)presenta è quello del contrasto fra la luce di abbagliante nitidezza nella quale queste letture sono immerse e la sensazione, strisciante ma inequivocabile, di un <i>quid aliud</i> che rimane inespresso, forse inesprimibile. Da un punto di vista di scandaglio formale - citando Wittgenstein - l'enigma non v'è: eppure alla fine del viaggio non tutto è stato detto, e forse (pur sapendo che anche questa è un'illusione) bisognerà rimettersi in cammino sperando di cogliere un frammento, un bagliore di verità in più.</div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Quello di Beatrice Rana è uno Chopin intensamente personale, e del resto nel libretto ella ci dichiara esplicitamente di aver voluto offrire una rappresentazione del <i>suo</i> Chopin; ma la pianista non varca neanche per un istante la linea sottile che separa l'interpretazione dall'arbitrio. È uno Chopin forse lontano da certe visioni consolidate, e ciò rende questo CD particolarmente benemerito soprattutto in un momento in cui siamo inondati da esecuzioni che oscillano tra il <i>famolo strano</i> a tutti i costi e l'assoluta, disperante irrilevanza. <br /><br />È uno Chopin sottilmente perturbatore, come forse sempre dovrebbe essere e ahimè molto raramente capita di ascoltare, uno Chopin che non ci offre la facile via di fuga di una dolciastra consolazione ma al contrario ci interroga, ci scruta, ci scuote. </div>gmrobertohttp://www.blogger.com/profile/07424458071749974883noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7602074521152130478.post-92210206448399209432021-06-02T12:00:00.007+02:002021-06-02T18:40:37.581+02:00Carlo Azelio<div style="text-align: right;"><i>Su tutte le
piazze si vedevano teatrini di tela, affollati di ragazzi dalla mattina alla sera, e su tutti i muri delle case
si leggevano scritte col carbone delle bellissime cose come queste: </i>viva i balocci!<i> (invece di balocchi):
</i>non vogliamo più schole<i> (invece di non vogliamo più scuole):</i> abbasso Larin Metica<i> (invece di
l’aritmetica) e altri fiori consimili.</i></div><div style="text-align: right;">C. Collodi, "Le avventure di Pinocchio"</div><div style="text-align: right;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi95Se4bs1Lam8CffZQ9cKl9KeQpECYXQ_UYrz7qaC5MMTReTKy1Hq32nv6CqIxNOakj5d7EkAmGbesKKtUnFqztxnu7SWqty8Uo9S2pU6bRmMAz7QF2gUC9q437KfUflGbjeskYGVfuNc/s620/5996030_1216_carlo_ciampi.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="339" data-original-width="620" height="219" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi95Se4bs1Lam8CffZQ9cKl9KeQpECYXQ_UYrz7qaC5MMTReTKy1Hq32nv6CqIxNOakj5d7EkAmGbesKKtUnFqztxnu7SWqty8Uo9S2pU6bRmMAz7QF2gUC9q437KfUflGbjeskYGVfuNc/w400-h219/5996030_1216_carlo_ciampi.jpg" width="400" /></a></div><div style="text-align: justify;">Mia nonna (classe 1908) aveva frequentato - in parte negli anni della prima guerra mondiale - cinque classi di scuola elementare; poi era andata dalla <i>signora maestra</i>, ovvero la sarta del paese che insegnava a lei e alle sue <i>compagnelle</i> a cucire e ricamare, terminando con ciò il suo curriculum scolastico. Coi figli, le nuore e i nipoti si esprimeva di preferenza nel saporito dialetto dell'ager nolanus, ma all'occorrenza era in grado di sfoderare un italiano perfetto, addirittura con qualche vezzo toscaneggiante (è stata la prima persona e l'unica a quelle latitudini a cui ho sentito dire <i>dianzi</i>), e sapeva scrivere - a mano e con una grafia di irraggiungibile eleganza - periodi pienamente articolati e dalla consecutio temporum impeccabile. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Nel corso del centinaio d'anni trascorsi dall'epoca in cui mia nonna si istruiva, alcune delle abilità che la scuola le aveva trasmesso sono diventate merce rarissima non solo fra i bambini della scuola elementare ma anche fra coloro che hanno ricevuto (avrebbero dovuto ricevere) un'istruzione cosiddetta "superiore". Ricevere mail di lavoro zeppe di strafalcioni è - ahimè - esperienza comune, e ancora più preoccupante è dover constatare come spesso in uno scritto appena più che striminzito non si contino non dico gli errori di ortografia e di sintassi, ma di pura e semplice logica: conclusioni tratte non si sa da quali premesse, ipotesi mutuamente contraddittorie e via tristemente elencando. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Come direbbe donn'Amalia Jovene, "<i>ch'è succieso</i>?" </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Niente di che: è semplicemente successo che non si compie per cinquant'anni di seguito un'opera di sistematico depotenziamento dell'istituzione scolastica senza che la cosa non abbia conseguenze: se si riduce la scuola a puro e semplice parcheggio con custodi sottopagati e demotivati, se in nome di una malintesa inclusività si evita accuratamente - dalle elementari all'università - di mettere i discenti di fronte a qualunque reale difficoltà, non ci si può poi meravigliare di aver prodotto generazioni di giovani adulti incapaci non soltanto di concepire ma anche di afferrare il senso di un ragionamento minimamente complesso. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">È per questo motivo che la caccia al colpevole del grottesco errore nella targa dedicata al Presidente Ciampi suona di un'ipocrisia insopportabile, tanto che io spero vivamente che l'impiegato che ha ricevuto la lettera di richiamo faccia ricorso e lo vinca; e mi dispiace di non essere un avvocato del lavoro per poter offrire all'<i> imprudente, o per parlar con più giustizia, lo sfortunato</i> - direbbe Manzoni - la mia assistenza gratuita. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Siamo un popolo di ignoranti (mia nonna avrebbe detto di ciucci, in questo caso non toscaneggiava) e ciò che è peggio fieri della nostra ignoranza. Siamo tutti andati dietro all'omino di burro, abbiamo diguazzato nelle settimane fatte di sei giovedì e una domenica, e ora ci si sono allungate le orecchie e non riusciamo più a reggerci sulle gambe. Con che diritto ci dichiariamo infastiditi da un singolo raglio se nessuno di noi è più in grado di parlare con voce umana? </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Ma queste constatazioni non porteranno purtroppo da nessuna parte. Troppi e troppo grandi sono i centri di potere e di interesse per cui tenere le persone nello stato di minorità intellettuale volontaria di cui parlava Kant è un'opzione decisamente vantaggiosa. </div><div style="text-align: justify;">E noi continueremo a pascolare, felicemente ignari, nel nostro fantastico paese dei <i>balocci</i>. </div><div style="text-align: justify;"> </div>gmrobertohttp://www.blogger.com/profile/07424458071749974883noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-7602074521152130478.post-11631913802628813672021-05-08T14:12:00.003+02:002021-05-08T14:22:02.097+02:00Giant Steps<br /><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiglh8KPI53EiP2OtW7ED_j7018U3dR3cyWK6w0VHi4hJSM19Pw7q0Aj1LPPA7RCAyqGcrXOmH3dvBWXyyc2fNYmGdgqvQB9MqXe22KNYl7jG9yr1qSbPBQzOOv3_nim-I8EYfJ-m8ZMF0/s2048/unnamed+%25284%2529.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1613" data-original-width="2048" height="315" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiglh8KPI53EiP2OtW7ED_j7018U3dR3cyWK6w0VHi4hJSM19Pw7q0Aj1LPPA7RCAyqGcrXOmH3dvBWXyyc2fNYmGdgqvQB9MqXe22KNYl7jG9yr1qSbPBQzOOv3_nim-I8EYfJ-m8ZMF0/w400-h315/unnamed+%25284%2529.jpg" width="400" /></a><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;">Una circonferenza di raggio 1 cm ha un'area di pi greco centimetri quadrati; una circonferenza di raggio 1 km ha un'area di pi greco chilometri quadrati. Analogamente, un triangolo rettangolo coi cateti lunghi 3 e 4 nanometri ha un'ipotenusa di 5 nanometri e uno coi cateti da 3 e 4 anni luce ha un'ipotenusa da 5 anni luce. Nella geometria la scala assoluta non ha importanza, quello che conta sono i rapporti fra le dimensioni. Quando però dal mondo iperuranio di Euclide e dei seguaci suoi ci caliamo nel mondo reale ci accorgiamo che spesso le cose non stanno esattamente così: come il vostro geometra di fiducia potrà confermarvi, se prendete a riferimento i calcoli per la villetta a due piani che vi ha costruito non potete moltiplicare per cinquanta tutti i numeri e ottenere i risultati che vi servono per lo svettante grattacielo da cento piani che volete realizzare per la vostra multinazionale; e ogni mezzofondista sa che la preparazione per gli ottocento metri non è l'allenamento per i cento moltiplicato per otto. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;">Quando ho cominciato a pensare alla pipa del compleanno edizione 2021, mi è venuto in mente che alla mia collezione di Ardor mancava una delle declinazioni più caratteristiche della produzione dei miei amici di Gavirate, quella che soprattutto oltreoceano è diventata quasi un sinonimo di pipa Ardor: la Giant. Ed è su questo (lo ammetto, un po' fatuo) presupposto che si è concretizzata quella specie di scultura che vedete raffigurata nella foto qui sopra, sormontata da una "normale" Giove che comunque è una rispettabile gruppo 4 abbondante in termini Dunhill. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;">La mia Giant è una pipa ragguardevole sotto ogni punto di vista, a partire dall'incredibile finitura arrivando alle dimensioni, che sono ovviamente la cosa che salta di più all'occhio: 26 mm di diametro interno, 208 grammi di peso e un fornello che più che altro è un piccolo pozzo capace di contenere fra i 7 e i 9 grammi di tabacco. La scatola in cui arriva non somiglia a una normale scatola da pipe, sembra piuttosto una scatola per scarpe da bambino. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;">Dico la verità: a me piacciono le pipe grandi. Riconosco la squisitezza di fattura e di proporzioni delle pipe piccole, ne apprezzo la leggerezza ma all'atto pratico non sono il mio pane. Eppure quando il 22 aprile scorso è finalmente arrivato il momento dell'apertura della suddetta scatola e la pipa è venuta fuori in tutta la sua strabordante imponenza il primo pensiero che mi ha attraversato la mente è stato: "<i>Eccallà, hai fatto la cazzata</i>". È stato quindi con una certa perplessità che mi sono accinto a caricarla e ad accenderla. Non sapevo bene quale esperienza mi aspettava, sapevo solo che sarebbe stata lunga. Un po' come accingersi ad ascoltare per la prima volta l'ottava di Bruckner senza conoscerne molto: uno legge la durata dei movimenti e si rende conto con sgomento che il solo Adagio conterrebbe comodamente una qualunque sinfonia di Mozart tutta intera. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;">Ma ora che un po' di fumate le ho fatte e la pipa è sostanzialmente rodata (ah, il rodaggio di una Ardor, che cosa bella...) mi sento di affermare che - al di là della spinta collezionistica - una Giant dovrebbero averla tutti. O almeno tutti quelli che sia pure occasionalmente possono dedicare due ore e mezzo a fumare la pipa. </span></div><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;"><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;">Vedete (e così forse si capisce il senso dello sproloquio posto in testa a questo post), fumare in una pipa tanto grande non è come fumare due (o anche tre) volte di fila in una pipa ordinaria: è un'esperienza differente. Non so bene se a questo risultato contribuisca la quantità di tabacco impegnata, lo spessore del legno, la lunghezza del cannello o cos'altro, ma tant'è. <br /><br /></span></div><div style="text-align: justify;"><span style="text-align: left;">L'impatto iniziale è sorprendentemente delicato, complice anche una temperatura del fumo molto bassa e che tale si mantiene fino alla fine. L'evoluzione è lenta ma continua, a ogni boccata il tabacco sembra trasformarsi. Ma quello che è veramente esaltante è l'ultimo terzo di fornello, la zona che in una pipa normale è tradizionalmente la più avara di soddisfazioni. Ancora una volta non mi so spiegare esattamente il perché, ipotizzo che c'entri qualcosa una sorta di tostatura che a quel punto ha subito il tabacco, fatto sta che i sapori diventano più "scuri" e profondi e anche un Virginia chiaro acquisisce un corpo e un vigore insospettabili. Un'autentica "<i>Final-Symphonie"</i>, ancora una volta torniamo all'ottava di Bruckner. <br /><br />È la pipa perfetta? Ovviamente no, è troppo grande, troppo pesante (va fumata rigorosamente seduti, sorreggendola costantemente con la mano e anche un bracciolo sotto il gomito non è un optional), troppo capiente. Ma è una pipa straordinaria, in grado di celebrare adeguatamente (ma anche di creare) occasioni altrettanto straordinarie. Se - come yours truly - avete anche il vizio del binge-watching potrete calarvi la nuova serie Netflix fumando dall'inizio alla fine la stessa pipa. Insomma: di sicuro non può essere la prima pipa di nessuno, e forse neanche la terza o la quarta. <br />Ma se pipe e tabacchi vi interessano sul serio una Giant vi potrebbe regalare sorprese che neanche siete in grado di immaginare. <br /><br /><br /><br /></span></div></div>gmrobertohttp://www.blogger.com/profile/07424458071749974883noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7602074521152130478.post-50221348586464493442020-02-29T11:25:00.002+01:002020-03-01T11:44:43.147+01:00Il tenero narratore<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiDbRvYkWwu0AzTjTaFjIcdhvnX_uuq68vXoIo8-9XF7oVZpfPzIMLX2LHlICxpSfw9zjQqVtrggU_SxJX1HuKFLw6n5-b_b6YnQNcmCN9kdgUWSDDdnhgny1yV-Yac1VRjgR_zv-CoSWs/s1600/tokarczuk_olga_wyklad_noblowski_2019_en1.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="842" data-original-width="1200" height="280" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiDbRvYkWwu0AzTjTaFjIcdhvnX_uuq68vXoIo8-9XF7oVZpfPzIMLX2LHlICxpSfw9zjQqVtrggU_SxJX1HuKFLw6n5-b_b6YnQNcmCN9kdgUWSDDdnhgny1yV-Yac1VRjgR_zv-CoSWs/s400/tokarczuk_olga_wyklad_noblowski_2019_en1.jpg" width="400" /></a></div>
<i>Quella che segue è la traduzione integrale del discorso tenuto da Olga Tokarczuk per il conferimento del premio Nobel per la letteratura lo scorso 7 dicembre. Un viaggio vertiginoso fra letteratura, scienza, filosofia, arte, storia, ricordi d'infanzia tenuto insieme dal tenue ma tenacissimo filo conduttore della tenerezza. Quando l'ho seguito in streaming ci sono stati momenti in cui dimenticavo anche di respirare. Non potevo immaginare un modo più bello per festeggiare il centesimo post di questo scombinato bric-à-brac che di tanto in tanto torno ad aggiornare.</i><br />
<br />
<h1 class="western" style="font-family: arial, sans-serif; font-size: 16pt; margin-bottom: 0.21cm; text-align: center;">
Il tenero narratore</h1>
1.<br />
La prima fotografia di cui ho avuto un'esperienza consapevole è stata una foto di mia madre prima che mi mettesse al mondo. Sfortunatamente la foto è in bianco e nero, il che significa che ha perso molti dettagli e si è trasformata in nient'altro che una serie di forme grigie. La luce è morbida, da giorno di pioggia, forse di primavera e di sicuro è il tipo di luce che filtra da una finestra, mantenendo la stanza in un chiarore appena percepibile. La mamma siede accanto alla vecchia radio, del tipo con una finestrella verde e due manopole, una per regolare il volume e l'altra per cercare le stazioni. Quella radio diventò poi una compagna della mia infanzia e tramite essa venni a sapere dell'esistenza del Cosmo. Girando la manopola di ebanite si spostavano i delicati tentacoli dell'antenna e nel loro campo di ricezione finivano le più disparate stazioni radio: Varsavia, Londra, Lussemburgo o Parigi. A volte però le voci si spegnevano, come se fra Praga e New York, fra Mosca e Madrid l'antenna captasse un buco nero: allora ero assalita dal panico. Ero convinta che attraverso quella radio si rivolgessero a me altri sistemi solari e altre galassie, i quali all'interno degli scoppiettii e dei fruscii mi mandassero messaggi che non ero in grado di decifrare.<br />
<br />
<br />
Riguardando quella foto da bambina di qualche anno ero giunta alla conclusione che la mamma mi cercava girando la manopola della radio. Come un tenero radar, esplorava gli spazi infiniti del cosmo provando a capire quando e da dove sarei arrivata. La sua pettinatura e il vestito indicano quando la foto è stata scattata: agli inizi degli anni '60 del secolo scorso. La donna un po' china che guarda da qualche parte fuori dal riquadro vede qualcosa a cui non ha accesso chi guarda l'immagine. Da bambina pensavo che guardasse nel tempo. Nella foto non succede nulla, è l'istantanea di uno stato, non di un processo. La donna sembra triste, pensierosa, in qualche modo assente.<br />
<br />
<br />
Quando più tardi le chiedevo di quella tristezza – e lo facevo spesso per sentire sempre la stessa cosa – la mamma rispondeva che era triste perché io non ero ancora nata e lei già aveva nostalgia di me. “Come potevi avere nostalgia di me se io non c'ero ancora?” le domandavo: sapevo già che si ha nostalgia di qualcuno che si è perso, che la nostalgia è effetto di una perdita.<br />
<br />
<br />
“Ma può essere anche al contrario” - rispondeva lei - “Se si ha nostalgia di qualcuno, quel qualcuno già esiste”.<br />
<br />
<br />
Questo breve scambio da qualche parte nella provincia occidentale della Polonia verso la fine degli anni sessanta del ventesimo secolo, questo scambio fra mia madre e me, la sua piccola bambina, mi è rimasta per sempre nel ricordo e mi ha dato una riserva di forza per tutta la vita. Quello scambio elevava la mia esistenza al di sopra dell'ordinaria materialità e casualità del mondo, al di là dei rapporti di causa e effetto e delle leggi della verosimiglianza per porla al di fuori del tempo, in dolce vicinanza con l'eternità. Con la mia mente di bambina capivo che c'era in me più di quello che avevo fino a quel momento immaginato. E anche quando dico “io sono assente” al primo posto si trova “io sono” - le più importanti e strane parole del mondo.<br />
<br />
<br />
In questo modo una giovane donna non religiosa, mia madre, mi dava qualcosa che una volta si chiamava anima, e quindi mi riforniva del miglior tenero narratore al mondo.<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
2.<br />
Il mondo è un tessuto che filiamo tutti i giorni sui grandi telai dell'informazione, della discussione, dei fil, dei libri, dei pettegolezzi, degli aneddoti. Oggi il campo di lavoro di questi telai è enorme – grazie a Internet quasi chiunque può prendere parte a questo processo, responsabilmente o irresponsabilmente, con amore o con odio, verso il bene o il male, per la vita o per la morte. Quando cambia questo racconto cambia il mondo. In questo senso il mondo è fatto di parole.<br />
<br />
<br />
Ciò che pensiamo del mondo e – cosa forse ancora più importante – il modo in cui lo raccontiamo ha quindi un'importanza enorme. Ciò che accade e non viene raccontato smette di esistere e muore. È una cosa che sanno molto bene non solo gli storici ma anche (e forse soprattutto) i politici di ogni sorta e i tiranni: colui che ha e sa filare un racconto comanda.<br />
<br />
<br />
Oggi il problema consiste – sembrerebbe – nel fatto che non abbiamo ancora disponibili narrazioni non solo per il futuro ma neanche per il concreto “ora”, per i cambiamenti ultra veloci del mondo di oggi. Ci manca la lingua, ci mancano punti di vista, metafore, miti e nuove fiabe. In compenso siamo testimoni di come si cerchi di adattare queste inadeguate, arrugginite e anacronistiche vecchie narrazioni alla visione del futuro, forse partendo dal principio che “<i>il vecchio qualcosa è meglio del nuovo nulla</i>” oppure provando in questo modo a venire a patti con la limitatezza dei propri orizzonti. In una parola: ci mancano nuovi modi di raccontare il mondo.<br />
<br />
<br />
Viviamo in una realtà di polifoniche <b>narrazioni in prima persona</b> e da qui arriva a noi un polifonico brusio. Dicendo “in prima persona” ho in mente quel genere di racconti che ruota in strette orbite intorno all'”io” dell'autore, il quale scrive più o meno direttamente di sé stesso o di quanto lo circonda. Abbiamo riconosciuto che questo tipo di punto di vista individualizzato, questa voce proveniente da un “io” è la più naturale, umana, onesta, anche quando rinuncia a una prospettiva più ampia. Narrare in una così concepita prima persona è filare un motivo assolutamente irripetibile, unico nel suo genere, avere come individualità il senso dell'autonomia, essere consapevoli di sé stessi e del proprio destino. Ma significa anche edificare una contrapposizione: “io” e “il mondo”, e questa contrapposizione può risultare alienante.<br />
<br />
<br />
Io penso che la narrazione condotta in prima persona sia estremamente caratteristica della nostra epoca, nella quale l'individuo svolge il ruolo di soggettivo centro del mondo. La civiltà occidentale è in larga misura costruita e fondata proprio su questa scoperta dell'io che costituisce una delle più importanti unità di misura della realtà. L'uomo è qui il protagonista, e il suo giudizio – anche se è uno fra tanti – è sempre trattato con attenzione e rispetto. Il racconto tessuto in prima persona sembra essere una delle più grandi scoperte della civiltà umana, è letto con solennità e accolto con fiducia. Questo tipo di racconto, quando vediamo il mondo con gli occhi di qualche “io” e lo ascoltiamo in suo nome, costruisce un legame col narratore come nessun altro e chiede al lettore di mettersi nella sua irripetibile posizione.<br />
<br />
<br />
Non è possibile esagerare l'importanza di ciò che la narrazione in prima persona ha fatto per la letteratura e in generale per la civiltà umana: ha riformulato il racconto sul mondo così che esso non è più il luogo d'azione di eroi o dei sui quali non abbiamo influenza ma la nostra storia individuale, e ha restituito la scena a persone uguali a noi.<br />
<br />
<br />
In più con persone come noi è facile identificarsi e grazie a ciò fra il narratore della storia e il lettore o l'ascoltatore nasce un'intesa emozionale basata sull'empatia. Quest'ultima per sua stessa natura avvicina e livella le divisioni – è molto facile cancellare nel racconto il confine fra l'”io” del narratore e l'”io” del lettore e la storia che “prende” conta proprio sull'abbattimento di questa barriera e che il lettore, in virtù dell'empatia, diventi per qualche tempo il narratore. La letteratura è quindi diventata un campo di scambio di esperienze, un'agorà nella quale chiunque può raccontare il suo proprio destino o dare voce al suo alter ego. È perciò uno spazio democratico: ognuno può esprimersi, ognuno può dar vita a una “voce che parla”. Forse mai nella storia dell'umanità tante persone sono diventate scrittori e narratori. Basta dare un'occhiata alle statistiche.<br />
<br />
<br />
Quando visito le fiere del libro vedo quanti libri riguardano proprio questo, l'io dell'autore. L'istinto dell'espressione – forse potente come ogni altro istinto che progetta la nostra vita – si manifesta nella maniera più completa nell'arte. Vogliamo essere notati, vogliamo sentirci eccezionali. Le narrazioni del tipo “Ti racconto la mia storia”, “Ti racconto la storia della mia famiglia” o al limite “Ti racconto dove sono stato” sono oggi il genere letterario più popolare. È un fenomeno su vasta scala anche perché oggi abbiamo universalmente la capacità di servirsi della scrittura e molti padroneggiano l'abilità – una volta appannaggio di pochi – di esprimersi attraverso la scrittura e il racconto. Paradossalmente però la situazione è simile a quella di un coro composto tutto di solisti: le voci si sovrappongono fra loro, competono per la nostra attenzione, viaggiano per sentieri simili finendo in ultima analisi per silenziarsi reciprocamente. Sappiamo tutto di loro, siamo in condizione di identificarci con loro e vivere la loro vita come se fosse la nostra. Eppure la nostra esperienza di lettori è sorprendentemente spesso incompleta e deludente, perché a quanto sembra la mera espressione dell'io dell'autore non è garanzia di universalità. Quello che manca – mi pare – è la dimensione di parabola del racconto. Il protagonista di una parabola infatti è sé stesso, un uomo che vive in un fissato contesto storico e geografico, ma allo stesso tempo va molto oltre questi particolari concreti, diventando Chiunque e Dovunque. Quando il lettore segue una storia narrata in un racconto può identificarsi con le vicende del personaggio raccontato e considerare le situazioni del personaggio come proprie; in una parabola invece egli deve rinunciare del tutto alla sua particolarità e diventare Ognuno. In questa esigente operazione psicologica la parabola, trovando per destini differenti un denominatore comune, universalizza la nostra esperienza e la sua insufficiente presenza è una testimonianza della nostra impotenza.<br />
<br />
<br />
È stato forse per non annegare nell'enorme quantità di titoli e cognomi che abbiamo cominciato a dividere l'enorme corpo da Leviatano della letteratura <b>in generi </b>che trattiamo come discipline sportive, considerando scrittori e scrittrici alla stregua di atleti specializzati.<br />
<br />
<br />
La generale commercializzazione dell'agone letterario ha condotto alla suddivisione in branche: ora ci sono fiere e festival di questa o quella letteratura, completamente separati, creando una clientela di lettori ansiosa di rinchiudersi dentro un giallo, un libro di fantasy o uno di fantascienza. È una caratteristica peculiare di questa situazione il fatto che ciò che avrebbe solo dovuto aiutare i librai e i bibliotecari a ordinare sugli scaffali l'enormità dei libri stampati e i lettori a orientarsi in un'offerta straripante si è mutato in un insieme di categorie astratte nelle quali non solo si ficcano le opere già scritte ma secondo le quali gli scrittori stessi cominciano a creare. Sempre più spesso questa letteratura di genere ricorda gli stampini per dolci, la prevedibilità è considerata un pregio, la banalità un successo. Il lettore sa cosa aspettarsi e ottiene esattamente quello che voleva. Istintivamente sono sempre stata contraria a queste classificazioni: esse infatti conducono a una limitazione nella libertà di scrivere, a una forma di riluttanza nei confronti della sperimentazione e della trasgressione che sono una parte fondamentale della creazione artistica in generale. In più esse finiscono per l'escludere completamente dal processo creativo ogni forma di eccentricità, senza la quale non c'è arte. Un buon libro non deve rispondere della sua assimilabilità a un genere. La divisione in generi è una conseguenza della commercializzazione di tutta la letteratura e un effetto del suo essere trattata come un articolo di vendita, con tutto il corredo di brand, target e simili invenzioni del capitalismo contemporaneo.<br />
<br />
<br />
Oggi possiamo avere la grande soddisfazione di essere testimoni del sorgere di un nuovo modo di raccontare il mondo, portato con sé dai <b>serial,</b> il cui fine nascosto è quello di portarci in uno stato di trance. Ovviamente questo modo di raccontare esisteva già nei miti e nelle narrazioni omeriche e Ercole, Achille e Odisseo sono stati senza dubbio i primi protagonisti di serial. Tuttavia questo tipo di narrazione non ha mai conquistato tanto spazio e non ha mai influenzato tanto l'immaginario collettivo. I primi due decenni del ventunesimo secolo appartengono di sicuro ai serial. La loro influenza nel raccontare (e quindi nel comprendere) il mondo è rivoluzionaria.<br />
<br />
<br />
Nella sua versione attuale il serial non ha soltanto esteso la nostra partecipazione alla narrazione nel dominio del tempo, generando i suoi propri ritmi, diramazioni e aspetti, ma ha portato con sé anche i suoi propri ordinamenti. Dato che in molti casi il suo scopo è tenere desta l'attenzione dello spettatore il più a lungo possibile, la narrazione seriale moltiplica gli intrecci, mescolandoli tra loro nelle maniere più inverosimili, tanto che alle brutte ricorre addirittura alla vecchia tecnica narrativa, compromessa ormai dall'opera classica, del deus ex machina. Nell'invenzione di nuove puntate spesso tutta la psicologia dei personaggi viene trasformata ad hoc in modo da adattarsi al nuovo corso degli eventi. Un personaggio all'inizio mite e riservato può diventare verso la fine vendicativo e violento, un personaggio di secondo piano diventa protagonista, laddove il personaggio principale, al quale avevamo già fatto in tempo ad affezionarci, perde importanza o addirittura scompare con nostra enorme frustrazione.<br />
<br />
<br />
La possibilità di nuove stagioni crea la necessità di finali aperti, nei quali non è possibile che si manifesti la segreta <i>katharsis</i>, che era la percezione di un mutamento interiore, di un compimento, della soddisfazione di aver preso parte all'azione del racconto. Questo tipo di complicazioni e incompiutezze, il continuo rimandare la ricompensa costituita dalla <i>katharsis</i> crea dipendenza e ipnotizza. La <i>fabula interrupta</i>, inventata tanto tempo fa e nota dalla storia di Sheherazade ha fatto il suo ritorno in grande stile nell'epoca dei serial, cambiando la nostra sensibilità e portando con sé incredibili effetti psicologici, facendoci staccare dalle nostre stesse esistenze e ipnotizzandoci come uno stimolante. Allo stesso tempo il serial si inscrive nel nuovo, prolisso e disordinato ritmo del mondo, nella sua comunicazione caotica, nella sua impermanenza e liquidità. Questa forma di racconto probabilmente è quella che in maniera maggiormente creativa sta cercando nuove formule. In questo senso nel serial sta avendo luogo un importante lavoro sulle narrazioni del futuro e sul modo di adattare le storie alla nuova realtà.<br />
<br />
<br />
Ma soprattutto noi viviamo in un mondo in cui una moltitudine di informazioni si contraddicono l'un l'altra, si escludono l'un l'altra, si danno battaglia l'un l'altra con le unghie e con i denti.<br />
<br />
<br />
I nostri antenati credevano che l'accesso alla conoscenza non solo avrebbe portato agli uomini felicità, benessere, salute e ricchezza ma avrebbe anche forgiato una società paritetica e giusta. Quello che secondo loro mancava al mondo era una saggezza collettiva, derivante dalla conoscenza.<br />
<br />
<br />
Jan Amos Komensky, il grande pedagogo del XVII secolo, coniò il termine “pansofia” nel quale racchiuse l'idea di una possibile onniscienza, di una sapienza universale che contenesse in sé ogni possibile conoscenza. Era anche e soprattutto il desiderio di una conoscenza accessibile a chiunque. L'accesso alle informazioni sul mondo non avrebbe forse trasformato il contadino analfabeta in un individuo consapevole di sé e del mondo? La conoscenza a portata di mano non avrebbe forse fatto sì che le persone diventassero accorte e conducessero saggiamente la propria vita?<br />
<br />
<br />
Con l'avvento di Internet sembrò che queste idee avrebbero avuto finalmente la possibilità di realizzarsi in maniera compiuta. Wikipedia, che ammiro e sostengo, sarebbe potuta sembrare a Komensky e a molti altri pensatori di quella corrente, la realizzazione dei desideri dell'umanità: creiamo e riceviamo un enorme deposito di conoscenza costantemente arricchito, aggiornato e disponibile in maniera democratica praticamente in ogni angolo della Terra.<br />
<br />
<br />
I desideri esauditi spesso ci deludono. È venuto fuori che non siamo in condizione di gestire questa enormità di informazioni, che invece di unire, generalizzare e liberare differenzia, divide, chiude in piccole bolle, crea una moltitudine di storie incompatibili l'un l'altra quando non ostili o mutuamente antagoniste.<br />
<br />
<br />
In aggiunta Internet, data senza nessuna riflessione in pasto ai processi di mercato e consegnata ai monopolisti, controlla enormi quantità di dati che non sono affatto utilizzati “pansofisticamente” per l'accesso universale alla conoscenza ma al contrario per manipolare i comportamenti degli utilizzatori, come ci ha insegnato il caso Cambridge Analytica. In luogo dell'armonia del mondo, abbiamo sentito una cacofonia di voci, un chiasso insopportabile dal quale tentiamo disperatamente di estrarre la più esile melodia, il più debole ritmo. Come mai oggi a questa cacofonica realtà si attaglia la parafrasi di una citazione shakespeariana: Internet è sempre più spesso il racconto di un idiota, pieno di furore e di rumore.<br />
<br />
<br />
Anche le indagini dei politologi – purtroppo – vanno contro le intuizioni di Komensky, basate sulla convinzione che quanto maggiore sarebbe stata la conoscenza universalmente disponibile tanto più i politici si sarebbero fatti guidare dalla ragionevolezza e avrebbero preso decisioni tanto più meditate. La conoscenza può risultare opprimente, e le sue complicazioni e ambiguità provocano l'insorgere di meccanismi di difesa di vario tipo – dalla negazione e sconfessione fino alla fuga nelle facili regole del pensiero semplificante, ideologico, di partito.<br />
<br />
<br />
La categoria delle <b>fake news</b> solleva nuove domande su cos'è fiction. I lettori che molte volte si sono fatti ingannare, disinformare o menare per il naso sviluppano una specifica idiosincrasia nervosa. Una reazione a una tale stanchezza da fiction può essere l'enorme successo della letteratura non-fiction, quella che in questo grande caos informativo grida sopra le nostre teste. “Vi racconto la verità, solo la verità!” “Il mio racconto è basato su fatti reali!”<br />
<br />
<br />
La fiction ha perso la fiducia dei lettori da quando la menzogna è divenuta una pericolosa arma di distruzione di massa, anche se rimane pur sempre un attrezzo primitivo. Piuttosto spesso mi viene fatta la domanda piena di sospetto: “Quello che ha scritto è vero?” Ogni volta ho l'impressione che questa domanda profetizzi la fine della letteratura.<br />
<br />
<br />
Questa domanda – innocente dal punto di vista del lettore – suona veramente apocalittica all'orecchio degli scrittori. Cosa dovrei rispondere? Come spiegare lo status ontologico di Hans Castorp, Anna Karenina o Winnie the Pooh?<br />
<br />
<br />
Considero questo tipo di interesse da parte dei lettori come un regresso dal punto di vista della civiltà. È una seria minorazione della nostra capacità multidimensionale (concreta, storica ma anche simbolica e mitica) di prendere parte alla catena di eventi che chiamiamo la nostra vita. La vita è creata dagli eventi, ma solo quando siamo in grado di interpretarli, tentare di comprenderli e di attribuire loro un senso che essi si trasformano in esperienza. Gli eventi sono fatti, ma l'esperienza è qualcosa di inesprimibilmente diverso. Essa, e non i fatti, è il materiale della nostra vita. L'esperienza è un fatto che è stato sottoposto a interpretazione e collocato nella memoria. Essa si richiama anche a un certo fondamento del nostro pensiero, una struttura di significato profonda sulla quale siamo in grado di distendere la nostra vita ed esaminarla accuratamente: io credo che il ruolo di tale struttura sia ricoperto dal mito. Il mito, come tutti sanno, non è mai successo eppure accade sempre. Oggi i miti non passano solo attraverso le avventure degli eroi antichi ma trovano la loro strada anche attraverso le onnipresenti e sommamente popolari narrazioni del cinema, dei videogame, della letteratura. La vita degli abitanti dell'Olimpo si è trasferita in Dynasty e le valorose gesta degli eroi sono compiute da Lara Croft.<br />
<br />
<br />
In questa ardente divisione in verità e falsità, i racconti sulla nostra esperienza che la letteratura crea hanno la loro propria dimensione. Non mi ha mai particolarmente entusiasmato la divisione tra fiction e non-fiction, a meno di non volerla considerare dichiaratoria e discrezionale. Nel mare delle tante definizioni della fiction, mi piace più di tutte quella che è anche la più antica e risale ad Aristotele: l<b>a fiction è sempre un qualche genere di verità</b>.<br />
<br />
<br />
E mi convince anche la distinzione operata dallo scrittore e saggista E.M. Forster tra “relazione” e “intreccio”. Forster ha scritto che quando diciamo “Morì il marito e in seguito morì la moglie”, questa è una relazione. Se invece diciamo “Morì il marito e poi la moglie morì per il dispiacere” allora è intreccio, fiction. Ogni trasposizione in fiction è il passaggio dalla domanda: “Cosa è successo dopo?” ad un tentativo di capirlo basato sulla nostra esperienza umana: “Perché è successo in questo modo?”<br />
<br />
<br />
La letteratura inizia da questo “Perché?”, anche se a questa domanda dovessimo rispondere senza sosta col solito “Non lo so”.<br />
<br />
<br />
La letteratura pone quindi domande a cui non è possibile rispondere con l'aiuto di Wikipedia, trascende infatti fatti ed avvenimenti rivolgendosi direttamente alla nostra esperienza.<br />
<br />
<br />
È possibile tuttavia che il racconto e in genere la letteratura stiano diventando sotto i nostri occhi qualcosa di piuttosto marginale rispetto ad altre forme di narrazione: che il peso dell'immagine e delle nuove forme di trasmissione diretta dell'esperienza (cinema, fotografia, virtual reality, augmented reality) possa andare a costituire una seria alternativa alla lettura tradizionale. La lettura è un processo psicologico e percettivo abbastanza complicato. Per semplificare: prima un contenuto sommamente inesprimibile viene concettualizzato e verbalizzato, trasformato in segni e simboli, e poi avviene la “decodifica” dal linguaggio all'esperienza. Ciò richiede un certo grado di competenza intellettuale. E soprattutto esige attenzione e concentrazione, capacità sempre più rare nel nostro mondo estremamente dispersivo.<br />
<br />
<br />
L'umanità ha percorso un lungo cammino circa i metodi di comunicazione e condivisione delle proprie esperienze, dall'oralità, basata sulla parola viva e sulla memoria dell'essere umano, attraverso la rivoluzione di Gutenberg, quando le storie cominciarono ad essere universalmente mediate attraverso la scrittura e in questo modo fissate e codificate e con la possibilità di essere riprodotte senza alterazioni. Il più grande risultato di questo cambiamento è stato il momento in cui abbiamo cominciato a identificare il pensiero con la scrittura, ossia con un mezzo concreto di uso delle idee, delle categorie, dei simboli. È chiaro che oggi abbiamo di fronte un cambiamento altrettanto rivoluzionario, in cui l'esperienza può essere comunicata direttamente, senza più il tramite della parola stampata.<br />
<br />
<br />
Non c'è più bisogno di tenere un diario di viaggio quando si può fotografare e inviare questa fotografia nel mondo attraverso i social network, all'istante e a chiunque. Non c'è bisogno di scrivere lettere visto che chiamare è più semplice. Perché leggere voluminosi romanzi quando ci si può immergere in un serial? Invece di uscire in città per incontrarsi con gli amici meglio un videogioco. Cercare un'autobiografia? Non ha senso, visto che seguo la vita dei celebs su Instagram e so tutto di loro.<br />
<br />
<br />
Ormai non è più l'immagine la più grande rivale del testo scritto - come pensavamo ancora nel XX secolo preoccupandoci dell'influenza di cinema e televisione. È un modo completamente diverso di fare esperienza del mondo, un modo che influenza direttamente i nostri processi di pensiero.<br />
<br />
<br />
<br />
3.<br />
Non è mia intenzione tratteggiare qui una qualche visione integrale della crisi del racconto sul mondo. Spesso tuttavia mi assale la sensazione che al mondo manchi qualcosa. Che il farne esperienza attraverso i vetri dei monitor, attraverso le app, lo trasformi in qualcosa di irreale, distante, bidimensionale, stranamente impreciso, e ciò nonostante il reperimento di qualunque informazione concreta sia sorprendentemente semplice. Gli stancanti “qualcuno”, “qualcosa”, “da qualche parte”, “in qualche momento” possono oggi essere più pericolosi dell’affermazione con assoluta sicurezza di idee molto concrete e circostanziate: la terra è piatta, le vaccinazioni uccidono, il riscaldamento globale è una sciocchezza e la democrazia in molti Paesi non è a rischio. “Da qualche parte” annegano delle persone provando a salvarsi sul mare. “Da qualche parte” “da qualche tempo” è in atto “qualche” guerra. Nel diluvio delle informazioni i casi singoli perdono i loro contorni, sfumano nella nostra memoria e diventano irreali, scompaiono.<br />
<br />
<br />
L’inondazione di immagini di violenza, stupidità, crudeltà, di discorsi d’odio sono disperatamente controbilanciate da tutte le “good news” ma queste ultime non sono in condizione di dissipare la dolorosa impressione, difficile anche da verbalizzare, che <b>qualcosa nel mondo è sbagliato</b>. Questa sensazione, una volta appannaggio unicamente di poeti nevrotici, è diventata oggi un’epidemia di imprecisione, una forma d’ansia che si sta propagando ovunque.<br />
<br />
<br />
La letteratura è una delle poche discipline che provano a tenerci ancorati alla concretezza del mondo, perché di sua stessa natura è sempre “psicologica”, dato che si concentra sulle ragioni e motivazioni interne dei personaggi, ne svela le esperienze altrimenti inaccessibili a un’altra persona, invoglia il lettore a interpretare psicologicamente i loro comportamenti. Solo la letteratura è in gradi di farci entrare tanto in profondità nella vita di un’altra persona, capire le sue ragioni, condividere i suoi sentimenti, vivere il suo destino.<br />
<br />
<br />
Una storia descrive sempre orbite intorno a un senso. Anche se non lo manifesta apertamente, anche quando programmaticamente si astiene dalla ricerca di senso e si concentra sulla forma, sulla sperimentazione, quando compie un atto di ribellione e ricerca nuove forme di espressione. Anche leggendo una storia scritta nella maniera più behavioristica e scarna non possiamo fare a meno di domandarci: “Perché sta succedendo questo?” “Che significa?” “Qual è il senso?” “Dove ci porta?” Può anche darsi che la nostra mente si sia evoluta verso la storia come processo di conferimento di senso ai milioni di stimoli che ci circondano e che anche durante il sonno essa continui incessantemente a tessere le sue narrazioni. Il racconto è quindi un modo di organizzare nel tempo una quantità infinita di informazioni, stabilendo i loro rapporti col presente, il passato e il futuro, di scoprire le loro regolarità e inquadrarle nelle categorie di causa ed effetto. A questo lavoro prendono parte sia l’intelletto che le emozioni.<br />
<br />
<br />
Nulla di strano quindi nel fatto che una delle primissime scoperte del racconto sia stato il fato, il quale sia pure apparendo sempre terrorizzante e inumano ha portato nella realtà ordine e stabilità.<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
4.<br />
Signore e signori,<br />
<br />
la donna della foto, mia madre, che aveva nostalgia di me sebbene io non ci fossi ancora, qualche anno dopo cominciò a leggermi le favole.<br />
<br />
In una di esse, scritta da H.C. Andersen, una teiera buttata nell’immondizia si lamentava di quanto crudelmente fosse stata trattata dagli uomini, che se ne erano liberati quando aveva perso un manico. E dire che avrebbe potuto essere ancora tanto utile, se gli uomini non fossero stati tanto esigenti e perfezionisti! Alla teiera si univano altri oggetti rotti, che raccontavano storie davvero epiche della loro piccola vita di cose.<br />
<br />
Da bambina ascoltavo questa fiaba con le guance arrossate e le lacrime agli occhi, perché credevo fermamente che anche le cose avessero i loro problemi, sentimenti e anche una sorta di vita sociale, del tutto paragonabile alla nostra di persone. I piatti nella credenza potevano parlare fra loro, le posate nel cassetto avevano formato qualcosa come una famiglia. Allo stesso modo gli animali erano esseri misteriosi, intelligenti e autoconsapevoli coi quali avevamo da sempre legami di vicinanza spirituale e di profonda somiglianza. Ma anche i fiumi, le foreste, finanche le strade avevano la loro identità, erano esseri viventi che mappavano il nostro paesaggio e costruivano un senso di appartenenza, un <i>segreto Raumgeist</i>. Vivo era anche il paesaggio che ci circondava, e il sole e la luna e tutti i corpi celesti. Tutto il mondo visibile e invisibile.<br />
<br />
<br />
Quand’è che cominciai a dubitare di tutto questo? Cerco nella mia vita un momento in cui come per il girare di un solo interruttore tutto è diventato diverso, meno sfumato, più semplice. Il sussurro del mondo si è interrotto, sostituito dai rumori della città, i ronzii dei computer, il rombo degli aerei che ci volano sopra la testa e lo sfiancante rumore bianco degli oceani di informazione.<br />
<br />
<br />
A un certo punto della nostra vita cominciamo a vedere il mondo a frammenti, tutto separato, in pezzi distanti fra loro come galassie e la realtà nella quale viviamo ci conferma in questa sensazione: i dottori ci curano in base alla specializzazione, le tasse non hanno rapporto con la spalatura dalla neve della strada che percorriamo per andare al lavoro, il pranzo non ha nulla a che fare con un enorme allevamento industrializzato né la nuova camicetta con una polverosa fabbrica da qualche parte in Asia. Tutto è separato da tutto il resto, vive separatamente, senza legami.<br />
<br />
<br />
Per renderci la vita più facile da sopportare ci danno numeri, identificatori, tessere, rozze identità di plastica che provano a ridurci all’uso di una qualche piccola parte di quel tutto che abbiamo già cessato di percepire.<br />
<br />
<br />
Il mondo sta morendo e noi neanche ce ne accorgiamo. Non ci accorgiamo che il mondo è diventato un ammasso di fatti ed eventi, uno spazio morto nel quale ci muoviamo persi e solitari, mossi dalle decisioni di qualcun altro, resi schiavi da un fato incomprensibile, con la sensazione di essere pedine di grandi forze storiche o del caso. La nostra spiritualità scompare oppure diventa superficiale e ritualistica. Oppure semplicemente stiamo diventando seguaci di forze elementari – fisiche, sociali ed economiche – che ci muovono come se fossimo zombie. E in un tale mondo siamo veramente zombie. Per questo ho nostalgia di quell’altro mondo, quello della teiera.<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
5.<br />
Per tutta la vita sono stata affascinata dai sistemi di mutue interazioni e influenze di cui spesso non siamo consapevoli e scopriamo per caso, come sorprendenti coincidenze o convergenze del destino: tutti quei ponti, viti, saldature e giunzioni che ho seguito in “Bieguni”. Mi affascina associare i fatti, trovare ordine. Alla base – ne sono convinta – la mente dello scrittore è una mente sintetica che ostinatamente raccoglie tutti i pezzettini e tenta di formare con essi una nuova universale totalità.<br />
<br />
<br />
Come scrivere, come strutturare il proprio racconto in modo da metterlo in grado di sorreggere questa grande forma a costellazione del mondo?<br />
<br />
<br />
Sono ovviamente consapevole che non è possibile tornare a quel tipo di narrazione sul mondo che conosciamo attraverso i miti, le fiabe e le leggende, e che – passando di bocca in bocca – manteneva il mondo in esistenza. Oggi questa narrazione dovrebbe essere molto più multidimensionale e complessa: d'altra parte sappiamo effettivamente molto di più, conosciamo incredibili connessioni fra cose apparentemente lontanissime.<br />
<br />
<br />
Guardiamo bene un certo momento della storia del mondo.<br />
<br />
<br />
È il 3 agosto 1492, quando da un molo del porto di Palos in Spagna sta per staccarsi una piccola caravella chiamata “Santa Maria”. La comanda Cristoforo Colombo. Il sole splende, ci sono ancora marinai che fanno avanti e indietro sul molo e i facchini del porto caricano sulla nave gli ultimi sacchi di provviste. Fa caldo ma un leggero venticello da ovest evita di svenire alle famiglie dei marinai convenutesi per i saluti. I gabbiani passeggiano solennemente lungo la rampa di carico, osservando da vicino le attività degli uomini.<br />
<br />
<br />
Questo momento che vediamo attraverso il tempo ha portato alla morte di 56 dei circa 60 milioni di nativi americani. Essi costituivano all'epoca circa il 10 per cento dell'intera popolazione terrestre. Gli europei inconsapevolmente recavano con loro omaggi letali: malattie e batteri ai quali i nativi americani non erano immunizzati. A questo si aggiunsero poi spietate uccisioni e riduzioni in schiavitù. La strage durò anni e cambiò la natura della terra. Lì dove un tempo crescevano fagioli e mais, patate e pomodori, in campi irrigati con tecniche estremamente raffinate, tornò la vegetazione selvaggia. Quasi sessanta milioni di ettari di terra coltivata nel corso degli anni si trasformarono in giungla.<br />
<br />
<br />
La vegetazione, rigenerandosi, consumò enormi quantità di biossido di carbonio, indebolendo così l'effetto serra e questo a sua volta diminuì la temperatura sulla Terra.<br />
<br />
<br />
È questa una delle tante ipotesi scientifiche che tentano di spiegare l'insorgere della piccola era glaciale in Europa, che alla fine del XVI secolo sperimentò un durevole raffreddamento del clima.<br />
<br />
<br />
La piccola era glaciale cambiò l'economia europea. Nel corso dei decenni successivi i lunghi e gelidi inverni, le estati fresche e le piogge intense fecero diminuire la produttività delle forme tradizionali di agricoltura. In Europa occidentale le piccole fattorie a conduzione familiare che producevano alimenti per uso proprio diventarono inefficienti. Arrivarono ondate di carestia e la necessità di specializzare la produzione. Inghilterra e Olanda, maggiormente colpite dal raffreddamento, non potendo legare le proprie economie all'agricoltura cominciarono a sviluppare commercio e industria. La minaccia delle tempeste portò gli olandesi al prosciugamento dei polder e alla conversione di terreni paludosi e di basse zone marine in terreni coltivabili. Lo spostamento verso sud delle rotte percorse dai merluzzi, catastrofico per la Scandinavia, si rivelò vantaggioso per Inghilterra e Olanda: grazie ad esso questi stati cominciarono a porre le basi della loro potenza marittima e commerciale. Il sensibile abbassamento delle temperature toccò in maniera particolarmente intensa gli Stati scandinavi. Si interruppero i contatti con la verde Groenlandia e con l'Islanda, i rigidi inverni ridussero i raccolti e si successero anni di fame e carestia. La Svezia cominciò quindi a rivolgere sguardi carichi di cupidigia verso sud, cominciando una guerra con la Polonia (specialmente perché il mar Baltico era gelato e quindi permetteva la marcia di un esercito) e impegnandosi nella guerra dei trent'anni.<br />
<br />
<br />
Gli sforzi degli scienziati volti a comprendere meglio la nostra realtà mostrano quest’ultima come un sistema mutuamente coerente e densamente collegato di influenze. Non è più solo il celebre “effetto farfalla”, che come sappiamo consiste nel fatto che minime variazioni nelle condizioni iniziali di un dato processo possano nel futuro portare a colossali e imprevedibili risultati, ma soprattutto l’infinità quantità di farfalle e delle loro ali costantemente in movimento. Una potente onda di vita che viaggia attraverso il tempo.<br />
<br />
<br />
La scoperta dell’effetto farfalla conclude a mio avviso l’epoca della fede indiscussa degli uomini nella loro efficacia e capacità di controllo e nello stesso tempo della loro supremazia sul mondo. Non toglie all’uomo il suo ruolo di costruttore, conquistatore e inventore ma rende evidente che la realtà è molto più complessa di quanto l’umanità abbia mai potuto supporre. E che siamo null’altro che una piccola parte di questi processi.<br />
<br />
<br />
Tutti noi, uomini, piante, animali, cose, collocati in un unico spazio governato dalle leggi fisiche. Questo spazio comune ha la sua forma e le leggi fisiche scolpiscono in essa una innumerevole quantità di forme incessantemente connesse le une alle altre. Il nostro apparato cardiocircolatorio ricorda i sistemi di sbocco dei fiumi, la struttura di una foglia è simile a quella dei sistemi di trasporto, il moto delle galassie alle traiettorie dell’acqua nelle nostre lavatrici. Lo sviluppo delle società ricorda le colonie di batteri. Micro e macroscala mostrano un infinito sistema di somiglianze. La nostra parola, il nostro pensiero, le nostre opere non sono qualcosa di astratto e scollegato dal mondo, ma piuttosto la continuazione a un altro livello dei suoi incessanti processi di cambiamento.<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
6.<br />
Continuo a chiedermi se oggi è possibile trovare le fondamenta di una nuova narrativa che sia universale, totalizzante, radicata nella natura, piena di contesti e al tempo stesso comprensibile.<br />
<br />
<br />
E’ possibile una narrativa che – uscita dalla prigione non comunicativa del proprio io – riveli una gamma più ampia di realtà e mostri le reciproche connessioni? Una narrativa in grado di tenersi a distanza dal consumato, ovvio e banale centro delle opinioni comunemente condivise e capace di guardare a questioni “ex-centriche”, fuori dal centro?<br />
<br />
<br />
Mi fa piacere che la letteratura abbia miracolosamente preservato per sé il diritto a tutte le stravaganze, alla fantasmagoria, alla provocazione, al grottesco e alla follia. Ho desiderio di punti di vista collocati in alto, di prospettive ampie il cui contesto superi di gran lunga quanto ci saremmo potuti aspettare. Sogno una lingua che sia capace di esprimere anche l’intuizione più oscura, metafore che trascendano le differenze culturali e infine un genere che sia ampio e trasgressivo ma allo stesso tempo adorato dai lettori.<br />
<br />
<br />
Sogno anche un nuovo tipo di narratore, “in quarta persona”, il che ovviamente non è solo un costrutto grammaticale: un narratore in grado di racchiudere in sé le prospettive di ognuno dei personaggi così come di trascendere il loro orizzonte, che veda di più e più ampiamente e che sia capace di ignorare il tempo. E sì, l’esistenza di un tale narratore è possibile.<br />
<br />
<br />
Vi siete mai chiesti chi è quel miracoloso raccontatore di storie che nella Bibbia proclama a gran voce “In principio era il Verbo?” Quello che descrive la creazione del mondo e il suo primo giorno, quando il caos fu diviso dall’ordine? Quello che segue il serial della creazione del mondo? Quello che conosce i pensieri di Dio, conosce i suoi dubbi e senza che le mani gli tremino mette su carta l’incredibile frase: “E Dio conobbe che ciò era bene”. Chi è costui che sa quali erano i giudizi di Dio?<br />
<br />
<br />
Lasciando da parte ogni dubbio di natura teologica possiamo riguardare questa figura di misterioso, tenero narratore come miracolosa e significativa. È un punto di vista, una prospettiva da cui si vede tutto. Vedere tutto significa riconoscere la verità definitiva della connessione reciproca di tutte le cose in un tutto, anche laddove questi legami non ci sono ancora noti. Vedere tutto significa anche assumere un tipo di responsabilità completamente diversa nei confronti del mondo, visto che diventa evidente che ogni gesto “qui” è legata ad un gesto “lì”, che una decisione presa in una parte del mondo provoca effetti in un'altra sua parte, che il discrimine fra “mio” e “tuo” comincia ad essere labile.<br />
<br />
<br />
Bisognerebbe quindi raccontare onestamente in modo da mettere in movimento nella mente del lettore l'idea del tutto, la capacità di unire frammenti in un unico disegno, di scoprire nei dettagli degli eventi intere costellazioni. Raccontare storie in maniera da rendere chiaro che tutto e tutti sono immersi in un unico disegno condiviso che ad ogni giro del pianeta scrupolosamente produciamo nelle nostre menti.<br />
<br />
<br />
La letteratura ha il potere di realizzarlo. Dovremmo abbandonare le semplicistiche categorie di letteratura alta e bassa, popolare e di nicchia, non prendere troppo sul serio la divisione in generi. Rinunciare all'espressione “letterature nazionali”, ben sapendo che il cosmo della letteratura è uno, una sorta di idea di unus mundus, una realtà psicologica condivisa nella quale si unificano le nostre esperienze umane. Autore e Lettore hanno ruoli ugualmente importanti, il primo in quanto impegnato nella creazione, il secondo in quanto compie un'incessante interpretazione.<br />
<br />
<br />
Forse dovremmo avere fiducia nel frammento, dato che i frammenti creano una costellazione capace di raccontare di più e in modo più complesso, multidimensionalmente. Le nostre storie potrebbero riferirsi l'una all'altra in infiniti modi, e i loro protagonisti entrare in relazione fra loro.<br />
<br />
<br />
Ritengo che ci aspetti una ridefinizione di ciò che oggi intendiamo per realismo, e una ricerca di ciò che ci consenta di superare le barriere del nostro ego e di penetrare attraverso quello schermo di vetro attraverso cui vediamo il mondo: oggi infatti il bisogno di realtà viene soddisfatto attraverso i media, i social network, le relazioni dirette da Internet. Forse quello che inevitabilmente ci aspetta è una sorta di neosurrealismo, punti di vista riorganizzati che non temano di misurarsi col paradosso e vadano contro la corrente del semplice ordine causa-effetto. E in effetti la nostra realtà è già divenuta surreale. E sono anche sicura che molte storie andranno raccontate in contesti intellettuali nuovi, ispirati dalle nuove teorie scientifiche. Ma ugualmente importante mi sembra il costante ricorso al mito e al complesso dell'immaginario umano. Questo ritorno alle compatte strutture della mitologia potrebbe portare con sé una qualche sensazione di stabilità in questa indeterminatezza nella quale ci troviamo a vivere. Sono convinta che i miti siano gli elementi costitutivi della nostra psiche e non è possibile ignorarli, tuttalpiù essere inconsapevoli del loro influsso.<br />
<br />
<br />
Senza dubbio fra non molto verrà fuori un genio che riuscirà a costruire una narrativa completamente nuova, oggi inimmaginabile, nella quale troverà posto tutto quanto è importante. Questo modo di raccontare di sicuro ci trasformerà: abbandoneremo le vecchie, asfissianti prospettive e ci apriremo a nuove, che già esistevano da sempre da qualche parte ma alle quali noi eravamo ciechi.<br />
<br />
<br />
Nel <i>Doktor Faustus</i> Thomas Mann scrisse di un compositore che aveva inventato un nuovo genere di musica totale che era in grado di cambiare il pensiero umano. Mann però non descrisse in cosa consistesse questa musica, si limitò a creare un'immagine di come avrebbe potuto risuonare. Forse è proprio in questo che consiste il ruolo dell'artista: dare un assaggio di cosa potrebbe esistere e in questo modo renderlo immaginabile. Ed essere immaginato è il primo stadio dell'esistere.<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
7.<br />
Io scrivo fiction, ma non è mai solo pura immaginazione. Quando scrivo devo sentire tutto dentro me stessa. Devo farmi attraversare da tutti gli esseri, da tutti gli oggetti presenti nel libro, da tutto ciò che è umano e da ciò che non lo è, da tutto ciò che è vivo e da tutto ciò cui è stata negata la vita. Ogni cosa, ogni persona devo osservarla da vicino, con la massima attenzione, impersonarla in me, personalizzarla.<br />
<br />
<br />
È appunto in questo processo che faccio ricorso alla tenerezza: la tenerezza è infatti l'arte di impersonare, di trovare un sentire comune e quindi l'arte dell'incessante ricerca di somiglianze.<br />
<br />
<br />
La creazione di una storia è un infinito dare la vita, donare l'esistenza a tutti quei frammenti di mondo che sono le esperienze umane, le situazioni vissute, i ricordi. La tenerezza personalizza tutto ciò a cui si rivolge, consente di dargli voce, spazio e tempo per esistere. È la tenerezza a far sì che la teiera cominci a parlare.<br />
<br />
<br />
La tenerezza è il più umile genere di amore. È quel genere di amore che non compare nelle scritture sacre e nei vangeli, nessuno giura in suo nome, nessuno la menziona. Non ha i suoi emblemi o i suoi simboli, non conduce al delitto o alla gelosia. <br />
<br />
<br />
Si manifesta laddove con attenzione e concentrazione guardiamo a un altro essere, a ciò che non è “io”.<br />
<br />
<br />
La tenerezza è spontanea e disinteressata, va molto oltre l'empatico co-sentire. È piuttosto una consapevole sia pure malinconica condivisione di destino. La tenerezza è la profonda preoccupazione per un altro essere, per la sua fragilità, la sua irripetibilità, il suo non essere immune alla sofferenza e al passare del tempo.<br />
<br />
<br />
La tenerezza percepisce i legami fra di noi, le somiglianze, le identità. È quel modo di guardare che mostra il mondo come vivo, vivente, interconnesso, collaborante e mutuamente dipendente.<br />
<br />
<br />
La letteratura è basata sulla tenerezza verso qualunque essere altro da noi. È questo il meccanismo fondamentale della narrazione. Grazie a questo strumento meraviglioso, il mezzo più sofisticato della comunicazione umana, la nostra esperienza viaggia nel tempo e raggiunge quelli che non sono ancora nati ma un giorno si volgeranno a quello che abbiamo scritto, a quello che abbiamo raccontato di noi stessi e del nostro mondo.<br />
<br />
<br />
Non ho idea di come sarà la loro vita, di chi saranno. Spesso penso a loro con sentimenti di colpa e di vergogna.<br />
<br />
<br />
La crisi climatica e politica dalla quale oggi stiamo cercando di uscire e che cerchiamo di contrastare, salvando il mondo, non si è generata dal nulla.<br />
<br />
<br />
Spesso dimentichiamo che non è il risultato di un destino avverso o traditore, ma il risultato di alcune azioni estremamente specifiche e di decisioni economiche, politiche e di visione del mondo (comprese quelle religiose). L'avidità, la mancanza di rispetto per la natura, l'egoismo, la mancanza di immaginazione, l'incessante rivalità e la mancanza di responsabilità hanno ridotto il mondo a livello di un oggetto che si può tagliare a pezzi, usare e distruggere.<br />
<br />
<br />
<b>Per questo credo di dover raccontare come se il mondo fosse un'entità viva, incessantemente formantesi sotto i nostri occhi e noi una sua al tempo stesso piccola e potente parte.</b><br />
<br />
<br />
© THE NOBEL FOUNDATION 2019<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<iframe allowfullscreen="" class="YOUTUBE-iframe-video" data-thumbnail-src="https://i.ytimg.com/vi/VvZAXL28K2E/0.jpg" frameborder="0" height="266" src="https://www.youtube.com/embed/VvZAXL28K2E?feature=player_embedded" width="320"></iframe></div>
<span style="font-family: "times new roman" , serif;"><u><span style="font-style: normal;"><span style="font-weight: normal;"><br /></span></span></u></span>
gmrobertohttp://www.blogger.com/profile/07424458071749974883noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-7602074521152130478.post-66228119752758660442019-09-08T11:06:00.000+02:002019-09-08T11:06:43.379+02:00La campana d'Islanda<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgQ15QMKVYlSZx3uxDaBvzBFeBEY8QytKYeCQSFXyu_laJ40gKefulIDB6GjielCVe795Bn1qg-EonDHw7C8JUxn5i_xAU4hZQFnFti3488C1TRpw07vlmjB0R8TaMT5WI9ApYzbR9nIGA/s1600/20190516162230_306_cover_media.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1411" data-original-width="708" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgQ15QMKVYlSZx3uxDaBvzBFeBEY8QytKYeCQSFXyu_laJ40gKefulIDB6GjielCVe795Bn1qg-EonDHw7C8JUxn5i_xAU4hZQFnFti3488C1TRpw07vlmjB0R8TaMT5WI9ApYzbR9nIGA/s400/20190516162230_306_cover_media.jpg" width="200" /></a></div>
Prendete un contadino islandese della metà del '600 che vive con la madre, la moglie e quattro figli (di cui due lebbrose e uno demente), un ribaldo di tre cotte che finirà col viaggiare in Germania, in Olanda, in Danimarca, che si ritroverà più volte in prigione e in attesa di essere giustiziato e affronterà tutte le sue vicissitudini intonando i versi delle saghe.<br />
Poi prendete uno studioso di queste antiche saghe islandesi, un latinista erudito il cui unico scopo nella vita è raccogliere e conservare tutti i documenti scritti che parlino della storia dell'Islanda e la cui inestimabile collezione di manoscritti e pergamene finirà in gran parte distrutta durante l'incendio di Copenhagen.<br />
E infine aggiungete una donna bellissima, perdutamente innamorata dello studioso ma che sposerà un possidente ubriacone che a un certo punto arriverà a vendere i suoi diritti sulla moglie in cambio di una bottiglia di acquavite.<br />
Di questi tre personaggi altamente improbabili e dell'ancora più improbabile intrecciarsi delle loro vicende parla <i>La campana d'Islanda</i>, probabilmente il magnum opus dell'unico islandese ad avere vinto il premio Nobel per la letteratura: Halldòr Laxness, di recente pubblicato nella magnifica traduzione di Alessandro Storti a cura della (sempre più) benemerita Iperborea.<br />
<br />
Come tutti i grandissimi romanzi della tradizione occidentale <i>La campana d'Islanda</i> è prima di tutto una formidabile storia, una di quelle che ti fanno rimanere col libro in mano a girare pagina dopo pagina in attesa di vedere come va a finire.<br />
Una storia in cui ognuno dei tre protagonisti (ma anche i tanti personaggi secondari e finanche le comparse) è tratteggiato con un'abilità che li rende autentici, credibili, vivi: da quell'autentica, irresistibile canaglia di Jón Hreggviðsson (antesignano di Bjarthur di Somarus, l'altra carogna che è il protagonista di un altro grande romanzo di Laxness, <i>Gente indipendente</i>) alla fame di libertà e amore assoluto di Snæfríður «Sole d’Islanda», che non potendo avere il migliore degli uomini sceglie di unirsi al peggiore pur di poter decidere in prima persona del proprio destino, al rovello interiore di Arnas Arnæus che si sente chiamato a un compito che non gli lascia spazio per nient'altro, questo libro si lascia con l'impressione di aver conosciuto persone in carne ed ossa tanto potente e tridimensionale è la loro rappresentazione sulla carta.<br />
<br />
Ma ovviamente dietro il puro e semplice (!) narrare, Laxness svolge una riflessione su almeno due piani: da un lato sul senso di cosa voglia dire essere islandesi, essere parte di una nazione sospesa fra i due pericoli opposti dell'isolamento totale e della colonizzazione (della Danimarca ai tempi della vicenda del racconto, degli Stati Uniti ai tempi in cui Laxness lo scrive); dall'altro (e questo è ovviamente un tema ben più universale) sul rapporto fra ogni uomo e il suo destino, fra ciò che sentiamo di essere e ciò che le forze della natura, della società e della storia ci fanno diventare.<br />
<br />
Quello che Laxness getta sugli islandesi e sull'umanità in generale non è un occhio particolarmente benevolo, ma la causticità della sua scrittura non diventa mai cinismo. È un'opera dura ma non disperata, anzi alla fine se ne esce paradossalmente ma decisamente rinfrancati. <br />
<br />
Leggetelo, ne vale davvero la pena.gmrobertohttp://www.blogger.com/profile/07424458071749974883noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7602074521152130478.post-57187105124026226432019-09-01T11:22:00.000+02:002019-09-01T11:22:24.318+02:00Laudamus te - G.L. Pease Union Square<div style="text-align: right;">
<i>"Sarà capitato anche a voi<br />di avere una musica in testa<br />sentire una specie di orchestra..."</i></div>
<div style="text-align: right;">
<i>(A. Amurri, B. Canfora, "Zum zum zum")</i></div>
<div style="text-align: right;">
<br /></div>
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhHcEVEgV6wFUBwh2_SmzaG77fNzReTPsOlxH3-N64x4sLIwCr5zjuZqUHmKj7zn7uwXPwzTrbiadxnqV5gm5M8EXYz725BZMwdeT0aGnelrH6liYCPA7CCY-GWFCVQDYo-x_sXUvu61ts/s1600/68449153_10217882020356353_7433515175832977408_n.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="628" data-original-width="960" height="260" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhHcEVEgV6wFUBwh2_SmzaG77fNzReTPsOlxH3-N64x4sLIwCr5zjuZqUHmKj7zn7uwXPwzTrbiadxnqV5gm5M8EXYz725BZMwdeT0aGnelrH6liYCPA7CCY-GWFCVQDYo-x_sXUvu61ts/s400/68449153_10217882020356353_7433515175832977408_n.jpg" width="400" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">La "mia" pergola in Polonia, in cui tutto questo arzigogolo ha avuto luogo</td></tr>
</tbody></table>
<div style="text-align: left;">
Se come me avete quarant'anni e più di ascolti musicali sulle spalle, anche a voi come a me sarà successo che in certe circostanze il giradischi della mente si metta a suonare per conto proprio, commentando i momenti che state vivendo con la musica secondo lui più adatta alla circostanza. E a quel punto il gioco diventa capire perchè: perchè proprio quella musica in quel momento? In qualche caso la spiegazione è relativamente semplice e magari abbastanza banalmente risiede nel testo che accompagna la musica: per dire, quando andavo all'università a dare gli esami quasi sempre mi faceva compagnia l'aria del Conte di Almaviva dal terzo atto delle Nozze di Figaro di Mozart, e in particolare l'inciso:</div>
<div style="text-align: left;">
<br /></div>
<div style="text-align: center;">
.<i>..già la speranza sola</i></div>
<div style="text-align: center;">
<i>delle vendette mie</i></div>
<div style="text-align: center;">
<i>quest'anima consola</i></div>
<div style="text-align: center;">
<i>e giubilar mi fa!</i></div>
<div style="text-align: left;">
<br /></div>
<div style="text-align: left;">
Eh sì, ingegneria non è stata proprio una passeggiata di salute.</div>
<div style="text-align: left;">
<br /></div>
<div style="text-align: left;">
In qualche altro caso però la suggestione è più sottile, per coglierla serve un lavoro un po' più di fino. </div>
<div style="text-align: left;">
Durante le - ahimè troppo brevi - vacanze estive di quest'anno me ne stavo beatamente a fumare il tabacco eponimo di questo post quando il giradischi ha preso a girare continuando a propormi una musica. </div>
<div style="text-align: left;">
Questa:</div>
<div style="text-align: left;">
<br /></div>
<div style="text-align: left;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg4-bW6Bg5o6ZU19jHjV-76VnoMvGcqhXixocI0l_7qXhFj3pnaVenWjTY3J6Zf6UvwGihyphenhyphenzWNRaB82LK_QPHy4tMBvWKks9wPXNDxTF46LufkOm3t9Xpk-mEYbGC2Gz8BCEBWXVPPX8k4/s1600/Schermata+2019-08-31+alle+09.59.59.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="55" data-original-width="890" height="39" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg4-bW6Bg5o6ZU19jHjV-76VnoMvGcqhXixocI0l_7qXhFj3pnaVenWjTY3J6Zf6UvwGihyphenhyphenzWNRaB82LK_QPHy4tMBvWKks9wPXNDxTF46LufkOm3t9Xpk-mEYbGC2Gz8BCEBWXVPPX8k4/s640/Schermata+2019-08-31+alle+09.59.59.png" width="640" /></a></div>
<div style="text-align: left;">
<br /></div>
<div style="text-align: left;">
</div>
<div style="text-align: left;">
</div>
<div style="text-align: left;">
</div>
<div style="text-align: left;">
<br /><br />"Allora, vediamo" - mi sono detto. "Bach. La <i>Messa in si minore</i>. <i>Laudamus te</i>. E che ci azzecca?"</div>
<div style="text-align: left;">
Il testo? <br /> </div>
<div style="text-align: center;">
<i>Laudamus te,</i></div>
<div style="text-align: center;">
<i>benedicimus te,</i></div>
<div style="text-align: center;">
<i>adoramus te,</i></div>
<div style="text-align: center;">
<i>glorificamus te</i></div>
<div style="text-align: left;">
<br /></div>
<div style="text-align: left;">
"No vabbè, in effetti il tabacco è squisito ma la tabaccolatrìa mi sembra un filino eccessiva. E quindi?"</div>
<div style="text-align: left;">
<br /></div>
<div style="text-align: left;">
Pensa, Gaetano, pensa.</div>
<div style="text-align: left;">
<br /></div>
<div style="text-align: left;">
"Che razza di musica è questa?" </div>
<div style="text-align: left;">
"Un'aria per soprano"</div>
<div style="text-align: left;">
"E basta?"</div>
<div style="text-align: left;">
"No beh, un'aria per soprano con violino solista obbligato"</div>
<div style="text-align: left;">
"Cioè praticamente?"<br />"Un... duetto?"</div>
<div style="text-align: left;">
"Ecco, chiamiamolo un duetto. E ora, di grazia, che tabacco stai fumando?"</div>
<div style="text-align: left;">
"L'Union Square di G.L. Pease"</div>
<div style="text-align: left;">
"Grazie all'ustnik. E come è fatto, di grazia, questo tabacco?"</div>
<div style="text-align: left;">
"Virginia"</div>
<div style="text-align: left;">
"Sì ma che tipo di Virginia? Bright, orange, lemon, rosso, firecured, stoved, cavendish, cosa?"<br />"Uè bello, calmo calmo, mò guardo la scatola e ti dico"<br />"Ecco bravo, guarda la scatola. Che c'è scritto?"<br />"From beautiful sweet brights to deep, earthy reds"</div>
<div style="text-align: left;">
"Cioè praticamente?"</div>
<div style="text-align: left;">
"Un... duetto?"</div>
<div style="text-align: left;">
"Bravo, lo vedi che quando ti applichi..."</div>
<div style="text-align: left;">
"Eh lo so, <i>potrebbe fare di più</i>..."</div>
<div style="text-align: left;">
"...<i>ma non si applica.</i>"</div>
<div style="text-align: left;">
<br /></div>
<div style="text-align: left;">
E in effetti ancora una volta il giradischi ci aveva preso in pieno. </div>
<div style="text-align: left;">
<br /></div>
<div style="text-align: left;">
Le arie con strumento solista obbligato sono una delle grandi specialità di Bach, e io ho il sospetto che questa predilezione sia dovuta al modo che esse offrono di sfuggire all'inerente staticità dell'aria tradizionale, nella quale la melodia non può far altro che contemplare sé stessa; beninteso fra queste contemplazioni ci sono alcune delle pagine più belle della storia della musica, ma per Bach la musica è sempre linea-contro-linea: contrappunto.</div>
<div style="text-align: left;">
<br /></div>
<div style="text-align: left;">
Allo stesso modo la cifra distintiva di questo ennesimo capolavoro di Pease sta tutta nel dialogo che si instaura fra i vari gradi di Virginia impiegati, dialogo che fornisce alla miscela una complessità, una ricchezza, un'evoluzione probabilmente inattingibili in altra maniera. </div>
E questo dialogo - si badi bene - non significa mancanza di unitarietà e di integrazione, perchè l'asso nella manica di Pease sta nell'aver scelto tipologie di Virginia sì diverse ma in grado di formare un tutto armonico, allo stesso identico modo in cui Bach nella scelta dello strumento solista ha sempre cura di selezionarne uno che in termini di tessitura e di armonici sia compatibile con la voce che deve accompagnare.<br />
<br />
Ora, raccontata in questo modo sembra che per apprezzare appieno l'Union Square sia necessario perlomeno un diploma di conservatorio e magari una specializzazione in musica antica, ma posso assicurarvi che non è affatto così: anche senza il giradischi che vi suona in testa potete godervi uno dei migliori Virginia attualmente in commercio, che tra l'altro si carica e si fuma con una facilità davvero disarmante e non è neanche particolarmente impegnativo in termini di nicotina.<br />
<br />
Insomma: anche se le vostre preferenze musicali inclinano verso il jazz, l'hard rock o i neomelodici fatevi un favore e procuratevi una scatola (o anche più di una, dato che ovviamente le potenzialità di di invecchiamento sono enormi) di questo tabacco. E mentre lo fumate di sicuro qualcosa comincerà a suonarvi in testa.<br />
<br />
<br />
<iframe width="560" height="315" src="https://www.youtube.com/embed/JGAsTaIGOlg" frameborder="0" allow="accelerometer; autoplay; encrypted-media; gyroscope; picture-in-picture" allowfullscreen></iframe>gmrobertohttp://www.blogger.com/profile/07424458071749974883noreply@blogger.com6tag:blogger.com,1999:blog-7602074521152130478.post-23522878795298996222019-08-29T11:09:00.001+02:002019-08-29T18:38:30.375+02:00Per questo tempo, per tutti i tempi: il quartetto Belcea suona Beethoven<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiGeM-hwwmNEwgc4HBbM-TVgwGOfIddqVALn-y5cBZ5ax-zH3HgVfFlEZT-l2TmJtdK9dH4yuKoL9iW1JjyhdaurMRgHwohMAPwpQJfUaEJaxfV-Js5Om3poHtSYfV_uNkpB8p_JaIq34M/s1600/69891341_2373366869650485_7124315218858999808_o.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" data-original-height="1067" data-original-width="1600" height="266" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiGeM-hwwmNEwgc4HBbM-TVgwGOfIddqVALn-y5cBZ5ax-zH3HgVfFlEZT-l2TmJtdK9dH4yuKoL9iW1JjyhdaurMRgHwohMAPwpQJfUaEJaxfV-Js5Om3poHtSYfV_uNkpB8p_JaIq34M/s400/69891341_2373366869650485_7124315218858999808_o.jpg" width="400" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><span style="font-size: xx-small;">Il quartetto Belcea a Varsavia, 27 agosto 2019. Foto (C) Wojciech Grzedziński / NIFC</span></td></tr>
</tbody></table>
<a href="#English">English version here</a>
<br />
Uno dei tanti vantaggi del trascorrere una parte del proprio agosto
in Polonia è che il soggiorno si interseca col festival musicale "Chopin
i jego Europa" ("Chopin e la sua Europa") che da quindici anni a questa
parte raduna a Varsavia il fior fiore del concertismo (pianistico ma
non solo) mondiale. <br />
Come tutti gli anni quando viene annunciato
il programma comincia per me un crudele gioco della torre, una spietata
selezione che ha lo scopo di conciliare la mia bulimia musicale con la
pazienza di Justyna e dei suoi parenti.<br />
Quest'anno il processo è stato
più facile del solito; quando a fine aprile la lista dei concerti è
stata resa disponibile uno ha assunto immediatamente i connotati della
più assoluta e imprescindibile necessità: quello di due giorni fa del
quartetto Belcea con in programma tre quartetti di Beethoven.<br />
<br />
L'<a href="https://outhere-music.com/en/albums/the-complete-string-quartets-alpha469">incisione discografica</a>
dell'integrale beethoveniana a cura del Belcea (registrata in concerto
fra il 2011 e il 2012 e apparsa nel 2014) è a mio parere la più
interessante fra quelle comparse in questo scorcio di XXI secolo.<br />
Il
Beethoven del quartetto Belcea non è - diciamo così - un Beethoven per
deboli di cuore: non è l'umanissima meditazione del quartetto Vegh, non è
la platonica contemplazione dell'armonia del quartetto di Tokyo, non è
la possente, tornitissima scultura del Quartetto Italiano. Quello del
Belcea è un Beethoven che abita un paesaggio scabro come quello
islandese di cui ogni rientranza, ogni dislivello vengono sottolineati
con un'urgenza espressiva ai confini con la ferocia. Tormento ed estasi
viaggiano affiancati e il senso della musica - sembra il messaggio di
questa interpretazione - risiede nel loro giustapporsi, nel modo in cui i
crepacci spaccano la roccia di basalto.<br />
Su questi presupposti, la
mia curiosità maggiore era capire se e come i sette / otto anni
trascorsi dalla registrazione avessero modificato l'approccio di questi
fenomenali musicisti a queste opere e il programma che comprendeva tutte
le fasi della produzione quartettistica beethoveniana (l'op. 18 n. 3,
l'op. 59 n. 2 e l'op. 135) sembrava un campione abbastanza significativo
per avere qualche indicazione in merito.<br />
<br />
Lo confesso: qualche
risposta l'ho avuta, ma è stata un'impresa ben più difficile del
previsto. È stata una faticaccia perchè quando si è travolti da tanta
bellezza gli argini di qualunque discorso analitico si mettono
pericolosamente a scricchiolare: come sempre succede quando hai la
fortuna di ascoltare artisti tanto dotati, quella che stai percependo in
quel momento ti sembra non l'unica intepretazione ma proprio l'unica
musica possibile. Voler elencare tutti i momenti da brivido si
ridurrebbe alla fine alla riproduzione integrale delle partiture dei
quartetti: in ordine sparso mi limiterò a citare il rapinoso inizio
dell'op. 18 n. 3, reso con una luminosità che ricreava un clima quasi da
<i>Kegelstatt-Trio </i>mozartiano, l'incredibile <i>Vivace</i> dell'op.
135 (forse il movimento in cui maggiore è stata la divergenza con la
registrazione in CD), trasformato in un organismo pulsante di vita, e il
finale di bruciante intensità del <i>Razumowsky </i>n. 2. <br />
Quasi nel dubbio che fino a quel momento le emozioni offerte fossero state poche, il Belcea ha offerto come bis la <i>Cavatina</i> dal quartetto op. 130, un'oasi di contemplazione che davvero si sarebbe voluto non finisse mai.<br />
<br />
Sì ma quindi?<br />
<br />
E
quindi sì, qualcosa è indubbiamente cambiato. L'intensità della luce è
la stessa, abbacinante, che nei CD, ma adesso è una luce più calda,
ancora nitidissima ma indubbiamente più soffusa: eravamo dalle parti del
<i>Settimo sigillo</i>, ora siamo pìù in zona <i>Posto delle fragole. </i> Il Beethoven del Belcea edizione 2011 era un Beethoven nostro contemporaneo, questo del 2019 è un Beethoven <i>eternamente </i>contemporaneo. Quello del 2011 era un Beethoven conturbante, questo è (anche) un Beethoven consolatore. <br />
<br />
E
insomma: questo è uno di quei viaggi in cui il percorso è più
importante della meta. E io non posso che augurarmi, che augurarvi, di
avere molte altre occasioni di fare un pezzo di strada insieme a questi <i>Fantastici 4 </i>dell'archetto.<br />
<br />
<span style="font-family: inherit;"> </span><span style="font-family: inherit;">
<a name="English"></a>
</span><br />
<div align="JUSTIFY" style="line-height: 115%; margin-bottom: 0cm; margin-top: 0.32cm;">
<span style="font-family: inherit;"><span lang="en-GB"><b>For
Our Time, For All of Time: The Belcea Quartet Plays Beethoven</b></span></span></span></div>
<span style="font-family: inherit;">
</span><div lang="en-GB" style="line-height: 115%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span>
</div>
<span style="font-family: inherit;">
</span><div align="JUSTIFY" style="line-height: 115%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: inherit;"><span lang="en-GB">One
of the many advantages of spending August in Poland is that my
vacation coincides with the "Chopin i jego Europa" ("Chopin
and His Europe") Music Festival in Warsaw that brings together
the best pianists - but not only - from around the world.</span></span></span></div>
<span style="font-family: inherit;">
</span><div align="JUSTIFY" lang="en-GB" style="line-height: 115%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span>
</div>
<span style="font-family: inherit;">
</span><div align="JUSTIFY" style="line-height: 115%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: inherit;"><span lang="en-GB">Every
year, when the programme is announced, I am cruelly challenged to
balance my musical bulimia with the patience of Justyna and her
relatives. This year, however, the selection was easier than usual.
When the schedule of concerts was announced at the end of April, one
performance stood out as absolutely essential: the Belcea Quartet’s
performance (two days ago) of three Beethoven Quartets.</span></span></span></div>
<span style="font-family: inherit;">
</span><div align="JUSTIFY" lang="en-GB" style="line-height: 115%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span>
</div>
<span style="font-family: inherit;">
</span><div align="JUSTIFY" style="line-height: 115%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: inherit;"><span lang="en-GB">In
my opinion, the Belcea Quartet’s complete recording of Beethoven’s
quartets (recorded live in 2011-12 and published in 2014) is the most
interesting of all those that have been published since the new
millennium.</span></span></span></div>
<span style="font-family: inherit;">
</span><div align="JUSTIFY" lang="en-GB" style="line-height: 115%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span>
</div>
<span style="font-family: inherit;">
</span><div align="JUSTIFY" style="line-height: 115%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: inherit;"><span lang="en-GB">Their
Beethoven is not – so to speak – one for the faint of heart. It
is not the human meditation of the Vegh Quartet, nor is it the
platonic contemplation of the Tokyo Quartet or the exquisite
sculpture of the Italian Quartet. </span></span></span>
</div>
<span style="font-family: inherit;">
</span><div align="JUSTIFY" lang="en-GB" style="line-height: 115%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span>
</div>
<span style="font-family: inherit;">
</span><div align="JUSTIFY" style="line-height: 115%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: inherit;"><span lang="en-GB">When
the Belcea Quartet performs Beethoven, we are presented with a rugged
Icelandic landscape in which every nook and cranny, every drop, is
emphasized with an expressive urgency that nears ferociousness.
Torment and ecstasy travel hand in hand and the sense of the music –
seems to be the message of this interpretation – resides in its
juxtapositions, in the way crevices pry basalt apart.</span></span></span></div>
<span style="font-family: inherit;">
</span><div align="JUSTIFY" lang="en-GB" style="line-height: 115%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span>
</div>
<span style="font-family: inherit;">
</span><div align="JUSTIFY" style="line-height: 115%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: inherit;"><span lang="en-GB">On
the basis of these assumptions, my greatest curiosity was to
investigate if and how the 7-8 years that had elapsed since the
recording had modified the approach of these phenomenal musicians to
these works. And the programme, which included every phase of
Beethoven’s Quartet Compositions (Op. 18 N. 3, Op. 59 N. 2 and Op.
135), presented a promising sample to understand this. </span></span></span>
</div>
<span style="font-family: inherit;">
</span><div lang="en-GB" style="line-height: 115%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span>
</div>
<span style="font-family: inherit;">
</span><div align="JUSTIFY" style="line-height: 115%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: inherit;"><span lang="en-GB">I’ll
confess. I did find some answers, but the enterprise was far harder
than planned. It was difficult, because when you are overcome by such
beauty, the confines of any analytic discourse begin to creak
dangerously. And as always happens when you have the good fortune to
listen to such talented performers, in that moment, your perception
is not just that it is the only possible interpretation, but that it
is the only possible music.</span></span></span></div>
<span style="font-family: inherit;">
</span><div align="JUSTIFY" lang="en-GB" style="line-height: 115%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span>
</div>
<span style="font-family: inherit;">
</span><div align="JUSTIFY" style="line-height: 115%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: inherit;"><<span lang="en-GB">I’d
love to list all of the spine-tingling passages, but it would amount
to the full performance of all the Quartets. I would, however, like
to underline the furtive beginning of Op. 18 N. 3 that was performed
with a luminosity that reminded me of the </span></span><span lang="en-GB"><i>Kegelstatt
Trio’s </i></span></span><span lang="en-GB">performance
of Mozart,</span></span><span lang="en-GB"><i> </i></span><span lang="en-GB">the
incredible </span></span><span lang="en-GB"><i>vivace</i></span></span><span lang="en-GB">
in Op. 135 (perhaps the movement with the greatest variation from the
recording) that was transformed into a life-pulsing entity, and the
intense finale of </span></span><span lang="en-GB"><i>Razumowsky </i></span></span><span lang="en-GB">N.
2. </span></span></span></div>
<span style="font-family: inherit;">
</span><div align="JUSTIFY" lang="en-GB" style="line-height: 115%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span>
</div>
<span style="font-family: inherit;">
</span><div align="JUSTIFY" style="line-height: 115%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: inherit;"><span lang="en-GB">As
if they felt they had not sufficiently fired our emotions, as an
encore, the Belcea Quartet performed the </span></span><span lang="en-GB"><i>Cavatina</i></span></span><span lang="en-GB"> from
the Op. 130 Quartet, an oasis of contemplation that I wish had never
ended.</span></span></span></div>
<span style="font-family: inherit;">
</span><div align="JUSTIFY" lang="en-GB" style="line-height: 115%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span>
</div>
<span style="font-family: inherit;">
</span><div align="JUSTIFY" style="line-height: 115%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: inherit;"><span lang="en-GB">And
so?</span></span></span></div>
<span style="font-family: inherit;">
</span><div align="JUSTIFY" lang="en-GB" style="line-height: 115%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span>
</div>
<span style="font-family: inherit;">
</span><div align="JUSTIFY" style="line-height: 115%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: inherit;"><a href="https://www.blogger.com/null" name="_GoBack"></a>
<span lang="en-GB">So,
yes, something has certainly changed. The light has the same dazzling
intensity as on the CD, but it has now turned warmer: crystal-clear,
but softer. It has morphed from </span></span><span lang="en-GB"><i>The
Seventh Seal</i></span></span><span lang="en-GB">
to </span></span><span lang="en-GB"><i>Wild
Strawberries</i></span></span><span lang="en-GB">.
The 2011 Beethoven by the Belcea Quartet was contemporary, the 2019
version is </span></span><span lang="en-GB"><i>eternally</i></span></span><span lang="en-GB">
contemporary. In 2011, their Beethoven was perturbing, now he is
(also) consolatory.</span></span></span></div>
<span style="font-family: inherit;">
</span><div align="JUSTIFY" lang="en-GB" style="line-height: 115%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span>
</div>
<span style="font-family: inherit;">
</span><div align="JUSTIFY" style="line-height: 115%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: inherit;"><span lang="en-GB">This
is one of those voyages during which the journey is more important
than the destination. And I can only hope that we will all have many
other opportunities to experience the </span></span><span lang="en-GB"><i>Fantastic
Four </i></span></span><span lang="en-GB">of
string instruments.
<br />
<br />
<br />
***
<br />
<br />
The English translation above is a gift from my friend Laurence Steinman. Thank you, Larry!</span></span></span></div>
<span style="font-family: inherit;">
</span><div align="JUSTIFY" lang="en-GB" style="line-height: 115%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span>
</div>
<span style="font-family: inherit;">
</span><div align="JUSTIFY" style="line-height: 115%; margin-bottom: 0cm;">
<span style="font-family: inherit;"><br /></span>
</div>
<span style="font-family: inherit;">
</span><style type="text/css">P { margin-bottom: 0.21cm; }</style><br />
<br />
<span style="font-family: inherit;"><style type="text/css">P { margin-bottom: 0.21cm; }</style></span>gmrobertohttp://www.blogger.com/profile/07424458071749974883noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-7602074521152130478.post-58824641483076913842018-09-08T16:07:00.000+02:002018-09-08T23:16:30.736+02:00Esercizi di traduzione dal polacco, 7<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEirUs0KnrLAMchGbGiscoUdHraLwACrMxhCyJJOwf65RmzkMU3CoCnCslZCKQY68r9GjiZTdTIUqYS-VuqUWDW_TN1ZBhnbamYTrawQMN1iQBnpV8VlhxjSYhnvOb4t7AI84YlKuZoS0Lo/s1600/14-22027.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="800" data-original-width="516" height="200" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEirUs0KnrLAMchGbGiscoUdHraLwACrMxhCyJJOwf65RmzkMU3CoCnCslZCKQY68r9GjiZTdTIUqYS-VuqUWDW_TN1ZBhnbamYTrawQMN1iQBnpV8VlhxjSYhnvOb4t7AI84YlKuZoS0Lo/s200/14-22027.jpg" width="128" /></a></div>
<div style="text-align: left;">
</div>
<div style="text-align: left;">
<i>Quello che segue potrebbe essere un editoriale apparso su un giornale o una rivista dei nostri giorni. Proprio di questi giorni, di oggi o al massimo di un paio di mesi fa. <br />E invece è apparso sulla rivista "Kultura" (il periodico culturale dei polacchi fuoriusciti dalla Repubblica Popolare, pubblicato dapprima a Roma e poi a Parigi) più di trent'anni fa a firma Sławomir Mrożek. Lascio al mio inclito pubblico il compito di trarre le conclusioni da questa circostanza, e vi lascio in compagnia della scrittura sempre affilatissima del Nostro.</i><br />
<br />
<br />
</div>
<div style="text-align: left;">
</div>
<div style="text-align: center;">
<h2>
SALUTI DA PARTE DI</h2>
<div style="text-align: left;">
<br /></div>
<div style="text-align: left;">
<br /></div>
<div style="text-align: left;">
Ciao, sono io, il vostro immortale, eterno, universale Cretino.</div>
<div style="text-align: left;">
Sono stato ovunque, ci sono stato sempre. Ma solo adesso sto davvero bene, sono sotto protezione e il mio futuro si prospetta più roseo di qualunque altro futuro nel passato: è finalmente giunto il tempo di due assiomi grazie ai quali mi sento meglio di quanto sia mai stato.</div>
<div style="text-align: left;">
Innanzitutto, è stato stabilito con certezza che io non esisto. Così come il diavolo, mi sento splendidamente dentro questa mia proclamata inesistenza. Si sa che il diavolo (che peraltro è mio cugino) solo di rado e malvolentieri si presenta nella sua vera forma; è un campione di mimetismo e sa bene il perchè: la credenza universale che non esiste gli dà la massima libertà d'azione. </div>
<div style="text-align: left;">
La faccenda con me funziona esattamente allo stesso modo. Continuate a essere certi che io non ci sono, ragazzi miei, e io me la sfango alla grande.</div>
<div style="text-align: left;">
Che io non esista non l'hanno proclamato direttamente, ma per me poco cambia. Che io non esista è derivato da considerazioni altamente nobili e da fini superiori, nessuno mi aveva messo in conto, ma per me è ancora meglio così. La mia inesistenza è un prodotto collaterale, un effetto indesiderato - così come in medicina nuove e molto interessanti manifestazioni della sifilide sono un effetto imprevisto e indesiderato dell'aver debellato la sifilide tradizionale, della resistenza che i batteri sviluppano ai nuovi farmaci. Anche l'ecologia è piena di esempi di questo genere. Detta in breve, quando hanno proclamato che tutti gli uomini sono uguali, ne è derivato che nessuno è più stupido di un altro. Quindi è stato giocoforza ammettere, in nome dell'uguaglianza, che tutti sono ugualmente stupidi oppure ugualmente intelligenti. Questa scelta non è davvero tale, visto che entrambe le alternative sono insensate allo stesso modo. Ciononostante, in nome dell'amor proprio collettivo, è stata scelta la seconda delle due.</div>
<div style="text-align: left;">
Il secondo assioma che giova alla mia salute è la convinzione che l'ideologia (questa o un'altra verrebbe da dire, ma non si può perché si tratta sempre di quell'ideologia che uno sceglie come propria) garantisce <i>ipso facto</i> l'intelligenza di chi la sceglie. E tutte queste ideologie sono raggruppate in due distinti mucchi (1) , chiamati "di sinistra" e "di destra".</div>
<div style="text-align: left;">
Al giorno d'oggi non si può più aprire il giornale, ascoltare la radio, ascoltare e guardare quello che dice e mostra la televisione, né tantomeno parlare con qualcuno, neanche con sé stessi, senza che tutto, davvero tutto, venga etichettato come "di sinistra" o "di destra". Nessuno chiede più se qualcosa è stupido o intelligente, onesto o disonesto, alto o basso, piccolo o grande, aperto o chiuso, rado o denso, molle o duro, rotondo o quadrato, secco o umido, se è fangoso, se è dritto, storto, se profuma, puzza, se sta fermo, cammina, è vivo, è morto, parla, grida, tace, se è velenoso, saporito, se viene da un uccello, da un rettile, da un animale da pelliccia. Dio mio, queste domande potrebbero moltiplicarsi all'infinito visto che infinitamente ricco è il nostro mondo. Invece no, esiste una sola domanda, "progressista o reazionario", "di destra o di sinistra". </div>
<div style="text-align: left;">
Questo impoverimento, questo appiattimento, questa desertificazione, questa morte dell'intelligenza e della sensibilità umane si sono compiute dapprima dove già l'ideologia impera e poi si sono propagate nel resto del mondo e ovunque avanzano, gradatamente ma velocemente. Il signor Mrożek non legge più la stampa polacca perchè già da lungo tempo la conosce a memoria. Legge ancora l'"International Herald Tribune" ma sempre più malvolentieri, perchè già molto di quello che trova in quel giornale potrebbe citarlo prima ancora di cominciare a leggere. Molto e sempre di più, perciò per lui è sempre più noioso. </div>
<div style="text-align: left;">
E a me, Grande Cretino, tutto questo va a meraviglia. Chi più si interessa, chi più si preoccupa di me, chi più mi perseguita se l'unica cosa importante è "di destra" o "di sinistra"? Si parla ancora del Grande Inquisitore, lui ancora va un po' di moda, ma sul Grande Cretino silenzio assoluto. Me la spasso ovunque ne abbia voglia, per me "sinistra" o "destra" sono ugualmente buone, purchè trovi una qualunque occasione in una qualunque delle due zone. A volte queste occasioni sono di più qua, a volte là: questo dipende dall'epoca storica, cioè da quale parte è il potere. E per questo non è neanche necessario che sia potere nella sua forma più pura, potere politico: va bene anche lì dov'è la moda: del resto i legami fra moda e potere sono nascosti ma indubbi. Lì dov'è la moda si raccolgono più numerosi i miei discendenti, i miei figli, i miei piccoli cretini, formando un forte gruppo. E preparano sabba, banchetti e rituali nei quali mi manifesto io, il Grande Cretino, in tutta la mia maestà. Sono orge davvero belle. </div>
<div style="text-align: left;">
I piccoli cretini, i miei bambini adorati, mi rendono tanti servizi. E' noto - vedi l'assioma numero uno - che nessuno è più stupido di un altro. Perciò quando un piccolo cretino qualunque, in una delle innumerevoli discussioni che hanno luogo senza sosta, afferma che di notte è chiaro e di giorno è buio bisogna - perchè non si può fare altrimenti - mettersi a discutere con lui e dimostrare che è di notte che è scuro e di giorno è chiaro. In questo modo quelli che avrebbero qualcosa di più e di più interessante da dire si logorano in queste discussioni, facendo per di più la figura dei fessi perchè chiunque si metta a dimostrare che di notte è buio e di giorno chiaro deve giocoforza fare la figura del fesso. Invece il piccolo cretino che ha iniziato la discussione non fa affatto la figura del fesso, al contrario, il suo è "un pensiero originale", "un'idea interessante". Ovviamente sarebbe molto più semplice dirgli "Stai zitto, piccolo cretino!" ma questo non si può fare a nessun costo perchè sarebbe "una mancanza di rispetto per la personalità umana". </div>
<div style="text-align: left;">
Sì, gli assiomi numero uno e numero due sono per me una gran bella cosa. Ma vi svelo il segreto più importante della mia potenza: io non sono un essere materiale, sono un'essenza. Sono come l'etere, come un ectoplasma, come l'energia. Per questo posso passare attraverso i muri e entrare nei cervelli, non c'è barriera che mi possa resistere. Scorro, mi infiltro, divento solido, evaporo a mio piacimento. Le condizioni storiche possono essermi più o meno favorevoli ma per mia natura io sono al di là della storia e della sociologia, in ultima analisi indipendente da loro.</div>
<div style="text-align: left;">
Giustamente una volta il signor Mrożek ha osservato che "non c'è nessuno tanto intelligente che almeno una volta non abbia pensato, si sia espresso, si sia comportato in maniera stupida. E non c'è nessuno tanto stupido che almeno una volta non abbia pensato, si sia espresso, si sia comportato in maniera intelligente". Bravo, signor Mrożek, bravo. E tu chi sei, signor Mrożek, che ne pensi, eh? Ecco, appunto, signor Mrożek: per questo e per ogni eventualità è meglio che tu adesso, subito, all'istante, la smetta di scrivere.<br />
<br />
(da "Kultura", 4/1985) </div>
<div style="text-align: left;">
<br /></div>
<div style="text-align: left;">
----------------------------------------------------------------------------</div>
<div style="text-align: left;">
<br /></div>
<div style="text-align: left;">
(1): qui Mrożek usa un gioco di parole intraducibile in italiano: "dwie osobne kupy" significa sia "due mucchi distinti" che "due merde differenti".</div>
</div>
<br />gmrobertohttp://www.blogger.com/profile/07424458071749974883noreply@blogger.com8tag:blogger.com,1999:blog-7602074521152130478.post-52184549644412501582017-09-23T17:19:00.001+02:002017-09-23T20:18:49.643+02:00Contredanse en ROONdeau<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgpUdeyLquaXLfuxyit5wpunlXa04in8lku4yEx5JYgKahJoXOE2jVlghYG2uxfEZoICCK86UEvZNa33cMcA8zLL4p8wDt7kPTq2cY2tw1p8U41XGO9tbhGtTkC58xkX9QOifhzT2yb4R0/s1600/careerbuilder-ar_post-29.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="855" data-original-width="1140" height="300" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgpUdeyLquaXLfuxyit5wpunlXa04in8lku4yEx5JYgKahJoXOE2jVlghYG2uxfEZoICCK86UEvZNa33cMcA8zLL4p8wDt7kPTq2cY2tw1p8U41XGO9tbhGtTkC58xkX9QOifhzT2yb4R0/s400/careerbuilder-ar_post-29.jpg" width="400" /></a></div>
Lo dico - ahimè - per esperienza personale: l'informatico non è esattamente un mestiere glamour. A dirla tutta, confessare oggi di occuparsi di informatica è più o meno come dichiarare negli anni '70 di fare il ragioniere. Utile eh, per carità: in fondo qualcuno che capisca perché Facebook non risponde o perché la stampante si è inceppata può far comodo. Ma noioso, noioso all'inverosimile e senza speranza, noioso come un documentario armeno da quattordici ore sulla transumanza delle pecore visto in lingua originale. Magari se si fa parte della ristretta élite degli sviluppatori di videogame si può sperare di risalire qualche posizione (a patto di avere di fronte una platea di ragazzini, beninteso) ma per il resto di noi lo stigma del ragioniere è qualcosa con cui non possiamo fare altro che imparare a convivere. E del resto non c'è da stupirsi: quand'è l'ultima volta che a qualcuno di voi è capitato di emozionarsi davanti a un pezzo di software? Che so, davanti alle mirabolanti capacità di calcolo di Excel? O alla ricchezza dei font di Word?<br />
Ecco, appunto.<br />
Ora, lungi da me voler negare l'evidenza: ciononostante in questo post vorrei raccontare come di recente mi sia capitato di emozionarmi davvero davanti a un programma: <a href="http://www.roonlabs.com/">Roon</a>.<br />
<br />
Se avete come me qualche terabyte di dati in tracce audio, conoscete la sensazione: supponete di voler ascoltare il primo concerto di Brahms suonato da Gilels coi Berliner e Jochum. Quello che vi si para davanti (più o meno) è qualcosa di questo genere:<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEibS4zaEI-QPa79zUZSWj1aloprUEbSpsrTZpuPXxODmvERvMMJwaLnJ4obaixeRgT1Jz6hMxHd2MEv_iTVAS0JSy8nw5t4IqxoSnBQFWVHFEwdvAGEMqhSHhOJzQLS6ZA4-WffC9NinYM/s1600/Schermata+2017-09-23+alle+16.37.12.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="467" data-original-width="1316" height="227" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEibS4zaEI-QPa79zUZSWj1aloprUEbSpsrTZpuPXxODmvERvMMJwaLnJ4obaixeRgT1Jz6hMxHd2MEv_iTVAS0JSy8nw5t4IqxoSnBQFWVHFEwdvAGEMqhSHhOJzQLS6ZA4-WffC9NinYM/s640/Schermata+2017-09-23+alle+16.37.12.png" width="640" /></a></div>
<br />
che è la quintessenza di quello che il mio amico Antonio con felicissima espressione ebbe a chiamare "delirio alberante". Ora, io sono un informatico e i deliri alberanti sono il mio pane. Ma l'impatto emotivo è modesto, non c'è ombra di dubbio.<br />
<br />
Roon legge i vostri file musicali, li importa nella sua libreria e trasforma quello che vedete qua sopra in quello che vedete qua sotto:<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhPEHDWV9zbKg_jC-OOaHeF5WicSSRrLgmXaOJRW1IH-8n5EQxXuf8xpQ8HhcLaDT4lbbKmlKqsDWco1D8YPP9i9XM0vKNeqHt8oNkxICSdrss3e0sdp2lODYQAcJ1r79po8BVgpbU5jbg/s1600/Schermata+2017-09-23+alle+16.39.25.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1116" data-original-width="1571" height="454" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhPEHDWV9zbKg_jC-OOaHeF5WicSSRrLgmXaOJRW1IH-8n5EQxXuf8xpQ8HhcLaDT4lbbKmlKqsDWco1D8YPP9i9XM0vKNeqHt8oNkxICSdrss3e0sdp2lODYQAcJ1r79po8BVgpbU5jbg/s640/Schermata+2017-09-23+alle+16.39.25.png" width="640" /></a></div>
<br />
che è indubbiamente tutta un'altra esperienza. Ma non è solo una questione di piacevolezza estetica: tutto quello che nell'immagine qui sopra vedete scritto in azzurro è un link. Se clicco su "Emil Gilels" ottengo:<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhWLcMSNghjeIzuQNgklyd64ajyVZ5-iEj00KZzXkMi6ZW1xb8-jK1PKlBiTOMaWpfssbI430iThPRJfNlV_viD1FZgpiggWe31l6fD1_NoXC69WbzFV3kHf234tdKmje3GeYK-XB8nKrE/s1600/Schermata+2017-09-23+alle+16.49.30.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1120" data-original-width="1577" height="454" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhWLcMSNghjeIzuQNgklyd64ajyVZ5-iEj00KZzXkMi6ZW1xb8-jK1PKlBiTOMaWpfssbI430iThPRJfNlV_viD1FZgpiggWe31l6fD1_NoXC69WbzFV3kHf234tdKmje3GeYK-XB8nKrE/s640/Schermata+2017-09-23+alle+16.49.30.png" width="640" /></a></div>
<br />
ossia una biografia ragionevolmente completa di Gilels e sotto l'elenco dei brani suonati da lui nella mia libreria. E posso fare la stessa cosa con Eugen Jochum e finanche con la Filarmonica di Berlino.<br />
Non basta: se mi punge vaghezza di vedere quali altre versioni del primo di Brahms ho a disposizione, non devo far altro che fare clic sull'icona a forma di LP a fianco del brano e voila:<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhS_BrT28O3Lx4s3AsouHZMjnM-3zeKqhvdliW09YK2BMcjn5mDdcHe4cJdabg8wLzaRI32qbS5nBh_7S6aXVJfxIKUt3Jfa6TBh2bXz0gUXC788twZZVVAH_gkrRJ0pNue9ggwISXW8sA/s1600/Schermata+2017-09-23+alle+16.54.05.png" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1124" data-original-width="1572" height="456" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhS_BrT28O3Lx4s3AsouHZMjnM-3zeKqhvdliW09YK2BMcjn5mDdcHe4cJdabg8wLzaRI32qbS5nBh_7S6aXVJfxIKUt3Jfa6TBh2bXz0gUXC788twZZVVAH_gkrRJ0pNue9ggwISXW8sA/s640/Schermata+2017-09-23+alle+16.54.05.png" width="640" /></a></div>
<br />
e così via all'infinito.<br />
<br />
Insomma, la cosa straordinaria di questo software è la capacità di trasformare una sequenza lineare di file in un immenso grafo completamente navigabile e arricchirlo con una tale marea di informazioni aggiuntive che è praticamente impossibile iniziare una sessione d'ascolto e uscirne senza aver imparato qualcosa di nuovo.<br />
Ma non pensiate che con Roon siete limitati ad ascoltare musica attraverso il vostro PC: Roon è infatti un intero ecosistema di dispositivi che colloquiano fra loro via rete ed è semplicissimo configurarlo anche in modalità multiroom, così da poter mandare musica diversa in punti diversi della casa, controllando il tutto attraverso computer, smartphone o tablet.<br />
<br />
È tutto perfetto? Ovviamente no. Ogni tanto (specie coi cofanetti-monstre di musica classica) l'identificazione dei file non è perfetta. Ma per fortuna il programma vi mette a disposizione la possibilità di correggere ed editare a piacere gli album della sua (della vostra) libreria, anche fondendone più di uno insieme. E anche questo contribuisce a riappropriarsi di quegli asettici byte imprigionati nei vostri hard disk. Come ho letto in una delle prime e più indovinate <a href="http://www.tonepublications.com/spotlight/roon-is-here-worlds-first-in-depth-review/">recensioni</a> che ho trovato in rete, "è come trascorrere tutta la giornata in un negozio di dischi": e chi ha la fortuna di ricordare cosa fossero i negozi di dischi di una volta, capirà perfettamente il senso e la portata di questa affermazione.<br />
Poi c'è l'aspetto della lingua: al momento interfaccia e contenuti sono disponibili solo in inglese. Ma non c'è motivo di pensare che nel prossimo futuro questa limitazione non possa venire superata.<br />
Infine, c'è il capitolo costi. Roon viene fornito con una licenza a sottoscrizione, e costa 119 dollari per un anno oppure 499 dollari per una sottoscrizione a vita. Non sono proprio cifre irrisorie, ma a ben pensarci si tratta di spendere 10 dollari al mese per poter trasformare completamente il proprio modo di vivere la musica digitale.<br />
<br />
Una volta Isaac Asimov scrisse che "ogni tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia". Ecco, in sintesi Roon è questo: un'esemplificazione pratica di questa affermazione.<br />
<br />gmrobertohttp://www.blogger.com/profile/07424458071749974883noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-7602074521152130478.post-44834155079930477362017-08-16T15:12:00.001+02:002017-08-17T09:18:20.650+02:00Esercizi di traduzione dal polacco, 6<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi26he_IJNKU8BKucZcGRQLLCOZw94gru6MuiLF-7nPNusoWXET1hmjEDjhF2n0nCcHKsrN7j6FJglR5dznqLFpFCMK7wM0gDEIScMhtNWE48n6payJWFe6Ju1eq9Y54seZtFCCG0nzBWI/s1600/Filipowicz1.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="327" data-original-width="456" height="286" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi26he_IJNKU8BKucZcGRQLLCOZw94gru6MuiLF-7nPNusoWXET1hmjEDjhF2n0nCcHKsrN7j6FJglR5dznqLFpFCMK7wM0gDEIScMhtNWE48n6payJWFe6Ju1eq9Y54seZtFCCG0nzBWI/s400/Filipowicz1.jpg" width="400" /></a></div>
<i>Quella di Kornel Filipowicz (1913-1990) è una figura oggi quasi dimenticata (o almeno non ricordata come meriterebbe) anche in Polonia. Maestro assoluto del racconto breve, ma anche sceneggiatore e poeta, Filipowicz viene tuttalpiù ricordato per essere stato per decenni il compagno di vita di Wislawa Szymborska. Eppure è un autore di una modernità, di una pregnanza espressiva, di un nitore stilistico abbacinanti. </i><i>Le sue raccolte di racconti sono di difficile reperibilità anche in Polonia, sicché a un'intera generazione di lettori è stato di fatto precluso l'accesso ad alcune delle gemme più preziose della letteratura polacca del XX secolo. A questo stato di cose ha posto (sia pur parzialmente) rimedio un'antologia curata da Justyna Sobolewska che è apparsa quest'anno per i tipi dell'editore Znak di Cracovia. Da questa raccolta ("Moja kochana, dumna prowincja", "Mia cara, orgogliosa provincia") è tratto il folgorante racconto che vi propongo qui di seguito. </i><br />
<i><br /></i>
<br />
<h2 style="text-align: center;">
La farfalla rara</h2>
<div>
<br /></div>
<div>
Era una tranquilla e soleggiata mattina d'autunno. Non c'era vento, ma quando aprii la porta e le finestre l'aria fredda che proveniva dalla zona in ombra della casa cominciò a fluire nell'appartamento. Le finestre della mia camera davano a sud, il sole scaldava, nella stanza era tiepido. Presi in mano un libro qualunque, aspettando che l'aria fresca riempisse tutto l'appartamento prima di chiudere porta e finestre e mettermi al lavoro. Sollevai gli occhi dal libro, guardando davanti a me senza pensare. Stando così vedevo tutto pur senza vedere nulla; né del resto avevo bisogno di vedere nulla, visto che da molti anni nella mia stanza non era cambiato praticamente niente: i mobili e gli oggetti non si erano spostati neanche di un centimetro, nulla fra essi era stato tolto, molto poco era stato aggiunto.</div>
<div>
Ed ecco che improvvisamente, in un angolo del tavolo vuoto, a una distanza di un metro, un metro e mezzo al massimo, mi accorsi di una presenza viva, una presenza che non vedevo da tantissimo tempo e forse mai così da vicino. Era un podalirio.</div>
<div>
Quando mezzo secolo prima questa farfalla straordinaria ed estremamente rara era apparsa nel mio campo visivo avevo provato un sentimento la cui forza non era paragonabile a nulla. Quella visione mi aveva semplicemente tolto il respiro. Ah, quanto avrei desiderato possederla: pescarla col retino, vederla dibattersi nella rete, tenerla in mano e poi - ovviamente - addormentarla col cloroformio, dispiegare le sue belle ali sul tavolino, infilzarla con uno spillo, averla nella mia collezione! Potermela riguardare a piacimento! Desideravo così tanto prenderla che quando per un solo secondo si posava su un fiore, su un sasso, su un filo d'erba, in quegli istanti tutto il resto cessava di esistere. Non c'erano più il tempo, il mondo, la mia casa, la famiglia, la scuola. Niente. Io stesso dimenticavo di esistere. </div>
<div>
Ed ecco adesso, in una mattinata dell'inizio di ottobre del 1975, questa farfalla straordinaria era volata da molto lontano fino a me e mi si era posata vicino, a una distanza non più grande del mio braccio disteso. Non avevo nessun dubbio che fosse proprio lui: era lui, il viandante, il viaggiatore instancabile dal volo veloce ed efficace come il volo di un uccello. Non era nessuna di quelle fragili, ordinarie farfalle con le quali il vento gioca come con le foglie che cadono dagli alberi, nessuna di quelle creature deboli e sciocche che non ricordando da dove vengono non desiderano tornare da nessuna parte: vivono dell'istante e del luogo nel quale il caso li ha fatti trovare. Lui, il podalirio, affrontava lunghi viaggi ma sapeva dove era diretto e perché. Volava di solito a grandi altezze, ma qualche volta, obbedendo forse a un ricordo o a un ordine, o forse solo per riposarsi e ristorarsi, interrompeva il suo volo, chiudeva le ali e lentamente, volteggiando con dolcezza, si fermava sul fiore bianco, dal profumo stordente, del sambuco selvaggio, su un cespuglio di pruno, sulla riva umida di un ruscello o ai margini di un sentiero arido come quello che stavo percorrendo io. In quegli istanti ce l'avevo a portata di vista, ma rapidamente lui si riscuoteva e volava via. La sua fretta impaziente testimoniava del fatto che non si trattava di una farfalla qualunque, ma di una staffetta segreta che recava con sé gli ordini di qualcuno o qualcosa di grande: Dio, il sole, forse un re. Era attento, all'erta e sul chi vive: ma non per vigliaccheria, era consapevole che il segreto che gli era stato affidato non poteva cadere in mani estranee. All'epoca, quando avevo dieci o forse dodici anni, non potevo sapere che dandogli la caccia e privandolo della libertà e della vita, avrei potuto provocare l'interruzione di qualche importante anello della catena che lega insieme le cose e le vicende di questo mondo: le colline, le valli, le pietre, i fiori, il cielo, la terra, l'aria, l'acqua, la notte e il giorno. O forse qualcosa vagamente intuivo, solo che il mio desiderio di possesso era più forte della paura che potesse succedere qualcosa di male. A quel tempo si sarebbe potuto rovesciare tutto il mondo, si sarebbero potuti seccare i fiumi e appassire tutti i fiori, purché io avessi quella farfalla così rara e così bella!</div>
<div>
Ed ecco, quella farfalla ora ce l'avevo tanto vicino a me, dentro la mia stanza. Si muoveva, costeggiando lentamente il bordo del tavolo, chiudendo e riaprendo le sue meravigliose ali. Il loro tessuto era della più alta qualità, la freschezza dei colori non aveva paragoni. Il taglio era impeccabile, l'eleganza immacolata. La finitura dei dettagli era talmente curata da dare l'idea che il podalirio fosse destinato a durare in eterno. La farfalla chiuse le ali, per un istante si spense lo stupefacente splendore dei suoi colori, e si abbassò la tensione dei contrasti fra i gialli, i neri, i blu, i rossi, Adesso sembrava grigia e scialba. Di certo era stanco del lungo viaggio. Riposava. Anch'io sedevo immobile e la guardavo, andò avanti così a lungo. Avrei potuto se solo l'avessi voluto fare in qualunque momento un passo in direzione della finestra, chiuderla, catturare la farfalla: sarebbe bastato indovinare la direzione del suo movimento. E allora perché non mi muovevo, perché non chiudevo la finestra? Perché? Cinquant'anni prima l'avrei fatto all'istante. E adesso più a lungo durava la mia immobilità meno probabilità avevo. E sapevo perfettamente che qualcosa di simile non mi sarebbe ricapitato di nuovo, che era un miracolo che non si sarebbe ripetuto. La farfalla mosse le ali, le aprì e di nuovo ne vidi i dorati, vellutati interni coperti da un mosaico di macchie nere allungate e decorati di picchiettature rosse e celesti simili a pietre preziose. Di nuovo vidi la sua perfetta interezza, terminata da due punte simili a code di rondine, che sembravano parlare e dire: ecco una conclusione di una forma che non potrebbe essere diversa perché sarebbe peggiore. Di nuovo potei ammirare la sua leggerezza, la sua eleganza, la sua grazia, la sua forza. E ciò che non si può rendere a parole: la particolarità, l'eccezionalità di questa forma di vita come fenomeno.<br />
Il podalirio non volò via. Aprendo e chiudendo le ali passeggiava lentamente sulle sue bianche, pelose zampette sul legno del tavolo. Non era ancora troppo tardi per catturarlo, era l'ultimo minuto, era l'ultima cortissima frazione di minuto in cui ancora avrei potuto farlo. Ma non lo feci. Perché in verità io ero ancora la stessa persona che cinquant'anni prima aveva provato a catturare questa straordinaria farfalla, ma il mio sentire era differente, aveva una qualità diversa. Ero ancora abbastanza il ragazzino che vede molto bene e le cui esperienze sono sempre molto intense; ma ormai ero anche uno che non fa nulla per entrare in possesso di ciò che ammira. Perché ero vecchio e anche i miei più forti sentimenti erano limitati da ciò che era destinato a sopravvivermi, da un grande disinteresse ed indifferenza. E tuttavia mi sentivo un po' triste, e questo sentimento aveva un sapore fastidioso, spinoso, amaro, come se mi dispiacesse per qualcuno che dentro di me non c'era più. Sebbene guardassi ancora la farfalla, sebbene apprezzassi la sua bellezza e la sua straordinarietà, non emanava più da essa quella fascinazione stregonesca che allora mi avvolgeva tutto in un cattivo, crudele desiderio che richiedeva un'immediata soddisfazione. Mentre ancora lo osservavo e pensavo a lui, il podalirio inaspettatamente (anche se in realtà me l'aspettavo) prese il volo, descrisse un arco nell'aria e scomparve. Scomparve, cessò di esistere, come svanisce improvvisamente un pensiero, come si dissolve un'immagine, come si estingue un suono. Rimase l'angolo vuoto del tavolo. I muri. La porta. Le finestre.<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhBhy44jXyc52L1w-IBdHeH3rLssz914gDbcoXgOMGgKwpcU1T4YqBDjRs5z8NbrNGbOTd51UD4ncR9UcmYpGfnwsof2SmWgupsYPEpM2oGawAVcCMfuBStYJKMTVit30Z6LW-KIBg59cA/s1600/paz-zeglarz.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="318" data-original-width="300" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhBhy44jXyc52L1w-IBdHeH3rLssz914gDbcoXgOMGgKwpcU1T4YqBDjRs5z8NbrNGbOTd51UD4ncR9UcmYpGfnwsof2SmWgupsYPEpM2oGawAVcCMfuBStYJKMTVit30Z6LW-KIBg59cA/s400/paz-zeglarz.jpg" width="377" /></a></div>
</div>
gmrobertohttp://www.blogger.com/profile/07424458071749974883noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7602074521152130478.post-63297589557021801512017-03-04T10:40:00.000+01:002017-03-05T11:34:58.515+01:00Beatrice Rana suona Bach<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiEC1v9j97lOO-Nb0dXQTS8un_IFf3ZPT-mmIqEHOC6L359aD0jGWK6kaPrCtfCyiny7ZMZ3_uqMccJEPKMnGXy5VTMO_Rlf22FH0du-9BeNWNpFtIQe_B-02kEYgEPiksuETeSzYqTpSs/s1600/cover.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiEC1v9j97lOO-Nb0dXQTS8un_IFf3ZPT-mmIqEHOC6L359aD0jGWK6kaPrCtfCyiny7ZMZ3_uqMccJEPKMnGXy5VTMO_Rlf22FH0du-9BeNWNpFtIQe_B-02kEYgEPiksuETeSzYqTpSs/s400/cover.jpg" width="400" /></a><br />
Quando - non più tardi della settimana scorsa - ho avuto tra le mani il CD delle Variazioni Goldberg suonate da Beatrice Rana ho fatto quello che di solito faccio con ogni nuovo disco: ho dato uno sguardo al libretto allegato. Nell'interessantissimo scritto a firma della stessa pianista contenuto nel libretto medesimo (per inciso: questa ragazza non solo suona come suona ma scrive in maniera deliziosa. In un momento storico nel quale la maggior parte dei suoi coetanei annaspa penosamente con l'ortografia, già questo è un piccolo miracolo) ho trovato questa frase: "<i>così come l’umanità necessità della spiritualità, anche la spiritualità</i><br />
<i>ha bisogno dell’umanità</i>". Ora, io sono uno che - parafrasando qualcuno di infame memoria - "quando sente la parola spirituale mette mano alla pistola", sicché non posso negare che una piccola alzata di sopracciglio l'ho avuta. In realtà, e questo l'ho capito man mano che procedevo negli ascolti, nel caso di specie avrei fatto probabilmente meglio a invertire l'ordine dei fattori: prima ascoltare e poi leggere.<br />
<br />
Le Goldberg suonate da Beatrice Rana non sono il metafisico viaggio iniziatico fra abissi e vette della versione di Gould del 1982; non sono neanche il severo edificio luterano di Gustav Leonhardt nel 1965. Da questa lettura promanano invece un calore, un'affettuosità, una umanità - per l'appunto - a mia conoscenza finora inattinte, quasi che la pianista avesse fatte proprie le parole che Beethoven mise in esergo a un altro sommo monumento musicale, la <i>Missa Solemnis: Von Herzen — Möge es wieder — Zu Herzen gehn!</i> (dal cuore - possa nuovamente - andare al cuore).<br />
<br />
In questa incisione l'esecutrice sceglie - come ormai oggi è consuetudine - di eseguire tutti i ritornelli indicati da Bach. Questa decisione pone all'interprete il problema di come evitare la monotonia che sarebbe inevitabile limitandosi a risuonare da capo nota per nota. La strada seguita da molti (penso ad esempio alla fenomenale esecuzione di Ottavio Dantone al clavicembalo o a quella di Alexandre Tharaud al pianoforte) consiste nel variare la linea melodica arricchendola con ornamentazioni di ogni genere. Beatrice Rana è da questo punto di vista molto più discreta, ma sceglie una soluzione alternativa molto interessante perché molto <i>pianistica</i>: sfrutta due elementi (la possibilità di graduare le dinamiche e di variare l'articolazione fra staccato e legato) impossibili da realizzare al clavicembalo. Il risultato è di grande fascino e talvolta (penso ad esempio alla variazione X, <i>Fughetta</i> o alla XXII <i>alla breve</i>) è in grado di gettare una luce affatto nuova su musica che qualunque musicofilo pensa di conoscere ormai a menadito.<br />
<br />
Molti altri elementi si potrebbero riferire ed approfondire, ma non credo si renda davvero giustizia a questa lettura cercando di vivisezionarne ogni nota e ogni pausa: come ebbe a scrivere Glenn Gould (inevitabile convitato di pietra in ogni discorso che abbia a tema le Goldberg) <i>penso infatti che la fondamentale ambizione di quest'opera per quanto riguarda la variazione non vada cercata in una costruzione organica ma in una comunità di sentimento</i>.<br />
<br />
E con questo ritorniamo - circolarmente come la musica di cui stiamo parlando - all'umanità cui si faceva cenno all'inizio: è impossibile ascoltare questo disco senza lasciarsi contagiare dal clima di gioia sommessa, leopardianamente <i>lieta e pensosa</i>, che se ne irradia. Un clima che per certi versi (me ne rendo conto adesso, a cinquant'anni praticamente suonati) è la cifra stessa della giovinezza: e il fatto che questo clima si sia riuscito a distillarlo e a raccoglierlo nei bit di una registrazione digitale è ciò che al fondo rende per quanto mi riguarda questo disco tanto prezioso e speciale, è il vero regalo che questa giovane donna ci ha fatto e per il quale non possiamo che esserle profondamente riconoscenti. <br />
<br />
<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="315" src="https://www.youtube.com/embed/taXra5Qrg4E" width="560"></iframe>gmrobertohttp://www.blogger.com/profile/07424458071749974883noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7602074521152130478.post-73500891495844171142016-12-24T11:07:00.000+01:002016-12-24T11:07:43.087+01:00Jingle Smells<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgeqkGlOYQ_RnVYZ9x5UEJ4WNx6n6Lalt5z3FGJkg2wmkORfmLpAot52iYjXvSKFYwh6WNtxaUy7qz7HjOhHGD4nyarUGGmXoUt1LLphxQi8GNMdfgB7MJG_qJKEhhx1nitY87VJizNYP0/s1600/1259656854876_mostrapresepi2.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="283" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgeqkGlOYQ_RnVYZ9x5UEJ4WNx6n6Lalt5z3FGJkg2wmkORfmLpAot52iYjXvSKFYwh6WNtxaUy7qz7HjOhHGD4nyarUGGmXoUt1LLphxQi8GNMdfgB7MJG_qJKEhhx1nitY87VJizNYP0/s400/1259656854876_mostrapresepi2.jpg" width="400" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Coerenza: parlare di alberi di Natale e mostrare presepi</td></tr>
</tbody></table>
C'è poco da fare: per chi come me annovera tutte le religioni nel dominio della mitologia, l'unico comportamento coerente per questo periodo dell'anno sarebbe dedicarsi all'attività di <i>snatalizzazione, </i>come ebbe a chiamarla Giovannino Guareschi in una delle sue novelle del <i>Mondo piccolo</i>:<br />
<br />
<i>Peppone si buttò come un dannato nella sua impresa di snatalizzazione e fece davvero del buon lavoro. La moglie tentò un paio di volte di mitigare la sua decisione ma, visto che ciò serviva soltanto ad aggravare la situazione, si arrese.</i><br />
<i>E, la sera della Vigilia, Peppone rincasando trovò che tutto era nella più squallida normalità.</i><br />
<i>La tavola con la solita tovaglia macchiata, la solita minestra nel lardo e il solito odore di frittata con le cipolle.</i><br />
<br />
Notate la progressione sensoriale che Guareschi - scrittore ben più raffinato di quanto a lui stesso probabilmente facesse piacere ammettere - imbastisce nell'ultima frase: la vista (la tovaglia), il gusto (la minestra), l'odore.<br />
<br />
Eh già, l'odore.<br />
<br />
Se penso ai miei Natali di bambino, il primo odore che mi viene in mente è quello resinoso dell'abete che ogni anno ci portava in casa Don Peppe il fioraio: mia mamma aveva questa predilezione (abbastanza esotica per i tempi e la latitudine) per l'albero di Natale e a casa nostra la cerimonia dell'addobbo dell'albero non aveva nulla da invidiare in quanto a solennità agli omologhi rituali che avevano luogo - che so? a Lubecca oppure a Goteborg.<br />
<br />
E accanto a questo odore in fondo ancora abbastanza spirituale, mi si affaccia alla memoria un altro aroma di ben altra matericità: quello intenso e dilagante del baccalà fritto, una delle specialità di mia nonna, un piatto che non mancava mai nelle nostre cene della Vigilia.<br />
Comprava questi pezzi di stoccafisso salato, della consistenza a metà fra il cuoio e il cartone, una settimana prima della <i>grande soirée</i>, e la scelta di ogni pezzo era il risultato di scientifiche comparazioni coi pezzi vicini e di estenuanti richieste al venditore di minutissime informazioni su origine e caratteristiche del prescelto: la tracciabilità dell'intera catena alimentare non è un concetto nuovo, l'ha inventato mia nonna mezzo secolo fa. <br />
Tornata a casa iniziava il rito della <i>spugnatura, </i>quel lungo esercizio fatto di acqua e pazienza attraverso il quale il baccalà viene privato del sale in eccesso. Come in tutte le operazioni artistiche la difficoltà suprema è indovinare quando fermarsi: un baccalà spugnato troppo poco è sale con un leggero retrogusto di pesce; un baccalà spugnato troppo diventa una versione rustica dei bastoncini Findus.<br />
Infine, mia nonna friggeva il baccalà ma prima lo diliscava, operazione che richiedeva l'occhio di un orafo e la mano di un chirurgo. Ma lei era tanto sicura del fatto suo che - quando la zuppiera colma di pezzi di baccalà fritto veniva portata in tavola - non mancava mai di annunciare, guardando i commensali con aria di sfida: <i>ogne spina mille lire</i>, intendendo che sarebbe stata disposta a corrispondere l'esorbitante cifra per ogni singola spina che si fosse ritrovata nel <i>suo </i>baccalà.<br />
Va detto che quando ormai mia nonna aveva raggiunto e ampiamente superato l'ottantina una spina ogni tanto qualcuno la trovava: ma per una sorta di tacito impegno d'onore, ognuno dei figli, nuore o nipoti presenti a quel tavolo si sarebbe strozzato in silenzio piuttosto che riscuotere il premio.<br />
<br />
<br />
<br />
Se - come nella <i>Christmas Carol </i>di Dickens - passiamo dallo spirito del Natale passato a quello del Natale presente (o almeno del Natale un-po'-meno-passato), un aroma che negli ultimi anni informa di sé l'atmosfera dei miei Natali è quello del meraviglioso Christmas Cheer di McClelland.<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjOPHkRkvf5jTw6EoAwEheLauM5TaU_kuvBtpKamViN1rtx6ee-GQsd18lBm6Z2bpoWISqxFMAOGOujncdPy_fTAZUiZuMxSdBIxFozaPHEr888CfgC43fobfEANCZUdxSljlstUBgbebg/s1600/IMG_1494.JPG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjOPHkRkvf5jTw6EoAwEheLauM5TaU_kuvBtpKamViN1rtx6ee-GQsd18lBm6Z2bpoWISqxFMAOGOujncdPy_fTAZUiZuMxSdBIxFozaPHEr888CfgC43fobfEANCZUdxSljlstUBgbebg/s320/IMG_1494.JPG" width="320" /></a></div>
Dell'esistenza di questo tabacco (e in verità di un sacco di altre bellissime cose) sono venuto a conoscenza diversi anni fa grazie al <a href="http://13pipe.blogspot.it/">blog</a> del mio amico Antonio, che ne parlava come di un autentico <i>grand cru</i> in fatto di Virginia. In effetti l'idea - semplice ma geniale - che sta dietro questa meraviglia è quella di selezionare anno dopo anno un raccolto particolarmente riuscito di una sola area geografica e realizzare a partire da quelle foglie un flake che sia espressione del meglio che McClelland abbia avuto a disposizione. Dal mio primo acquisto svizzero (A.D. 2010) aprire una scatola di Christmas Cheer segna per me l'inizio del periodo natalizio, al pari ad esempio dell'ascolto della prima parte del <i>Messiah </i>di Handel.<br />
Non vi parlerò in dettaglio del Cheer 2016 perché sarebbero osservazioni non valide per il 2015 o il 2009 o il 2017. Ma è certo che se vi piacciono i Virginia, non si può avere, desiderare o immaginare qualcosa meglio di questo.<br />
Purtroppo sembra che il CC sia destinato a soccombere alle ultime demenziali novità introdotte negli Stati Uniti in materia di tabacco che nei fatti rendono impraticabile sul piano economico commercializzare tabacchi da pipa in edizione limitata, tanto che quest'anno McClelland ha fatto uscire non soltanto l'edizione 2016 ma anche la 2017. Se così fosse, mi consolerò pensando che la mia bulimia tabagica mi ha consentito di accumulare scorte sufficienti per un'altra ventina di Natali, e quindi non mi mancherà tempo per inventarmi un altro rito.<br />
<br />
Né questa carrellata sarebbe completa senza una menzione del profumo che ormai da diversi anni si spande in casa mia quando Justyna prepara il più tipico, il più quintessenziale dei dolci natalizi polacchi: il <i>piernik.</i><br />
Il piernik non è solo un dolce di Natale, è un'idea metafisica che diventa materia e ad esso si applica la formula usata da Giuseppe Marotta a proposito del ragù napoletano: non si cuoce ma si consegue.<br />
Non potrebbe essere altrimenti: parliamo di un dolce che viene cotto nel periodo natalizio ma la cui preparazione deve iniziare non oltre l'inizio di novembre. Di un dolce la cui origine si perde negli albori della storia polacca, e che fra gli ingredienti annovera tutto quello - dal miele alle spezie - che nella cucina viene associato alla regalità.<br />
È impossibile descrivere verbalmente l'aroma che si sprigiona quando l'impasto viene cotto dopo un riposo di quaranta o cinquanta giorni, la polonaise danzata da cannella, zenzero, pepe nero, cardamomo, anice stellato sul tappeto brunito di farina e miele. È un aroma che non evoca Natale, lo preannuncia, per certi aspetti lo crea.<br />
<br />
E quindi: la coerenza logica è una gran bella cosa. Ma se sul suo altare bisogna sacrificare Christmas Cheer e piernik allora per qualche giorno all'anno magari se ne può fare a meno.<br />
<br />
Felice Natale a tutti i miei lettori.<br />
<br />
<br />gmrobertohttp://www.blogger.com/profile/07424458071749974883noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7602074521152130478.post-44434457094875344702016-12-22T08:59:00.000+01:002016-12-22T08:59:34.119+01:00Vent'anni dopo<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEixaPE5NbwvlEAoDwxq1s7wRCIyzdc04YIXBgBcKhxSL22ge6LA-FXdMnJD9FhxcZYmkcCcFdmA9NXLZKiDUYjCyc6EfRwZASBonuTel0TkMIyuxGMyONM1wXmof8_lJ5o7APJIaVwNFAQ/s1600/IMG_1518.JPG" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEixaPE5NbwvlEAoDwxq1s7wRCIyzdc04YIXBgBcKhxSL22ge6LA-FXdMnJD9FhxcZYmkcCcFdmA9NXLZKiDUYjCyc6EfRwZASBonuTel0TkMIyuxGMyONM1wXmof8_lJ5o7APJIaVwNFAQ/s320/IMG_1518.JPG" width="237" /></a></div>
Quella che vedete qui a fianco è l'ultima pagina del mio vecchio passaporto.<br />
Il timbro in alto a sinistra certifica con burocratica inequivocabilità il mio primo ingresso in Polonia: 22 dicembre 1996, esattamente vent'anni or sono.<br />
Quella giornata segnò contemporaneamente il mio primo volo, il mio primo viaggio all'estero, il mio primo incontro diretto con la Polonia: se dico che quelle emozioni le sento ancora vive e palpitanti dentro di me credo che non farete fatica a credermi.<br />
<br />
La prima cosa che (quasi materialmente) mi colpì della Polonia fu il freddo: fino a quel momento il posto più a nord in cui mi era capitato di vivere era Roma, e l'inverno del 1996 fu molto rigido anche per gli standard polacchi. Ricordo la sciabolata gelida che mi investì in piena faccia appena varcata la soglia dell'aeroporto; e la certezza assoluta maturata durante i dieci minuti di attesa alla fermata dell'autobus che le orecchie (improvvidamente lasciate scoperte dal cappello che mi ero portato dietro) mi si sarebbero staccate dalla testa non appena si fossero scongelate.<br />
Ma poi una volta acclimatato (si fa per dire) trascorsi diversi giorni passando da stupore a stupore: tutto era nuovo per me, tutto era diverso. Dall'atmosfera ancora da piena Repubblica Popolare della stazione ferroviaria di Łódź Fabryczna (ma un po' di tutta la Łódź dell'epoca: sono uno degli ultimi a poter ancora dire di essere vissuto dentro un film di Kieślowski), all'odore del fumo del carbone usato per riscaldare case e negozi, all'incomprensibile brusio che per me all'epoca era il polacco, ai mandarini con l'etichetta "Morocco" mi sentivo davvero catapultato su un altro pianeta.<br />
<br />
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjr3GaNAislqwclTPxHhSk0Ifk1EamAI7Qspf2dk1s9STI0_dlLb6Njz_SM7cKC4IqzhRw8lUmLNlXN1MkbYPj8TL0wiaobvvyNrmu_zGjKGSVxWLDRyD5Y5_E779MtvkRklCGitkoxG6M/s1600/3029.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="258" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjr3GaNAislqwclTPxHhSk0Ifk1EamAI7Qspf2dk1s9STI0_dlLb6Njz_SM7cKC4IqzhRw8lUmLNlXN1MkbYPj8TL0wiaobvvyNrmu_zGjKGSVxWLDRyD5Y5_E779MtvkRklCGitkoxG6M/s400/3029.jpg" width="400" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Łódź Fabryczna, com'era</td></tr>
</tbody></table>
<br />
Il freddo, certo. Ma anche - innegabile e speculare - il calore. Il calore fisico delle case, sconosciuto a me che venivo da un posto in cui il riscaldamento era poco più di un optional, spesso sostituito da un maglione più pesante. E ovviamente il calore della presenza di Justyna accanto a me, e il calore con cui mi accolse quella che era la sua e doveva diventare anche la mia famiglia: come dimenticare il "buongiorno!" con cui mi salutavano (talvolta anche di pomeriggio o di sera) i bambini di casa?<br />
<br />
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: right; margin-left: 1em; text-align: right;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgncvU3u45VuaefD3HE6AOXqJGyUkloCo0ZBoE3oh7OPId19JJSa8UAhEuJg_CCJhbGBXlHGobrzXqVZsUl4SKAy7N6sIeOV9H_NnofHjW_O6bNWmYw1Iw7AgoTr7mqq4GHYkzbNW-ocb8/s1600/nlf.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="266" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgncvU3u45VuaefD3HE6AOXqJGyUkloCo0ZBoE3oh7OPId19JJSa8UAhEuJg_CCJhbGBXlHGobrzXqVZsUl4SKAy7N6sIeOV9H_NnofHjW_O6bNWmYw1Iw7AgoTr7mqq4GHYkzbNW-ocb8/s400/nlf.jpg" width="400" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"> <span style="font-size: small;">Łódź Fabryczna, com'è</span></td></tr>
</tbody></table>
In questi vent'anni tante cose sono cambiate, come icasticamente dimostrano le due immagini di Łódź Fabryczna che vedete qui a fianco. E' cambiata la Polonia, prima di tutto, che in un paio di decenni si è trasformata economicamente, socialmente e culturalmente in una misura che lascia sbigottiti; e lo ha fatto senza rinunciare a un briciolo della propria anima e della propria specificità.<br />
Sono cambiato io, che ho imparato ad apprezzare questa terra, la sua cultura, la sua storia. E a furia di camminare per le strade delle sue città e per i sentieri della sua campagna ho finito per interiorizzare il suo paesaggio e la sua luce.<br />
E sono cambiati i bambini di vent'anni fa, che adesso sono dei giovani uomini, e uno di quelli che vent'anni fa si divertiva a dirmi "buongiorno" qualche mese fa si è sposato.<br />
<br />
Ma altre cose - per fortuna - non sono cambiate, o almeno non sono cambiate ancora: questa casa da cui scrivo, che mi accoglie oggi come vent'anni fa; il modo febbrile e lieto con cui i polacchi aspettano il Natale; e soprattutto questo cielo che è bello quando è azzurro, quando è grigio e quando è bianco: questo cielo che sembra non finire mai, che forse davvero non finisce mai.<br />
<br />
<table align="center" cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="margin-left: auto; margin-right: auto; text-align: center;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg9tGJoOv4QhnwSmZuR2n85UXKg_HE3ZbpqoA49qW7cjiK_JR37U6MI-j_N-tGUCqpU6ADW0F688cEqrZYHSqpvYIPXXYrqdtseQdSkILs6eC_Q_ezuksm0hnUcywVpBefbeye7l9yHijU/s1600/IMG_1537.JPG" imageanchor="1" style="margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg9tGJoOv4QhnwSmZuR2n85UXKg_HE3ZbpqoA49qW7cjiK_JR37U6MI-j_N-tGUCqpU6ADW0F688cEqrZYHSqpvYIPXXYrqdtseQdSkILs6eC_Q_ezuksm0hnUcywVpBefbeye7l9yHijU/s640/IMG_1537.JPG" width="640" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">La luce, una cosa che non è cambiata e che sperabilmente non cambierà mai.</td></tr>
</tbody></table>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<br /></div>
<br />
<br />
22 dicembre 2016, pronti per i prossimi vent'anni.<br />
<br />
<br />
<br />
<br />gmrobertohttp://www.blogger.com/profile/07424458071749974883noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7602074521152130478.post-61459069278985425172016-11-24T16:21:00.001+01:002016-11-24T16:21:52.663+01:00Il lato (o)scuro: Dunhill Dark Flake<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhL4eSpZGLr0YPMazPbszUY4ZMh7WZxwKjt6bk8vfVzqvE9Ty3ZKN4evs7sSvxq-bcrL05-6aSvKYeej28CSyyMEA-ZD0sAurV-vXsbJT6G7VBuF5sxb-RRvFNQdpof_GH7s6GfldP9JRM/s1600/1178_33732_37171.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhL4eSpZGLr0YPMazPbszUY4ZMh7WZxwKjt6bk8vfVzqvE9Ty3ZKN4evs7sSvxq-bcrL05-6aSvKYeej28CSyyMEA-ZD0sAurV-vXsbJT6G7VBuF5sxb-RRvFNQdpof_GH7s6GfldP9JRM/s400/1178_33732_37171.jpg" width="398" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">La confezione (improvvidamente) rotonda del Dunhill Dark Flake</td></tr>
</tbody></table>
<span id="goog_1313343188"></span>Inutile negare l'evidenza: il mio amico (?) Rino mi perseguita. Non pago di aver fatto passare al mio alter ego letterario tribolazioni degne di Giobbe (dal <a href="http://ildiariodiunpigro.blogspot.it/2015/12/racconto-di-natale.html">furto in casa</a> all'<a href="http://ildiariodiunpigro.blogspot.it/2016/06/da-vico-borges-passando-per-londra.html">afasia</a>), egli mi tormenta anche nella vita reale continuando a propormi con implacabile nequizia assaggi di tabacchi uno più buono dell'altro. Li reperisce su Internet, dai tabaccai d'Oltremanica che frequenta, nei viaggi che compie lungo l'Europa. Ho il sospetto che ormai compri tabacco non tanto per poterselo fumare lui quanto per godersi il perverso piacere di vedere il mio <a href="http://ildiariodiunpigro.blogspot.it/2013/10/la-sindrome-del-criceto.html">criceto</a> che corre impazzito sulla sua ruota.<br />
Con la stessa malvagia tattica usata dagli spacciatori di altre sostanze psicotrope, il criminale agisce aggiungendo di sua iniziativa campioncini omaggio di prodotti che - mellifluamente ipotizza - "potrebbero piacermi" ai sobri ordinativi che di tanto in tanto gli faccio pervenire per sfruttare la sua permanenza in Albione. E siccome il più delle volte ci prende in pieno, quel campioncino omaggio diventa il proverbiale sasso che genera la valanga. Ormai mi mancano non i decimetri ma i centimetri cubi atti a contenere altro tabacco in casa mia, e ciò nonostante questa vessazione non accenna a placarsi.<br />
<br />
Ma lo scopo di questo post non è solo quello di mettere in guardia i miei lettori dagli avvocati siculo-umbro-britannici, ma anche quello di parlare di un tabacco di cui sono venuto a conoscenza proprio grazie alle spregevoli pratiche che ho appena descritto loro: il Dark Flake di Dunhill.<br />
<br />
Se in fatto di pipe la reputazione di Dunhill non è mai stata in discussione, in tema di tabacchi il tempo che è passato da quando le miscele venivano preparate nel negozio di St. James' St. non ha purtroppo giovato alla fama della Gran Casa, e ogni passaggio di manifattura (da Dunhill a Murray a Orlik a Scandinavian Tobacco a chissacchì) sembra aver fatto compiere a miscele una volta gloriose un deciso passo indietro in termini di godibilità: a detta di molti estimatori, le varie Early Morning, Nightcap, My Mixture hanno in comune coi loro antenati di qualche decennio fa poco più che il nome e qualche vaga somiglianza strutturale. E il trend non sembrava essersi invertito neanche a seguito della recente introduzione di tutta una pletora di altre miscele quali l'Elizabethan Mixture, il Three Years Matured Virginia, il Durbar, l'Aperitif e via discorrendo.<br /><br />
Per la verità un paio di prodotti a mio giudizio non solo superiori alla attuale media Dunhill ma tali da collocarsi su livelli di assoluto interesse si erano già manifestati, e mi riferisco al Deluxe Navy Rolls e al Dunhill Flake (che in omaggio alla idiota cecità antifumo del legislatore europeo non ha potuto riprendere il suo nome di Dunhill Light Flake): bene, sono lieto di poter affermare che questo Dark Flake si aggiunge alla sparuta pattuglia di Dunhill decisamente raccomandabili.<br />
Anzi, chiacchierando un po' di tempo fa proprio col mio persecutore, abbiamo insieme elaborato l'ardita teoria (non suffragata per la verità da nessun elemento fattuale in nostro possesso) che i Dunhill pressati vengano da qualche manifattura diversa da quella che produce i ready-rubbed.<br />
<br />
Sia come si sia, questo spettacolare flake di Virginia scuri è stata un'aggiunta veramente notevole e di qualità indiscutibile a un catalogo che nel suo complesso viene ampiamente surclassato da un numero di concorrenti abbastanza nutrito.<br /><br />
Come ci si può aspettare data la composizione della miscela ci troviamo di fronte a un tabacco dalla tavolozza gustativa molto dolce e molto piena, caratterizzata da note passite e liquorose: dovessi rappresentarla in termini di altre referenze nella stessa categoria direi che è una sorta di felice ibridazione fra Full Virginia Flake e Capstan blu.<br />
Anche fumato "fresco" (e al momento non c'è modo di fare altrimenti, visto che stiamo parlando di una miscela reintrodotta in circolazione non più di qualche mese fa) esibisce già il corpo, lo spessore e l'autorevolezza tipici dei migliori rappresentanti del genere, e sarà davvero interessante scoprire cosa sarà diventato con qualche anno di cantina sulle spalle.<br />All'apertura della confezione si presenta con un grado di umidità semplicemente perfetto, tale da poterlo caricare anche seduta stante senza necessità di doverlo preventivamente arieggiare. L'impatto nicotinico è una decisa tacca al di sotto del suo omologo di Kendal, così che anche fumatori particolarmente sensibili alla <i>vitamina N</i> potranno fumarlo in pipe grandi a piacere senza rischiare sudori freddi, svenimenti e altre calamità. Anche la combustione è molto più agevole e regolare del capriccioso Full Virginia Flake, aiutata in questo anche dallo spessore molto regolare e "giusto" delle fette.<br />
In conclusione: un tabacco che se non scalza dalla sua posizione di assoluto predominio (per complessità ed evoluzione) l'oro giallo del Lake District si colloca però abbastanza a ridosso. Se proprio dovessi esprimere una riserva su questo tabacco, la farei sul packaging: fermo restando che il contenitore perfetto per cinquanta grammi di flake è la scatolina à-la-Capstan vecchio tipo, si può tollerare anche una scatola rettangolare un po' più grande: ma per Zeus, mettere quello che alla fine è un panetto rettangolare in un contenitore circolare è una cosa che ingegneristicamente grida vendetta a dio.<br />
<br />
Ma confezione a parte, mi viene veramente difficile trovare un difetto vero a questo tabacco, cui devo alcune delle più piacevoli pipate dell'ultimo mese. Vuoi vedere che alla fin fine quell'infingardo di Rino è veramente amico mio?<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />gmrobertohttp://www.blogger.com/profile/07424458071749974883noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7602074521152130478.post-13436391611764321892016-07-24T14:16:00.002+02:002016-07-24T14:16:52.607+02:00All you need is lovat, reprisePensavate di esservi liberati di De Robertis e del suo complice/persecutore Di Dio? Beh, vi sbagliavate di grosso.<br />
Di recente ho commissionato una pipa (una lovat, what else?) a Graziano Tendi, un artigiano di cui non si può a mio avviso parlare più come "emergente" per il semplice fatto che ormai è emerso del tutto e sforna una dietro l'altra pipe di cui non si sa se ammirare di più la perfezione tecnica o la raffinatezza estetica.<br />
Il guaio è che ho commesso la leggerezza di parlare della cosa al mio amico Calogero, che ha cominciato a rimunginarci e ha tirato fuori quest'ennesimo capitolo della saga di De Robertis, capitolo che si lega a quanto Rino aveva già raccontato nel <a href="http://ildiariodiunpigro.blogspot.it/2016/06/da-vico-borges-passando-per-londra.html">post</a> precedente.<br />
<br />
Ed è quindi senza altri indugi che vi invito a leggere quest'ulteriore fatica del mio amico, cui ormai bisognerà che riconosca lo status (dal dubbio prestigio, peraltro) di collaboratore fisso di questo blog.<br />
<br />
<br />
<h2>
<div style="text-align: center;">
Di lovat ce n’è una sola</div>
<div style="text-align: center;">
ovvero</div>
<div style="text-align: center;">
della memoria</div>
</h2>
<br />
<div style="text-align: center;">
I</div>
<br />
«<i>Caro Tendi,</i><br />
<i>mi permetta di esprimerLe tutta la mia ammirazione, scevra da ogni piaggeria, per il suo geniale lavoro. La seguo da sempre e sono possessore di alcune sue pipe, ma purtroppo oggi non le scrivo in qualità di collezionista. Un mio carissimo amico e certamente, se ancora avesse l’uso della ragione, suo appassionatissimo ammiratore ha subito una sorta di trauma esistenziale, legato alle pipe, o meglio alle forme delle pipe. Trovandosi mio ospite in Inghilterra, ci siamo recati a visitare uno dei negozi londinesi della Dunhill, dove il mio amico era risoluto a comprare la lovat par excellence. Invero, erano presenti moltissime lovat che non esiterei a definire stupende, ma la sua attenzione venne calamitata da una billiard col bocchino a sella e di una fattura talmente bella ed armonica che il precario equilibrio mentale ed esistenziale del mio caro amico ne è stato gravemente compromesso, tanto che secondo i dottori sembra essere regredito a uno stadio quasi neonatale. Lentamente, col passare del tempo e con la cura dei suoi cari e la vicinanza degli amici potrà tornare ad essere quello che un tempo fu. Secondo il giudizio del Professor Edoardo Formica, dopo ben ottantacinque sedute, per accelerare il processo di guarigione occorrerebbe di riconciliarlo con l’oggetto del suo trauma, che non è la billiard acquistata, badi bene!, ma la lovat tradita. </i><br />
<i>Ora, a mio parere se c’è qualcuno al mondo che possa realizzare una lovat più che perfetta, capace di superare la bellezza delle Dunhill, quello è proprio Lei. Per questi motivi, con animo fiducioso mi sono rivolto a Lei affinché tramite i suoi studi e la sua perizia possa realizzare quell’opera unica, tale che possa rendere il mio amico al consorzio civile, all’affetto dei suoi cari e di noi tutti, gatti compresi.</i><br />
<i>Sinceramente Suo</i><br />
<i>P.S.</i><br />
<i>Mia moglie Le ha per caso commissionato una pipa? ne ho trovata una delle Sue nel cassetto della mia consorte, la quale sostiene essere mia e che per caso si trovava nel suo cassetto. Io francamente quella pipa non me la ricordo. In attesa di sollecito riscontro.</i><br />
<i><br /></i>
<i>Alfonso Di Dio»</i><br />
<br />
<br />
“Socc’mel!” sibilò tra i denti Graziano, alzando la testa dalla lettera appena ricevuta, a testimonianza del suo stupore. Se non avesse conosciuto personalmente il Di Dio, avrebbe pensato, senz’altro, che si trattava di uno scherzo. Eppure, sapeva della serietà di quel suo vecchio cliente per il quale aveva realizzato una bellissima quanto unica billiard flock sabbiata. La pignoleria del Di Dio l’aveva costretto addirittura, prima, a sottoscrivere un contratto in cui si impegnava a non realizzare mai più quello shape con quelle finiture e, poi, a giustificarsi con l’avvocato Di Dio giurando e spergiurando che non vi erano altre copie in giro per il mondo della sua pipa. Fu creduto, ma solo dopo accurate indagini, dalle quali emerse un giro di imitatori delle billiard flock sabbiate col marchio Tendi, da Milano a Potenza, mai realizzate dall’onestà dell’artigiano.<br />
“Socc’mel!” ripeté a voce più alta Graziano alzandosi dallo sgabello e iniziando a vagolare per il laboratorio; no, l’avvocato Di Dio non scherzava. Iniziò un muto ragionamento tra sé e sé, prendendo in mano le radiche sbozzate, che aveva allineate lungo il bancone e delle quali adesso distrattamente esaminava la perfetta foratura.<br />
La lovat più che perfetta! figurarsi… Allontanata con la mano sinistra la ciocca di lunghi capelli che gli incorniciavano lo sguardo sincero, posò l’ultima radica di cui sapeva già l’esattezza millimetrica della foratura e che solo un’inveterata abitudine lo costringeva a ricontrollare. Svogliatamente ciondolò verso il lato opposto del laboratorio, ad osservare le pipe già terminate, a controllarne per l’ennesima volta la leggerezza della sabbiatura in questa, la colorazione in un’altra, la perfetta simmetria e armonia delle linee in tutte.<br />
“Mah, certo che ce n’è di str…” iniziò a dire, buttandosi la giacca sulla spalla prima di uscire in giardino, come ogni sera, quando finiva di lavorare; non finì la frase, con la quale voleva compendiare la singolarità degli esseri umani, investito dalla consolante bellezza dei colori crepuscolari della campagna emiliana. E come ogni sera, invece di cadere nella trappola di quella illusoria consolazione si lanciò in bici, lungo le strade sterrate della campagna insanguinata dalla morte del sole, in direzione della solita osteria.<br />
<br />
<div style="text-align: center;">
II</div>
<div style="text-align: center;">
<br /></div>
“E così dovresti realizzare una pipa per far guarire uno che è diventato matto?”<br />
“Più o meno, Francè” confermò Graziano, i gomiti sul tavolaccio, la testa insaccata tra le spalle, mentre lo sguardo rimaneva vacuamente fisso sul suo bicchiere di vino quasi vuoto.<br />
L’amico ridendo bonariamente, si passò la mano tra la l’ormai ingrigita rada barba, prima di versare dell’altro vino a entrambi.<br />
“Una questione metafisica, odio questo genere di cose” disse Francesco, mandando giù il suo bicchiere d’un fiato.<br />
“Metafisica? Oh bella! E perché mai?” chiese stupito Graziano che quel termine lo aveva accantonato ormai da anni.<br />
“La perfezione non può essere altro che metafisica, ideale, qualsiasi cosa in natura si corrompe e distrugge; noi stessi non siamo altro che l’essenza stessa dell’imperfezione, come fece già notare il vecchio alla bambina, figurarsi una pipa”.<br />
“Non lo so, non sono questioni che mi appassionano, lo sai, io faccio pipe, non conosco un mestiere meno metafisico di questo, anzi”, commentò Graziano alzando la testa e poggiando il mento sul palmo della mano destra, quasi che la mano lo guidasse ad osservare le ragazze che si divertivano qualche tavolo più in là.<br />
“Stasera non c’è solo della braga qui, va che belle figliole; buttati, che son sole, forse stasera qualcosa rimedi”, lo prese in giro Francesco.<br />
“Ma va là!” fu la seccata risposta di Graziano.<br />
“Mamma mia, come sei permaloso, scherzavo. Mica immaginavo che una cosa del genere ti potesse turbare così tanto”.<br />
“Vorrei vedere te; mica t’hanno mai chiesto di fare una pipa più che perfetta; più che perfetta, capito? Poi mica uno qualunque che mandi a cacare, ma un rompicoglioni che se ci si mette ti rovina la piazza, come quell’altro, il pazzo di Milano, come si chiamava… ah si! Antonio. Te li raccomando tipi così. E poi, ti dirò, mi fa pena quel tipo, quello malato o regredito, come ha detto l’avvocato. Capiamoci, so perfettamente che il valore terapeutico che può avere una mia pipa è uguale a zero e quel professor Formica è l’ultimo pazzo della lista; ma se avesse ragione, se io potessi solo, leggermente, alleviare le pene di quel disgraziato, non sarebbe per questo solo fatto mio dovere tentare?” si sfogò Graziano.<br />
“Dì, ma te, i righi dritti li sai fare?” chiese maieuticamente Francesco, riprendendo subito a bere, osservando preoccupato il bicchiere ancora pieno dell’amico.<br />
“Certo” rispose Graziano “ma non è solo una questione di tirare righi dritti, occorre trovare l’armonia complessiva”, incominciò a vagheggiare Graziano guardando il vuoto innanzi a sé.<br />
“Quindi, conosci l’idea, il modello della forma che questa pipa dovrà assumere concretamente?” insisté, ancor più socraticamente, Francesco, continuando a bere.<br />
“Si si, è ovvio, è il mio lavoro”.<br />
“E sapresti anche immaginare i particolari? Ad esempio quale finissaggio?” lo serrò sempre stretto più l’amico.<br />
“Direi tanshell” continuò a vagheggiare Graziano, iniziando a sorseggiare il vino che da troppo tempo attendeva le sue labbra.<br />
“E il rim, il cannello e il bocchino, li immagini?” chiese ultimativo Francesco, riempendo con slancio catartico il bicchiere finalmente vuoto dell’amico.<br />
“Si, li vedo, cazzo!” esclamò Graziano, di botto, puntando i suoi occhi ebbri sui corrispondenti colleghi posti sul viso dell’amico.<br />
“E poiché la natura tutta è congenere, e poiché l’anima ha imparato tutto quanto, nulla impedisce che chi si ricordi di una cosa – quello che gli uomini chiamano apprendimento –, costui scopra anche tutte le altre, purché sia forte e non si scoraggi nel ricercare: effettivamente, il ricercare e l’apprendere sono in generale un ricordare, o Menone” recitò a mente Francesco, definitivamente ubriaco.<br />
“Cazzo hai detto?”<br />
“Boh? Non mi ricordo”.<br />
<br />
<div style="text-align: center;">
III</div>
<i>«Caro Tendi,</i><br />
<i>Sono stato molto felice nel leggere le notizie della Sua ultima. Non vedo l’ora di venire a ritirare la pipa e vederla di persona; se Lei è d’accordo sarò da Lei il prossimo venerdì alle 16,15, al massimo alle 16,20.</i><br />
<i>Cordialità</i><br />
<i>P.S.</i><br />
<i>A proposito della Sua pipa che ho trovato nel cassetto di mia moglie, ad oggi non mi ha dato nessuna indicazione, spero potrà aiutarmi a ricordare in occasione del nostro incontro.</i><br />
<i>Rinnovati saluti.</i><br />
<i>Alfonso Di Dio»</i><br />
<br />
Per quanto sforzasse la sua memoria, Graziano non riusciva a ricordare neppure che il Di Dio avesse una moglie, l’unica cosa che ricordava era la notte in cui ebbro di vino e di pensieri era tornato a casa dall’osteria e ripiegato su se stesso, con il cielo stellato sopra di sé e l’alcool dentro di sé, nell’atto di rimettere anche l’anima nel primo cespuglio dietro l’angolo si casa, trovò in quel ripiegamento del pour soi sull’ en soi, in quella sartriana nausea, l’immagine che l’arte maieutica dell’amico aveva saputo trarre da lui, il vino invece aveva tratto fuori la cena.<br />
“Boia, che ciucca” riuscì solamente a dire, appoggiando le spalle a muro e lasciandosi sedere, mentre passava il dorso della mano sinistra sulla bocca, addormentandosi all’addiaccio.<br />
Ma aveva visto, fosse solo per un momento, l’immagine, in ogni suo dettaglio, della lovat più che perfetta, l’unica lovat, che da quel giorno chiamò l’Irripetibile.<br />
Seguirono giorni di intenso studio sui libri, a confrontare l’immagine della mente con quelle delle più prestigiose lovat del mondo di cui si avesse memoria. Scopriva e riscopriva, nella sua certosina ricerca, il possesso già saldo di un’antica quanto ignorata preconoscenza, più antica di lui, che le scintille della conversazione con l’amico avevano misticamente riacceso e fatto esplodere nella sua creativa immaginazione, al di là di ogni ragionamento.<br />
Sudò sulla radica, misurata più volte con l’occhio che con gli strumenti del mestiere; un mestiere così saldo, una perizia così affinata, che paradossalmente era finanche intralciata, alle volte, dagli strumenti che avrebbero dovuto aiutarla.<br />
Sbozzò e affinò dieci, cento, mille volte quella radica, accuratamente prescelta, la migliore, la più antica e leggera. Tirò ‘righi dritti’ che solo la sapienza delle sue mani seppero curvare senza soluzione di continuità. Perse ore infinite a meditare, leggere e scegliere forma del cannello, tipo di rim e colore del bocchino.<br />
Quando fu finita, la vide così perfetta e unica che non poté trattenere un moto di stizza: “Perché non parli?” le chiese, dandole una martellata che mandò in frantumi l’intero bocchino e buona parte del cannello. E ricominciò, infinite altre volte, finché non seppe di nuovo trarre dall’inerte radica la lovat imprigionata in essa, anche se in quest’ultima occasione, evitò di porre domande al suo manufatto.<br />
<br />
Venne il venerdì e con esso Alfonso Di Dio, il quale dalle 18,00 alle 18,07 spiegò con insolito accanimento la singolarità delle indicazioni stradali delle rotatorie di Bologna, che a suo giudizio erano ingannevoli.<br />
“Ma nel centro di Bologna non si perde neanche un bambino” scherzò Graziano, confidando nel senso dell’humor del suo ospite.<br />
“Tendi, vuole scherzare? Solo a Saronno, e più in generale in Lombardia, sono, se possibile, più confuse. Ma comunque, lasciamo andare, veniamo a noi, mi mostri la pipa, per piacere”.<br />
No, il Di Dio non aveva nessun senso dell’humor, o nessuna conoscenza della musica classica, pensò Graziano andando a prendere la pipa, che in pochi istanti fu nelle mani dell’avvocato.<br />
L’avvocato Di Dio, senza dire una parola mise la mano al portafoglio traendone fuori il doppio del compenso pattuito in precedenza e con una muta stretta di mano si congedò senz’altro dal perplesso artigiano che almeno si aspettava un parere, un giudizio, un ringraziamento: “Socc’mel” sbottò Graziano, intendendo l’espressione nell’accezione più letterale e antica, non volendo esprimere stupore, ma solo dispetto e senza porre tempo in mezzo, raggiunse Francesco all’osteria.<br />
<br />
<br />
<div style="text-align: center;">
IV</div>
<div style="text-align: center;">
<br /></div>
“Insomma, Gaetano, non puoi capire cosa ha combinato di nuovo quel matto di Antonio…” e giù a narrare e sparlare degli altri amici, come ogni ultimo venerdì del mese. Così da lunghissimo tempo trascorreva talvolta il suo tempo Di Dio, accanto al fraterno amico, seduto sulla poltrona, stringendo tra le mani la Dunhill billiard sabbiata col bocchino a sella. Non che non vi fossero miglioramenti: di quanto in quando il lessico gutturale dell’amico faceva dei temporanei progressi, soprattutto nelle occasioni in cui desiderava tentare di fumare<br />
Ma non sapeva più usare il fuoco, era evidentemente ancora in una fase primordiale, pre–erecta, come spiegava poi Di Dio agli amici che gli chiedevano notizie. I miglioramenti erano chiari, ma certo la maledizione di Vico era una brutta bestia.<br />
“Uhmpr Sn Ghennaaaaa” significava che Gaetano voleva fumare un virginia invecchiato almeno trent’anni; come ‘t’ stava per lovat; ‘gu’ per cazzate e ‘zz fto Anio?’ era la domanda per sapere quali nuove sul comune amico Antonio, almeno così gli piaceva di capire ad Alfonso.<br />
A ogni visita la moglie di Gaetano chiedeva ansiosa notizie sulla pipa commissionata, su consiglio del professor Formica, sulla quale faceva disperato affidamento.<br />
“Justyna, che ti devo dire? non è che una pipa così si possa fare dall’oggi al domani È un’opera improba, ai limiti dell’impossibile, ci vuole tempo, ci vuole tempo… Intanto, il signor Tendi mi ha dato questa pipa, non è una lovat, beninteso, ma è splendida, inizia con questa, nell’attesa” rispose una volta, consegnandole la pipa di Tendi che aveva trovato nel cassetto della moglie e di cui s’era scordato di chiedere notizie all’artigiano alla vista della lovat.<br />
Come ogni venerdì, tornato a casa dal breve viaggio aereo, circondato dal calore familiare, attendeva che tutti andassero a letto per accendersi una pipa, fumando la quale, immemore del tempo e del mondo, contemplava la lovat destinata all’amico, dalla quale non aveva saputo separarsi, e ripeteva come un mantra:<br />
“Col tempo guarirà, col tempo… Uhm..”<br />
<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhD-D3XJNFMDXLi2tD4esunTRicC1nL1rrDiTAWfMOpBbg3bTX9_3_d308DaR37MAJfxnozPHoLHPcCK0baFNjw3X_4nzb9uAgxUa7a__setqZ1XTOnNOSpBWbcPOhBoinr-skG0OVvUpA/s1600/13569938_10207796660968827_1627898958_o.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="480" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhD-D3XJNFMDXLi2tD4esunTRicC1nL1rrDiTAWfMOpBbg3bTX9_3_d308DaR37MAJfxnozPHoLHPcCK0baFNjw3X_4nzb9uAgxUa7a__setqZ1XTOnNOSpBWbcPOhBoinr-skG0OVvUpA/s640/13569938_10207796660968827_1627898958_o.jpg" width="640" /></a></div>
<br />
<i><br /></i>gmrobertohttp://www.blogger.com/profile/07424458071749974883noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7602074521152130478.post-67885366691755919912016-06-12T10:36:00.000+02:002016-06-12T10:36:02.459+02:00Da Vico a Borges passando per Londra<div style="text-align: right;">
<i>Oggi è il tredici di novembre; il giorno sette di giugno, all'alba, lo Zahir giunse alle mie mani; non sono più quello che ero allora, ma ancora mi è dato ricordare, e forse narrare, l'accaduto.</i></div>
<div style="text-align: right;">
<i>J.L. Borges, "Lo Zahir"</i></div>
<div style="text-align: right;">
<i><br /></i></div>
<div style="text-align: left;">
Sembra proprio che ultimamente a dispetto della mia conclamata pigrizia, il mio alter ego letterario continui a stimolare la fantasia del mio amico Calogero Rizzo. </div>
<div style="text-align: left;">
Ai lettori di questo blog avevo promesso il racconto dei risvolti pipici della mia <a href="http://ildiariodiunpigro.blogspot.it/2016/03/postcards-from-brighton.html">visita a Brighton</a> dello scorso marzo: Rino ha provveduto da par suo con questo racconto che intreccia Vico, Platone e Dunhill in un'improbabile quanto irresistibile intreccio.</div>
<div style="text-align: left;">
<br /></div>
<h3 style="text-align: center;">
Corsi e ricorsi</h3>
<h4 style="text-align: center;">
di Calogero Rizzo</h4>
<div>
<br /></div>
<div>
<br /></div>
<br />
<div style="text-align: center;">
I</div>
<br />
Gaetano De Robertis e Alfonso Di Dio attraversavano lentamente Saint James Park, fumando, altrettanto lentamente, le rispettive pipe.<br />
“Bello ‘sto parco” commentò a un cero punto Alfonso Di Dio, iniziando a svolgere la sua funzione di cicerone con un’elencazione minuziosissima degli animali che da lì a poco avrebbero incontrato, dicendo dell’ordine, l’armonia, il decoro che regnava intorno; tutte cose che l’indifferenza dell’altro non poteva cogliere, avvolto com’era dalla più totale apatia.<br />
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiDEC7UqUKRiIsyT5DM8HRWQ0u8mH1lqPRali5L-K75w9UZ71pcYJo6MArsRJCm2DmwtkCE06rB2Oh1mcDLJ7dbPrwtZ6dn9akiSTs21Mvp88Q7nDtu5H0WMez81aDAWuutLR7f_ws0NOY/s1600/12513655_926959550751099_90051787710431741_o.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiDEC7UqUKRiIsyT5DM8HRWQ0u8mH1lqPRali5L-K75w9UZ71pcYJo6MArsRJCm2DmwtkCE06rB2Oh1mcDLJ7dbPrwtZ6dn9akiSTs21Mvp88Q7nDtu5H0WMez81aDAWuutLR7f_ws0NOY/s320/12513655_926959550751099_90051787710431741_o.jpg" width="320" /></a>Di quando in quando annuiva De Robertis, alzando lo sguardo, nel tentativo di notare le cose segnalate dall’amico, ma tutt’al più riusciva a vedere Justyna e Simona, le rispettive consorti, che li precedevano, attorniate dai figli dell’amico, il più piccolo dei quali normalmente intento a inseguire piccioni e scoiattoli. Il pensiero corse ai gatti lasciati a casa: anche loro si sarebbero divertiti moltissimo in quella caccia, che lui bonariamente si sarebbe maggiormente goduto senza tutto lo strepito prodotto da quel ragazzino.<br />
Durò un attimo quel pensiero, giusto il tempo di un’innocente distrazione prima di farsi riavvolgere dalle spire della più totale indifferenza.<br />
L’entusiasmo pionieristico di Alfonso Di Dio era tutt’altro che contagioso e lo stesso cicerone se ne rese conto quando, esaurite le poche nozioni che aveva intorno a quel nuovo mondo che andava descrivendo, buttò l’occhio sul suo amico che placido continuava a fumare come se si trovasse sul divano di casa. Non aveva tutti i torti Gaetano, pensò Alfonso, alla fine si trattava di quattro alberi in mezzo a sterminati prati dove scorrazzavano animali più imborghesiti degli abitanti di quella città.<br />
“Ricordi Vico?” chiese a bruciapelo Di Dio, tentando di fare uscire l’amico da quell’apatia.<br />
De Robertis volse appena il capo alle sua destra con uno sguardo interrogante e perplesso: “Giambattista?”<br />
“Giambattista, si”.<br />
“Allora?”<br />
“No niente, tu sai che ho lasciato la mia vecchia vita, il lavoro, la famiglia, amici e sono emigrato qua?” proseguì un po’ meno sicuro Di Dio.<br />
“Certo che lo so, altrimenti non mi troverei qui oggi” rimandò caustico l’amico.<br />
“Era per dire, Gaetà, tu proprio ignori le fioriture della retorica”.<br />
“Non è che le ignoro, è che le voglio ignorare”.<br />
“Non a caso sei un ingegnere”.<br />
“E tu un avvocato”.<br />
“Vabbé, visto che conosciamo le rispettive professioni, faremo a meno di scambiarci i biglietti da visita. Comunque, tornando al punto, anzi all’inizio della questione che il punto è ancora assai lontano, intendevo dire: ti ricordi la teoria dei ricorsi storici?”<br />
“Cazzate” commentò distrattamente Gaetano, guardando dentro il fornello della pipa, per aver conferma della totale consumazione del tabacco.<br />
“Come cazzate? A parte il fatto che il pensiero di Vico ha anticipato quello di…” iniziò a indignarsi Alfonso.<br />
“Senti Fofò” l’interruppe immediatamente Gaetano “l’ho studiata anch’io filosofia, non mi fare la lezione partendo da Talete, vieni al punto”.<br />
“Se non mi fai iniziare, come ci arrivo al punto, cazzo?” protestò veramente impermalito Alfonso.<br />
“Hai ragione” concesse Gaetano “facciamo così: dammi credito, facendo finta che io sappia le stesse cose che sai tu su Vico e quello che ne è seguito, e dimmi subito quello che pensi sui ricorsi storici; avrai fatto qualche pensata geniale, immagino, ed è meglio che la comunichi subito al mondo, che in questo momento io rappresento, prima che ti sfugga di mente”.<br />
“No che non mi sfugge; comunque, sai che Vico sostiene che nell’uomo prima si forma il senso, poi la fantasia e da ultimo la ragione”.<br />
“Uhm..” sospirò Gaetano De Robertis, indicando che in una certa misura si rassegnava a un preambolo, purché fosse breve.<br />
“Dicevo” riprese Alfonso Di Dio, alzando di un’ottava il tono di voce “dicevo che questo stesso fenomeno si verifica anche ai popoli”.<br />
“Le nazioni, dice Vico” lo corresse Gaetano, mentre l’angolo sinistro della bocca, occultato al suo interlocutore, non poté fare a meno di allungarsi in un ghigno.<br />
“Si le nazioni, insomma, hanno un loro sviluppo che dalla barbarie le conduce alla razionalità, ma sempre col rischio che accompagna la precarietà di ogni razionalità, di smarrirsi, perdersi, pena il ritorno alla barbarie col nuovo inizio di un altro percorso”.<br />
“Ufffff” sbuffò definitivamente scocciato Gaetano De Robertis.<br />
“Che c’è adesso?”<br />
“Ma come si fa? Dico io. Ma come fate tu e Vico, anzi solo Vico, ché tu ripeti a pappagallo, a dire che si possa perdere la ragione, che è una cosa precaria? Uno può uscire pazzo. Va bene, Antonio è uscito pazzo, il che è pure plausibile, conoscendolo, ma dico io, in generale, se tu hai il possesso del bene dell’intelletto e non esci pazzo, come fai a perdere l’uso delle tue capacità razionali”, sbottò Gaetano, dimenticando di lasciarsi avvolgere dall’indifferenza per il tempo necessario a fare quella tirata.<br />
“Quindi, secondo te, non si può perdere la ragione per un certo periodo e riacquistarla?” ritentò Di Dio.<br />
“Ma sono casi clinici o eccezioni straordinarie, come nel caso di Antonio; in generale gli uomini si dividono, e sempre si sono divisi, in due categorie: gli esseri razionali e i cretini, senza voler fare torto a nessuno, neppure a Sciascia. Ora, normalmente, i cretini vivono e muoiono da cretini e gli altri da esseri razionali: è una questione statistica”.<br />
“Eh… sempre le scienze esatte. Tu certo, morirai, esattamente, ingegnere. Però, la verità” si accalorò Alfonso “è che non tieni conto del dato esistenziale. Vico parlando dei popoli …”<br />
“Nazioni”.<br />
“… parlando delle nazioni, diceva che le cause possono essere molteplici, discordie, guerre intestine, cose così...”<br />
“Cose così…” De Robertis sottolineò la genericità dell’amico alzando gli occhi al cielo.<br />
“Si, cose così. Ma lasciamo andare i pop... le nazioni, prendiamo a caso una specifica esistenza umana, perfettamente razionale, che venga lacerata al cuore della sua esistenza da un evento eccezionale e imprevedibile, oppure da una sofferenza invincibile, la quale per un certo periodo lo faccia regredire, lo riporti a uno stato primordiale, dal quale poi, con molta fatica, possa nuovamente uscire, per tornare a uno nuovo stato razionale. Magari, aggiungo, anche migliore, perché temprato dalla prova del dolore, come diceva Platone” concluse, quasi trionfante, Alfonso Di Dio.<br />
“Platone?”<br />
“Si, Platone. Non ti piace Platone?”<br />
“Platone… come non mi piace Platone? mi piace Platone, sei tu che non piaci, quando fai così. Eppure te l’avevo chiesto poco fa: non mi partire dai greci. Niente, come il prezzemolo, li devi mettere dappertutto. Scommetto che se io iniziassi a parlarti di fisica quantistica, saresti capace di citare nuovamente Platone, vero?”<br />
“Ma certo, è dimostrato che fu il grande precursore della visione matematica della natura…”<br />
“Ma vaffanculo”<br />
“Hey! Uomini che fate così indietro? Girando qui a sinistra siamo arrivati al Big Ben, forza” li redarguì da lontano Simona.<br />
“E andiamo a vedere l’orologio più inutile della storia” disse tra i denti De Robertis, lasciando indietro l’amico e facendosi, definitivamente, avvolgere nelle spire della sua ritrovata e pacificatrice indifferenza.<br />
Alfonso Di Dio lo seguì per qualche attimo con lo sguardo, chiedendosi perché l’amico fosse così contrariato. Avevano progettato quella venuta in Inghilterra da mesi, lo stesso Gaetano nei giorni precedenti era stato pieno di interesse per la cittadina in riva alla costa che lo ospitava, eppure adesso che si trovava a Londra sembrava aver perso interesse in ogni cosa, sembrava che ogni tappa di quella gita turistica fosse una stazione della via crucis.<br />
<br />
<br />
<br />
<div style="text-align: center;">
II</div>
Ogni volta che i suoi compagni gli prospettavano la nuova tappa della loro gita, Gaetano De Robertis riandava alla sua fanciullezza, quando con la famiglia, il venerdì santo seguiva la processione del paese. “Adesso da qui andremo a Trafalgar square”, ‘Mater dolorosa. Ora pro nobis’, recitò mentalmete Gaetano.<br />
Non voleva certo guastare la gita al resto della compagnia, era stato contentissimo di quell’invito a visitare un paese a lui del tutto ignoto; aveva preparato quel viaggio con ogni cura e in ogni dettaglio. I primi giorni erano stati entusiasmanti: ettolitri di birra erano transitati dal suo bicchiere nella sua gola, il rinnovare la compagnia col vecchio amico lo aveva riportato a giorni lieti, ormai divenuti, a loro volta, anche troppo antichi.<br />
Sapeva già della visita a Londra, tutto era stato pianificato in ogni minimo dettaglio, ma la notte precedente a quella gita per la capitale un pensiero, un obbiettivo si era insediato nella sua mente ed era rimasto l’unico, predominante pensiero. Con quel pensiero fisso, ogni deviazione, ogni tappa di quel viaggio, ogni monumento diveniva una tortura.<br />
“Andiamo a vedere Covent Garden? Da qui è vicino, due passi”<br />
‘Mater desolata…’ recitò ancora solo mentalmente Gaetano, aggiungendo ad alta voce: “Si magari dopo, adesso che siamo in zona perché non facciamo un salto in Jermyn street, magari così vediamo anche il negozio di Dunhill?”, proponendo questa volta risoluto.<br />
“Si hai ragione, anch’io sono curioso” lo spalleggiò l’amico, aggiungendo: “però, passiamo per Piccadilly Circus, che è di strada”.<br />
‘Mater afflicta’ e furono in Piccadilly.<br />
Dopo un’interminabile mezz’ora in Piccadilly Circus, dove agli occhi di De Robertis, i compagni di viaggio sembravano interessati a studiare anche gli interstizi della pavimentazione, il gruppo si mosse verso la tanto agognata meta e in breve tempo fu dinanzi alla vetrina del negozio Dunhill.<br />
Entrando come i più incalliti peccatori dell’universo nel luogo più sacro del creato, furono accolti dall’ovattata cortesia di impeccabili hostess e steward. Tutto in quell’ambiente incuteva rispetto e trasudava opulenza; non riuscivano a distogliere gli sguardi dai bottoni dorati delle giacche dei commessi, che sembravano, a loro volta, esprimere il più profondo biasimo nei confronti di chi osava anche solo pensare di accostarsi a quel luogo indossando un paio di jeans e miserabili scarpe da ginnastica.<br />
“May I help you?” investigò la cortesia del più pronto dei commessi.<br />
“Si, certo, vorremmo vedere le pipe” disse in un fiato De Robertis, una frase che si era preparato a pronunciare mentalmente per ore, ma tradito dall’emozione la disse nel suo idioma nativo.<br />
“Magari, se glielo diciamo in inglese ci capiscono pure” si vendico Alfonso Di Dio che ancora pensava alla chiacchierata sui popoli, o meglio le nazioni di Vico.<br />
S’affidarono alla competenza di Simona, la quale, come tutte le donne, puntando sulla relatività del tempo, da oltre dieci anni raccontava di quando vent’anni prima fosse vissuta a Londra; gli anni passavano ma i vent’anni erano sempre venti.<br />
In breve, il gruppo fu intorno a un enorme ed elegantissimo tavolo, circondati da vetrine stracolme di ordinatissime pipe. Dopo una prima, generica visione delle vetrine, si trovarono di fronte al primo bivio: avevano una qualche preferenza, desiderano, forse, i signori esaminare qualche pipa in particolare?<br />
“Lovat” esclamò secco Gaetano, che ormai da ventiquattr’ore aveva deciso di comprare quel preciso tipo di pipa in quel preciso punto dell’universo, venisse dopo anche l’Apocalisse. Da oltre un anno s’era appassionato a quello shape, tanto da farne una malattia e divenire oggetto degli sfottò degli amici, ma a lui non importava. Si era vero, lo capiva lui stesso a tratti, che la forma par excellence della pipa era la billiard, ma nulla: le sue pipe dovevano essere rigorosamente lovat realizzate dai più svariati artigiani di tutto il mondo, figurarsi se adesso che si trovava nel sancta sanctorum, poteva rinunciare ad acquistare un esemplare nuovo e inedito di quello che egli considerava l’ipostasi della pipa.<br />
L’ineccepibilità dello steward, alla parola lovat, subì un duro colpo agli occhi dei due clienti, quando questi mostrò una certa titubanza; gli fu spiegato che la lovat era uno shape, una forma specifica di pipa e non una marca differente da quella dell’omonimo fondatore della casa che gli elargiva il suo lauto stipendio.<br />
Incerto il giovane mostrò a De Robertis, che l’istinto gli diceva essere l’unico possibile, se non certo, acquirente del gruppo, la carta degli shape, sulla quale fulmineo s’appuntò l’indice di Gaetano a indicare con esatta precisone il disegno raffigurante l’oggetto di tutti i suoi desideri. Rinfrancati dall’equivoco, i due amici si scambiarono un complice sguardo rassicurante, come a dire: in fondo sono uomini pure loro, mentre il giovane prono sui cassetti che andava via via aprendo, riponeva scatole su scatole sul tavolo.<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhual9qY5yXl8Ps5uzn1FdbVrSLdAmWV6wy2qQkVs1j5o91OY5tOeWzSDUeR4Uw3ox-kGnMUCy0f92J0ETxfoFthKs4vxHSplml747GwtNGrRe2MsJO__3JEjuwQuYVK2XKi-RUxQmrlJs/s1600/12525635_926959967417724_2858046237158089239_o.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhual9qY5yXl8Ps5uzn1FdbVrSLdAmWV6wy2qQkVs1j5o91OY5tOeWzSDUeR4Uw3ox-kGnMUCy0f92J0ETxfoFthKs4vxHSplml747GwtNGrRe2MsJO__3JEjuwQuYVK2XKi-RUxQmrlJs/s320/12525635_926959967417724_2858046237158089239_o.jpg" width="320" /></a></div>
E incominciò ad aprirle quelle scatole, riaffermando il suo stato, se non semidivino, angelico indossando ineccepibili guanti di cotone, per evitare di macchiare le pipe con le proprie indegne terrestri, impronte digitali, tanto che i due si limitarono a osservare le pipe a una certa distanza, certi che gli fosse inibito toccarle. Furono salvati dai figli di Di Dio, gli unici che non subivano minimamente la sacralità del luogo e delle circostanze, i quali prese in mano le pipe, se le passarono tra loro per qualche minuto, prima di decidersi a stravaccarsi sul divano dell’atrio, in attesa che qualcosa avvenisse senza il loro contributo.<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgrsvbC7zydlsCnrmujkmkRBfdBITUKtA-PKUh4fxhY6aH3sD8YCEFe3lrh-u69soYfUJJCn-KKUCj30TCE1eqJ7zBDZzMLZ4ZY-WE8Zd1_IPihY6Q0N_340xZzmrZVaRcVlbU9PEUzYVw/s1600/12795085_926959854084402_4496127548268162983_o.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="240" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgrsvbC7zydlsCnrmujkmkRBfdBITUKtA-PKUh4fxhY6aH3sD8YCEFe3lrh-u69soYfUJJCn-KKUCj30TCE1eqJ7zBDZzMLZ4ZY-WE8Zd1_IPihY6Q0N_340xZzmrZVaRcVlbU9PEUzYVw/s320/12795085_926959854084402_4496127548268162983_o.jpg" width="320" /></a></div>
Dopo ore di millimetriche comparazioni delle infinite lovat presenti nel negozio, Gaetano De Robertis uscì raggiante di giubilo, dal negozio, per gettarsi nel crepuscolo londinese, felice proprietario di una billiard sabbiata col bocchino a sella, l’unica pipa che non aveva chiesto, né desiderato esaminare, nelle sue intenzioni e richieste, ma che per puro caso era stata notata, di sfuggita, in una delle tante vetrine. Sola, tra centinaia di altre pipe, quasi negletta, brillante nella sua incredibile sabbiatura, aveva sconvolto in pochi secondi le migliaia di ragionamenti che Gaetano aveva sviluppato sulla superiorità delle lovat, incrinando impercettibilmente il rigore scientifico e la certezza esistenziale della loro assoluta superiorità.<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiVq3P5t2kuRU1xJl2DgrgzQNN5LkeCuWtnDrTNR2BLdYe8gYyaHK0OTlGYH5fLz4V52xJAr4Oq_ORGjx7xrLPKU8NYC4jixxWiKyrOcIOIgny7KImrYiUinNY6nJJ9AEyBRRTqFSuWPKk/s1600/12473817_926960320751022_8681153082068176108_o.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="480" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiVq3P5t2kuRU1xJl2DgrgzQNN5LkeCuWtnDrTNR2BLdYe8gYyaHK0OTlGYH5fLz4V52xJAr4Oq_ORGjx7xrLPKU8NYC4jixxWiKyrOcIOIgny7KImrYiUinNY6nJJ9AEyBRRTqFSuWPKk/s640/12473817_926960320751022_8681153082068176108_o.jpg" width="640" /></a></div>
<br />
<br />
<br />
<div style="text-align: center;">
III</div>
“Caffè?”<br />
E caffè fu.<br />
Imbambolato, in uno stato semi catatonico Gaetano venne condotto sottobraccio dalla compagnia al primo Starbucks nelle vicinanze. L’indifferenza di prima, votata al conseguimento del risultato, si mutò in totale indifferenza da appagamento, una forma molto più radicale, tale da ottenebrargli anche la vista.<br />
Appagato l’istinto primario della conservazione, tramite un paio di gelati i ragazzini, qualche insalata le consorti e due caffè gli uomini, la pipa iniziò a girare di mano in mano sul minuscolo tavolo dell’enorme catena di ristorazione.<br />
“Bella!”<br />
“Uhm”<br />
“Ma non volevi un lovat caro?”<br />
“Uhm”<br />
“A me le lovat non piacciono preferisco questa”<br />
“Uhm uhm”<br />
“Certo che venire a Londra e comprarsi una pipa proprio nel negozio di Dunhill non è da tutti”.<br />
“Eeeeeeh” sottolineò, infine, l’ingegnere col più lungo dei commenti che riuscì ad articolare.<br />
Incuriosito, Alfonso Di Dio, chino sul tavolo, sporse il viso a esaminare l’amico.<br />
“Gaetà!”<br />
“Uhm”<br />
“Andiamo a Covent Garden?” chiese per esperimento Alfonso, ormai così stanco da non poter fare più neppure un passo.<br />
“Ah!” esclamò l’amico con gli occhi sbarrati da dietro le lenti ancora bagnate da qualche sparuta goccia della pioggia londinese.<br />
Alfonso Di Dio seppe in quell’istante che Vico s’era vendicato, la pipa avendo fatto regredire l’amico a uno stato primordiale, prerazionale; appoggiando la schiena alla sedia, con uno sguardo soddisfatto, sorrise a Gaetano inarcando le sopracciglia, come a dire ‘vedi che avevo ragione’, pensando che da quel momento iniziava il percorso che avrebbe nuovamente condotto Gaetano a un nuovo stato razionale, forse più consapevole.<br />
“Amore, che c’è?” gli chiese premurosa l’inconsapevole Justyna appoggiando la preoccupata mano sull’avambraccio del marito.<br />
Non ottenne risposta, solo qualche inarticolato suono di sgomento stupore da parte del marito che, imbambolato, non riusciva a pensare altro che la pipa appena comprata, compendio ormai per la sua mente dell’intero universo.<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgHoIkxSQi3IevzxkiOHZq_L24Hn486duzyuKz-chyphenhyphenyTMzbpfEFA_aqESnQaWRdIFCHemXO7PFhxVIVZCBN9Gzbk-r_m2xjKFsYFAe_Gxak_n_z6CdOAGsV67fjS4IhbJRGw-5EVTGmi1g/s1600/1483412_10207715233273030_1096416873770437373_n.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="426" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgHoIkxSQi3IevzxkiOHZq_L24Hn486duzyuKz-chyphenhyphenyTMzbpfEFA_aqESnQaWRdIFCHemXO7PFhxVIVZCBN9Gzbk-r_m2xjKFsYFAe_Gxak_n_z6CdOAGsV67fjS4IhbJRGw-5EVTGmi1g/s640/1483412_10207715233273030_1096416873770437373_n.jpg" width="640" /></a></div>
<br />
<div>
<br /></div>
gmrobertohttp://www.blogger.com/profile/07424458071749974883noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-7602074521152130478.post-5721105767528795732016-04-03T11:02:00.000+02:002016-05-10T00:56:43.032+02:00La mela di Fantozzi<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjJufL_Ve0wyNW_SqVMpitpXZZRaWcrLl0B3IMnJSl2dz09cjy8FumYNbh_eIgrl7lYJ0GMk5JRF4jXooWqONPjBdU_y3oeF89nk1CjgKeh4aDBVzqgCAWT9yboQLWFfom4Gt8P8AtO2As/s1600/corazzata-potemkin-occhio-della-madre.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="273" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjJufL_Ve0wyNW_SqVMpitpXZZRaWcrLl0B3IMnJSl2dz09cjy8FumYNbh_eIgrl7lYJ0GMk5JRF4jXooWqONPjBdU_y3oeF89nk1CjgKeh4aDBVzqgCAWT9yboQLWFfom4Gt8P8AtO2As/s400/corazzata-potemkin-occhio-della-madre.jpg" width="400" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">L'occhio della madre!</td></tr>
</tbody></table>
Ho scritto le mie prime righe di codice nell'A.D. 1984 e da allora - fra hobby, passione, studio e poi mestiere - non ho mai smesso. Metto avanti questo dato per essere maggiormente credibile quando dico che <i>a priori </i>non nutro per la Apple maggiore simpatia che per IBM, Microsoft, Google o per qualunque altro produttore di informatica: dopo trentadue anni qualunque rapporto è ormai nella fase della pace dei sensi, e le guerre di religione informatiche hanno smesso di appassionarmi da un abbondante quarto di secolo.<br />
Sgombrato il campo da questo dubbio, posso ora dichiarare apertamente che di recente mi è ritornata irresistibile la voglia di fare in maniera acritica e viscerale il tifo per Apple, e il merito di questo ritorno di fiamma è tutto da attribuirsi all'FBI.<br />
Sto parlando ovviamente della vicenda che ha visto contrapposti Apple e il Bureau a proposito dell'iPhone appartenente all'autore della <a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Strage_di_San_Bernardino">strage di San Bernardino</a>.<br />
<br />
Riassumiamo brevemente i fatti: il 16 febbraio scorso un giudice ordina ad Apple di aiutare l'FBI a sbloccare un iPhone 5c appartenuto a Syed Rizwan Farook, l'uomo che il 2 dicembre 2015 insieme alla moglie aveva ucciso 14 persone a San Bernardino in California.<br />
La Apple però si è rifiutata di collaborare con l'FBI e ha spiegato le proprie ragioni in una <a href="http://www.apple.com/customer-letter/">lettera pubblica</a> a firma dell'AD Tim Cook.<br />
Il caso doveva tornare in tribunale il 22 marzo ma il giorno prima l'FBI ha dichiarato di essere riuscita a sbloccare il telefonino senza l'aiuto di Apple.<br />
<br />
Si tratta di una vicenda che è stata vista come la contrapposizione fra sicurezza e tutela della privacy, o come una disputa sui limiti di ciò che un governo può chiedere di fare a un'azienda privata in nome dell'interesse collettivo. Sono tutte questioni interessanti, ma per quanto mi riguarda la voglia di mettermi a fare la <i>ola </i>per la Apple è venuta da un <a href="http://www.apple.com/customer-letter/answers/">addendum</a> alla lettera pubblica linkata sopra, e specificamente da un capoverso che mi piace riportare parola per parola:<br />
<br />
<i>Yes, it is certainly possible to create an entirely new operating system to undermine our security features as the government wants. But it’s something we believe is too dangerous to do. The only way to guarantee that such a powerful tool isn’t abused and doesn’t fall into the wrong hands is to never create it</i>.<br />
<br />
Perché questo passaggio m'è piaciuto così tanto? Perché dentro ci sono le trombe di Gerico, quelle dell'Aida di Verdi e quelle del Settimo Cavalleggeri che squillano tutte insieme la riscossa della classe informatica.<br />
<br />
Avete presente <i>Come uccidere vostra moglie</i>? In quel film, un superbo Jack Lemmon è accusato (a torto) di aver assassinato l'affascinante Virna Lisi dopo essersi pentito di averla sposata; e riesce a salvarsi la pelle enunciando il principio per cui mandare assolto un uomo che ha ucciso la propria moglie costituirà un precedente, sarà un argine allo strapotere delle donne e ristabilirà il dominio maschile sul mondo.<br />
Ecco, la risposta della Apple costituisce esattamente questo genere di precedente, non importa chi abbia ragione e chi torto nel caso di specie.<br />
<br />
Facciamo astrazione dai nomi dei due contendenti in gioco, facciamo astrazione dai dettagli tecnici, facciamo astrazione dalle questioni di sicurezza e di privacy. Quello che rimane di sostanziale nel passaggio che ho citato è un'azienda di software che dice: "questa cosa magari è anche fattibile tecnicamente ma è una tale assurdità che mi rifiuto di svilupparla".<br />
<br />
È qualcuno che di fronte a una richiesta ha il coraggio di dire: "Caro utente, la tua richiesta<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjk7Dc34NdQHeYfSkp-VRbeb1uEClWZiy-pUDnwixZeOmspIXkZnNCfYolOVIoHvuUQR2Cp2vyIAVNX5bebtRBwXGNwWxSQtKvTcWgH_0OFUecI6YsH0P2lg2ePmJiMyU6SFpO0kZ25LhI/s1600/Cagata-Pazzesca-Fantozzi.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="336" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjk7Dc34NdQHeYfSkp-VRbeb1uEClWZiy-pUDnwixZeOmspIXkZnNCfYolOVIoHvuUQR2Cp2vyIAVNX5bebtRBwXGNwWxSQtKvTcWgH_0OFUecI6YsH0P2lg2ePmJiMyU6SFpO0kZ25LhI/s640/Cagata-Pazzesca-Fantozzi.jpg" width="640" /></a></div>
<br />
e per ciò stesso merita i fantozziani 92 minuti di applausi.<br />
<br />
Vedete, il fatto che il software sia <i>immateriale </i>è al tempo stesso la sua forza, il suo fascino e la sua condanna. Per altri manufatti dell'uomo la materialità è un limite ma è anche un baluardo contro richieste troppo insensate. A nessuno verrebbe in mente di far realizzare un aereo di cristallo, o un grattacielo coi pilastri di cartone. Anche il più rampante e aggressivo manager dell'industria automobilistica ha perfettamente chiaro che non può chiedere ai suoi ingegneri un veicolo con le prestazioni velocistiche di una Ferrari, equipaggiato come un'Audi full optional e che costi al pubblico 5000 euro.<br />
Nel campo del software invece l'idea è che si possano realizzare cose complesse a piacere, a tempi e costi piccoli a piacere. <br />
Il risultato finale di questo stato di cose è la frustrazione più diffusa e pervasiva: la frustrazione di chi lavora nel settore e la frustrazione di tutti gli utenti che quotidianamente hanno la vita avvelenata da realizzazioni substandard. Pensateci: il più scalcagnato dei nostri telefonini o dei nostri laptop (per non parlare ovviamente di PC portatili o desktop) è diversi ordini di grandezza più potente dei calcolatori che mandarono l'uomo sulla Luna senza intoppi. Eppure ci troviamo in tasca oggetti più avidi di energia di un cacciatorpediniere, che si bloccano senza motivo apparente e che hanno più rappezzi delle suole di un paio di scarpe scadenti.<br />
<br />
Perciò la presa di posizione di Apple (a prescindere dal fatto che le si voglia o no dare ragione, a prescindere dal fatto che sia stata o no un'operazione di marketing) è tanto importante.<br />
Perché serve a ricordarci che il software magari è svincolato dalla legge di gravità, ma è ancora soggetto alle leggi della logica e del buon senso.<br />
<br />
<br />
<br />
<br />gmrobertohttp://www.blogger.com/profile/07424458071749974883noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-7602074521152130478.post-61507972132337005952016-03-26T12:44:00.000+01:002016-03-26T12:45:32.934+01:00Tout Maigret (peut-être), 8 - Un delitto in Olanda<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgPQhft4us6LcjX_tkVZ8tv6thxDbFx4XuKTBYA3eyxEDyf5G3SQCPmzyHGt_-v9ovxJP6m2xKsyGZdNucvbJe53ok9VoSH5u9PuhQZZvFDQogse5bmQVkdCNsKd6ykY0YMxNWMAWeocfM/s1600/page2-1062-full.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgPQhft4us6LcjX_tkVZ8tv6thxDbFx4XuKTBYA3eyxEDyf5G3SQCPmzyHGt_-v9ovxJP6m2xKsyGZdNucvbJe53ok9VoSH5u9PuhQZZvFDQogse5bmQVkdCNsKd6ykY0YMxNWMAWeocfM/s400/page2-1062-full.jpg" width="235" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;"><div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "georgia" , serif; font-size: xx-small; text-align: justify; text-indent: 30.2667px;">"<i>Le salon était petit. </i></span></div>
<div style="text-align: left;">
<span style="font-family: "georgia" , serif; font-size: xx-small; text-indent: 30.2667px;"><i>Adossé à la porte, le commissaire semblait trop grand pour lui"</i></span></div>
</td></tr>
</tbody></table>
Ottavo titolo del grande ciclo maigrettiano, questo <i>Un crime en Hollande</i> fu scritto nel maggio del 1931 e pubblicato da Fayard nel luglio dello stesso anno. Il romanzo è il primo della serie ad essere scritto (e stavo per scrivere <i>girato</i>) nelle location fiamminghe nelle quali Simenon ambienterà anche il successivo <i>La casa dei fiamminghi </i>(1932) e a distanza di qualche anno un trittico di <i>romans durs </i>fra i suoi capolavori assoluti: <i>L'assassino</i> (1937), <i>L'uomo che guardava passare i treni</i> (1938) e <i>Il borgomastro di Furnes</i> (1939).<br />
<span style="text-align: justify; text-indent: 30.2667px;"><br /></span>
<span style="text-align: justify; text-indent: 30.2667px;">Cos'è questo Paese fiammingo agli occhi del belga Simenon? È prima di tutto il regno del nitore assoluto, nitore dell'atmosfera, delle case, dei bar, il nitore dei Van Eyck e dei Bruegel. Lo si capisce fin dalla prima memorabile descrizione della Delfzijl che si para davanti a Maigret appena sceso dal treno: </span><span style="font-family: inherit; text-align: justify; text-indent: 30.2667px;"><i>Une petite ville : dix ou quinze rues au plus, pavées de belles briques rouges aussi régulièrement alignées que les carreaux d’une cuisine. Des maisons basses, en briques aussi, ornées d’une profusion de boiseries aux couleurs claires et joyeuses. [...] </i></span><i>Il y avait du soleil. Le chef de gare portait une jolie casquette orange dont il salua tout naturellement le voyageur inconnu. </i>Siamo veramente a un passo dalla Vondervattimeittis del <i>Diavolo nella torre </i>di Poe.<br />
<span style="font-family: inherit; text-align: justify; text-indent: 30.2667px;"><br /></span>
<span style="font-family: inherit; text-align: justify; text-indent: 30.2667px;">A questa pulizia estrema fa da contrappeso una particolare densità dell'aria, un'atmosfera calda, pastosa, intima, con interni spesso di legno solido e scuro ("</span><span style="font-family: inherit;"><i>une atmosphère lourde de soleil et de calme</i>", viene detto a un certo punto). Un'atmosfera che sembra vivere di vita propria, un'atmosfera che in un certo senso è essa stessa un luogo, un personaggio, un attore. E in effetti tutti i libri che ho citato prima possono essere letti come le storie di altrettanti tentativi (tutti destinati in un modo o nell'altro al fallimento) di scuotere questa imperturbabile placidità, di sperimentare la possibilità di un destino meno preordinato.</span><br />
<span style="font-family: inherit;"><br /></span>
<span style="font-family: inherit;">Come nel <a href="http://ildiariodiunpigro.blogspot.it/2016/02/tout-maigret-peut-etre-7-il-crocevia.html">precedente romanzo della serie</a>, anche qui la dicotomia fra romanzi del carnefice e romanzi della vittima appare sfumata, dato che entrambe le figure sono delineate con tale partecipazione, con tale commossa pietà che si farebbe fatica a dire se resti maggiormente impresso nella memoria il povero Conrad Popinga (sì, Popinga, come il Kees dell'<i>Uomo che guardava passare i treni</i>) o la persona che ne causerà la morte.</span><br />
<span style="font-family: inherit;"><br /></span>
<span style="font-family: inherit;">Un romanzo di fallimenti, questo <i>Maigret in Olanda</i>: dal fallimento esistenziale, pagato con la vita, di Popinga; al fallimento della solida, compatta comunità di Delfzijl nel suo tentativo di attribuire il delitto a un marinaio di passaggio e quindi di evitare di fare i conti con un male che proviene dal suo stesso nucleo; al fallimento alla fin fine dello stesso Maigret nello scoprire una verità che nessuno vuole ascoltare, che renderà tutti infelici e che lo costringerà per una volta ad abdicare al suo ruolo di aggiustatore di destini. </span><br />
<span style="background-color: white; font-size: 16px; text-align: justify; text-indent: 30.2667px; widows: auto;"><span style="font-family: inherit;"><br /></span></span><span style="font-size: 16px; text-align: justify; text-indent: 30.2667px; widows: auto;"><span style="font-family: inherit;">E il bruciante epilogo, l'ultima mezza pagina del romanzo, ha il sapore straniante dell'ultimo tempo della seconda sonata di Chopin, un finale che nega ogni catarsi e in realtà non termina nulla, lasciando più interrogativi di quanti non ne risolva. </span></span><br />
<span style="font-size: 16px; text-align: justify; text-indent: 30.2667px; widows: auto;"><span style="font-family: inherit;">Eppure si finisce questo libro con una strana, obliqua contentezza, tanto veri e vitali sono i personaggi, tanta è la verità con la quale sono raffigurati non solo i protagonisti ma anche tutte le figure di contorno, dal cordiale capostazione col suo assurdo cappello color arancio ai marinai che fumano le loro pipette di argilla lungo i canali di Delfzjil. </span></span>
<span style="background-color: white; font-size: 16px; text-align: justify; text-indent: 30.2667px; widows: auto;"><span style="font-family: inherit;"><br /></span></span><br />
<span style="background-color: white; font-size: 16px; text-align: justify; text-indent: 30.2667px; widows: auto;"><span style="font-family: inherit;"><br /></span></span>gmrobertohttp://www.blogger.com/profile/07424458071749974883noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-7602074521152130478.post-24836838082532424962016-03-25T11:04:00.000+01:002016-03-25T11:04:16.362+01:00Postcards from BrightonLa scorsa settimana insieme a Justyna siamo stati ospiti di una coppia di carissimi amici che si sono trasferiti a Brighton, UK.<br />
In attesa di ragguagliarvi con gli inevitabili risvolti tabagiferi e pipici della spedizione, condivido con voi qualche scatto da questa piccola perla del Sussex.<br />
Per un campano dell'entroterra, che alla parola "mare" associa automaticamente le spiagge del Cilento, conoscere l'accezione inglese del termine è stato interessantissimo.<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh8Hrpt_th1tU6WPgeRwMgZEhkP_UZTOsvotFCxypb3ks-4pkeNxQQ0tMvwLNM99zUkLUezioCtM90qwnptg6zPCWR0BynC7pc3hvbZFNc1pWK708dQPPCBN555UcZ0rEwGLsmygsD1Ucg/s1600/DSCF1582.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="425" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh8Hrpt_th1tU6WPgeRwMgZEhkP_UZTOsvotFCxypb3ks-4pkeNxQQ0tMvwLNM99zUkLUezioCtM90qwnptg6zPCWR0BynC7pc3hvbZFNc1pWK708dQPPCBN555UcZ0rEwGLsmygsD1Ucg/s640/DSCF1582.jpg" width="640" /></a></div>
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgKGr9s_mF53987XI7vZeVpfd1844-fxKuvRTzhfeebWfQ1J04vrLl9NBaGoKIwjlz5Un8Avk3no9E_DVxk9XdBZNSIgUzRocDtg41zAx_l3ofhn-w8rPtKV-_qXujBv0ULEdPCsn1FfGw/s1600/DSCF1583.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="425" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgKGr9s_mF53987XI7vZeVpfd1844-fxKuvRTzhfeebWfQ1J04vrLl9NBaGoKIwjlz5Un8Avk3no9E_DVxk9XdBZNSIgUzRocDtg41zAx_l3ofhn-w8rPtKV-_qXujBv0ULEdPCsn1FfGw/s640/DSCF1583.jpg" width="640" /></a></div>
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhsocSntm8M_48ldqnRKMcBcAz0a_4RobL17oQXoSI6kgcbedXk6h2SfINOHkmunHT4nrIFF9ppktZSJMe0mHrtD2vdZE9G5NolBwmWAYwaBuD9NtIzBktFfT8-u16AIJttCbunw3Xx2JM/s1600/DSCF1590.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="425" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhsocSntm8M_48ldqnRKMcBcAz0a_4RobL17oQXoSI6kgcbedXk6h2SfINOHkmunHT4nrIFF9ppktZSJMe0mHrtD2vdZE9G5NolBwmWAYwaBuD9NtIzBktFfT8-u16AIJttCbunw3Xx2JM/s640/DSCF1590.jpg" width="640" /></a></div>
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg0ziX1gucT-0eGHeCJU6zcHgglZhnTL_-_byyPQ-96CG-9mIyaqXuIUGydVJVcJCVHgBPqbz9PNU8cMn39vKAaPQPgwyrjuXLbSOWTByXN2WwIk_iJIslijayZzKmS2ShMkialpU2kMGQ/s1600/DSCF1596.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg0ziX1gucT-0eGHeCJU6zcHgglZhnTL_-_byyPQ-96CG-9mIyaqXuIUGydVJVcJCVHgBPqbz9PNU8cMn39vKAaPQPgwyrjuXLbSOWTByXN2WwIk_iJIslijayZzKmS2ShMkialpU2kMGQ/s640/DSCF1596.jpg" width="640" /></a></div>
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiTAY9-JwrKditbL9ZAJZks669oU0N8I_ZoWHNutWVWkSJ5CgSDXw-K1f6mKJxz5L0cpVy0z1vNw6bU0JhFF7-ybJTnC6zwd_gYf_QEeeT4lOEt3ZH6GaeJP2OmR_cm6Dvk_H3vYh9R4yE/s1600/DSCF1600.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="426" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiTAY9-JwrKditbL9ZAJZks669oU0N8I_ZoWHNutWVWkSJ5CgSDXw-K1f6mKJxz5L0cpVy0z1vNw6bU0JhFF7-ybJTnC6zwd_gYf_QEeeT4lOEt3ZH6GaeJP2OmR_cm6Dvk_H3vYh9R4yE/s640/DSCF1600.jpg" width="640" /></a></div>
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj3PGf0Hp068R1Lz7z_4oAIt60aUQCexbE2_YjfoV0q4ZY5QdwvgKITl6-cTxOdhM9XD8x3dHlvOojRLoAlu08klfSNUw5majqqFyk9VeOfMux1bej3rjwlxsQEy97_Tk9fYTrOl4tA1mY/s1600/DSCF1604.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="426" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj3PGf0Hp068R1Lz7z_4oAIt60aUQCexbE2_YjfoV0q4ZY5QdwvgKITl6-cTxOdhM9XD8x3dHlvOojRLoAlu08klfSNUw5majqqFyk9VeOfMux1bej3rjwlxsQEy97_Tk9fYTrOl4tA1mY/s640/DSCF1604.jpg" width="640" /></a></div>
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjuI5y1OnYNWxva3-xLk6ahBAuUem4F4wtRCNK4FF9znn0bQJMoxP6DLvnL0Lr5V-a7ExBMJJ-I6IIfELlSf84xm4vqz6QAmtPmUJ3B9K3ImeLJMn13fqm3vUnE1plXuoTWBppj7cp-j7U/s1600/DSCF1611.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="426" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjuI5y1OnYNWxva3-xLk6ahBAuUem4F4wtRCNK4FF9znn0bQJMoxP6DLvnL0Lr5V-a7ExBMJJ-I6IIfELlSf84xm4vqz6QAmtPmUJ3B9K3ImeLJMn13fqm3vUnE1plXuoTWBppj7cp-j7U/s640/DSCF1611.jpg" width="640" /></a></div>
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiGBTuGekOYoQMDQ3KAL7Gs9kZmjNIJtWgz9zbg9bc5nT2rsjNxFZ7jJXS-KmDHwzyHcBnd2VeRqO1gws9YHDunRu79xfXokxjoYWhYzoxPXBawJqizQDrZHI3DTT9IC1bZDSvAY-QdWpU/s1600/DSCF1613.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiGBTuGekOYoQMDQ3KAL7Gs9kZmjNIJtWgz9zbg9bc5nT2rsjNxFZ7jJXS-KmDHwzyHcBnd2VeRqO1gws9YHDunRu79xfXokxjoYWhYzoxPXBawJqizQDrZHI3DTT9IC1bZDSvAY-QdWpU/s640/DSCF1613.jpg" width="640" /></a></div>
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh4fDD7DcuDRvtgKQW-DAZ-jXglFCgWN1J19yQjKMETo4fX_H7uoGJZlxzSTgwIHKjRsWzsT4jOQR05UQDD8YeetP6i1p7b86JoIdZULe5tSs2m465w-Osmb4i1zw1T4wLZFQ8k5abIfJ8/s1600/DSCF1615.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="426" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh4fDD7DcuDRvtgKQW-DAZ-jXglFCgWN1J19yQjKMETo4fX_H7uoGJZlxzSTgwIHKjRsWzsT4jOQR05UQDD8YeetP6i1p7b86JoIdZULe5tSs2m465w-Osmb4i1zw1T4wLZFQ8k5abIfJ8/s640/DSCF1615.jpg" width="640" /></a></div>
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhVhJkjPFkIv0hwI3OJX7R0UZ32d-0Dfw3whNOFtf4OHmRn8Jkd4GaFBlZGGGoSX6fDA70IOFq_uefo1LI-o4Fswm2yTD8Br7dZkgrW94WdVWm7VnUJfjq0omfN5V_dOyPL49ioZP6jjLI/s1600/DSCF1618.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="480" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhVhJkjPFkIv0hwI3OJX7R0UZ32d-0Dfw3whNOFtf4OHmRn8Jkd4GaFBlZGGGoSX6fDA70IOFq_uefo1LI-o4Fswm2yTD8Br7dZkgrW94WdVWm7VnUJfjq0omfN5V_dOyPL49ioZP6jjLI/s640/DSCF1618.jpg" width="640" /></a></div>
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgsm3QbEu1hXew48aVtHSpt6aeH4n-y0b48N9VinaWOv_aCpd2elPhi2sU-zvkDoCaX3GSjudE4KFl1Fpc_GfgbSYa-4mIrRinhGll3XmW-9WtkA3qtrHDwq8XjHyijl1IAnb0erIxFdUo/s1600/DSCF1621.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="360" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgsm3QbEu1hXew48aVtHSpt6aeH4n-y0b48N9VinaWOv_aCpd2elPhi2sU-zvkDoCaX3GSjudE4KFl1Fpc_GfgbSYa-4mIrRinhGll3XmW-9WtkA3qtrHDwq8XjHyijl1IAnb0erIxFdUo/s640/DSCF1621.jpg" width="640" /></a></div>
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgw20sYIb4iYoolc3ju08qCp7oCnRVQnmwIAS8_eM0yGk7q0LGA7yBuzPPGldNobVLtarJveXipoUsPUyoC3L3tozK5bonWLeI8iDqCqSvVucG2P0cqEdJXWakmCD6vT9uVC0Cp9cNDgkQ/s1600/DSCF1623.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="640" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgw20sYIb4iYoolc3ju08qCp7oCnRVQnmwIAS8_eM0yGk7q0LGA7yBuzPPGldNobVLtarJveXipoUsPUyoC3L3tozK5bonWLeI8iDqCqSvVucG2P0cqEdJXWakmCD6vT9uVC0Cp9cNDgkQ/s640/DSCF1623.jpg" width="640" /></a></div>
<br />gmrobertohttp://www.blogger.com/profile/07424458071749974883noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7602074521152130478.post-19985352185915958562016-02-22T13:41:00.000+01:002016-02-22T13:41:54.038+01:00Stelle danzanti<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhl3TQ1k9t0em9oRBzS30LuVmJ6_Y_RI4KxHgKnWN5yhBQgo1CeRf_QBYgQ6apb_DtJMYgUHnMMsKMpveq4mO8rWxqiC3aGcef9-GrqA7zJp45HZzmDWA7CgnQU5MQukQqmBje18bRg5EE/s1600/mazur_dancers.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhl3TQ1k9t0em9oRBzS30LuVmJ6_Y_RI4KxHgKnWN5yhBQgo1CeRf_QBYgQ6apb_DtJMYgUHnMMsKMpveq4mO8rWxqiC3aGcef9-GrqA7zJp45HZzmDWA7CgnQU5MQukQqmBje18bRg5EE/s1600/mazur_dancers.jpg" /></a></div>
Se vi chiedessero qual è il più celebre pianista polacco di tutti i tempi, probabilmente molti di voi risponderebbero Artur Rubinstein. O forse Krystian Zimerman. Ma se invece vi chiedessero qual è il <i>meno</i> famoso? Qualcuno rispetto al quale gli interpreti dell'<a href="http://ildiariodiunpigro.blogspot.it/2015/09/u-siebie.html">integrale "Polskie Nagrania" degli anni '50</a> sono delle superstar?<br />
Beh, io sarei pronto a scommettere che un serio contendente al titolo sarebbe il protagonista di questo post: Andrzej Wąsowski.<br />
L'esistenza di Wąsowski potrebbe essere una delle pontiggiane <i>Vite di uomini non illustri</i>: nato nel 1919 a Leopoli (oggi in Ucraina ma all'epoca in Polonia), da una famiglia aristocratica (una di quelle che possedevano villaggi, industrie, foreste e i cui membri parlavano tra di loro in francese) rivelò ben presto un formidabile talento musicale tanto che a vent'anni si diplomò al Conservatorio di Varsavia riportando il <i>Grand Prix d'intérpretation</i>. Sembrava destinato a una fulgida carriera di concertista ma giusto nel 1939 sulla sua strada si misero due signori, uno tedesco e l'altro russo: i signori Ribbentrop e Molotov. Leopoli fu invasa prima dai russi, che fecero conoscere a Wąsowski le gioie dello stakanovismo inviandolo a fare concerti a beneficio delle truppe a ritmi da industria pesante e in seguito dai tedeschi, che gli alleviarono la fatica ma gli proibirono di suonare Chopin (il che non impediva al principe Wąsowski di suonarlo di nascosto per i polacchi della resistenza) e poi tentarono di spedirlo a suonare in Germania: al rifiuto del pianista, in Germania ce lo mandarono lo stesso ma in un battaglione di disciplina. Dalla Germania Wąsowski riuscì fortunosamente a riparare in Austria dove rimase fino al termine della guerra. Alla fine del conflitto, Wąsowski fu privato della nazionalità polacca e solo in seguito al matrimonio acquistò la cittadinanza venezuelana. Nel 1965 si stabilì negli Stati Uniti dove insegnò pianoforte a Tulsa, in Oklahoma, e dove morì nel 1993.<br />
L'intero lascito discografico di Wąsowski si compone di una registrazione integrale dei Notturni e di una delle Mazurche. Come ulteriore ironia della sorte, entrambi gli album furono incisi per un'etichetta abbastanza celebre ma in ambito jazzistico, la Concord Records (che oltre a tutto gli sbagliò pure il nome in copertina, trasformando la <i>ą</i> polacca in una <i>a</i>).<br />
<br />
In verità, la sorte di Wąsowski non sarebbe molto dissimile da quella di tanti giovani della sua generazione che ebbero l'unica colpa di nascere nel posto sbagliato al momento sbagliato e che solo per questo si videro privati di tutto quanto avevano il diritto di aspettarsi dall'esistenza. Il fatto è che sia pure con quei due soli miseri dischi (e in particolare con quello dedicato alle Mazurche) Wąsowski si è ritagliato un posto di primissimo piano nell'interpretazione chopiniana.<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgKUSeZblo9Faj9HeAOYw2vuBIYvPzqSdCQfzThJvZswwn8Tyrgh93Q3PmVYn0CFJ39Z0PGQyvqPb2Rq-ITujnSK8vwmhVl_pBoWLpgY29bGO7vPXJlTTEOhqTuHRbj61RFnCUE1SoSSkc/s1600/MI0001002151.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgKUSeZblo9Faj9HeAOYw2vuBIYvPzqSdCQfzThJvZswwn8Tyrgh93Q3PmVYn0CFJ39Z0PGQyvqPb2Rq-ITujnSK8vwmhVl_pBoWLpgY29bGO7vPXJlTTEOhqTuHRbj61RFnCUE1SoSSkc/s1600/MI0001002151.jpg" /></a></div>
Che le Mazurche costituiscano il cuore stesso della musica di Chopin non è possibile dubitare: come scrive Gastone Belotti, "<i>in nessun altro genere Chopin ha svelato l'ampiezza del suo genio, nessun altro si presto allo studio dell'insieme del suo stile musicale, nessun altro rivela l'intima connessione tra la sua musica e quella della sua terra. Raccolta la Mazurca come rivelazione dell'espressività contadina della sua regione - la Mazowia - e come genere di consumo della città in cui viveva - Varsavia - la elevò ad un grado di perfezione che resterà ineguagliato, e creò quegli immortali capolavori nei quali ha lasciato il meglio della sua genialità musicale". </i> Ora, il problema spesso disperante che le mazurche pongono ai pianisti (Rattalino ne parla come di <i>rebus musicali</i>) è costituito dalla loro particolare idiomaticità: le danze popolari polacche (<i>mazurek</i>, ma anche <i>kujawiak, oberek, krakowiak</i>, che Chopin comprende nella sua opera spesso combinandole fra loro) sono caratterizzate da una irregolarità di fondo nel ritmo che semplicemente non si presta ad essere trascritta con precisione per mezzo della normale notazione musicale. Chopin stesso dovette a un certo punto rendersi conto della cosa visto che a partire dall'op. 24 smise di fornire anche l'indicazione <i>rubato</i> che aveva usato in abbondanza nelle raccolte precedenti. Badiamo bene che qui non stiamo parlando di un semplice vezzo filologico, di un abbellimento che può essere omesso a piacere: nelle Mazurche Chopin conferisce al ritmo, a <i>quel </i>ritmo, una importanza strutturale non inferiore a quella attribuita al contrappunto in una fuga di Bach, sicchè ignorare il problema significa produrre una lettura che è puramente e semplicemente inadeguata (basti pensare a quell'autentico monumento all'equivoco intepretativo costituito dalle incisioni delle Mazurche di un interprete chopiniano altrove grandissimo come Samson François).<br />
Non è del resto un caso se qualunque pianista voglia porsi in maniera seria di fronte al compito di interpretare compiutamente le Mazurche deve a un certo punto - diremo così - "sciacquare i panni nella Vistola": è solo in Polonia, attraverso il contatto diretto con delle fonti musicali che si sono conservate incontaminate e con una tradizione che risale ai tempi di Chopin, che si può fare esperienza diretta del modo corretto di rendere tutto quanto la pagina scritta tace.<br />
<br />
Ecco, le straordinarie letture di Wąsowski ci danno una rappresentazione, di altezza e poesia a mia conoscenza mai attinte né prima né dopo di lui, di questo mondo fatato, e lo fanno attraverso la restituzione meticolosa di tutta la complessità ritmica (e - di conseguenza - armonica) di questi capolavori in cui davvero Chopin sembra aver intrapreso un'esplorazione totale dei moti dell'animo umano. Gli esempi da fare sarebbero tantissimi, e alla fine si ridurrebbero a una lista completa delle tracce di questo doppio CD. Basterà dire che nella mia esperienza di ascoltatore chopiniano (e di ascoltatore delle Mazurche in particolare) esiste un <i>prima</i> e un <i>dopo </i>queste incisioni. <br /><br />Non è certo la minore delle ironie che costellano l'<i>affaire</i> Wąsowski quella per cui una delle poche interpretazioni chopiniane davvero insostituibile sia da lungo tempo fuori commercio, tanto che io stesso mi sono procurato la mia copia spulciando una quantità infinita di siti americani di vendita di CD usati e pagandola a prezzo d'affezione. È per questo che - sfidando le draconiane leggi sul diritto d'autore - mi azzardo a condividere una sola fra le tante perle di questa raccolta, sperando che possa fornire un'idea sul perchè questi dischi sono tanto straordinari; e magari motivare qualcuno dei miei lettori a mettersi in caccia.<br />
<br />
<iframe allowfullscreen="" frameborder="0" height="315" src="https://www.youtube.com/embed/_ksyw3VwLOY" width="560"></iframe>
gmrobertohttp://www.blogger.com/profile/07424458071749974883noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7602074521152130478.post-89608032031240284412016-02-13T10:46:00.000+01:002016-02-13T10:46:12.918+01:00Tout Maigret (peut-être), 7 - Il crocevia delle tre vedove<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhBFuGF_OmesFRhecFy-9kebIDtW6jqG1CjmJpyolHhkpoV-V27NAVTPzZirto6dGc97fl0gw0KMJjNZDwMNYtF8hwz0PWf6Byoa1tHsI1I4z04LqSxoVzUUI0WlZQGQ5OfkLJb4EdINQg/s1600/page2-1012-full.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhBFuGF_OmesFRhecFy-9kebIDtW6jqG1CjmJpyolHhkpoV-V27NAVTPzZirto6dGc97fl0gw0KMJjNZDwMNYtF8hwz0PWf6Byoa1tHsI1I4z04LqSxoVzUUI0WlZQGQ5OfkLJb4EdINQg/s400/page2-1012-full.jpg" width="232" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">(Da ferencpinter.it)</td></tr>
</tbody></table>
Scritto nell'aprile del 1931 e pubblicato due mesi dopo <i>chez </i>Fayard, <i>La nuit du carrefour </i>è un romanzo abbastanza singolare. In prima battuta sembrerebbe (riferendoci alla dicotomia cui più di una volta abbiamo accennato in questa serie di post) un classico <i>romanzo del carnefice</i>. dato che della vittima (o meglio: delle vittime) veniamo a conoscere poco più di nome e professione; d'altra parte la figura che viene delineata con maggiore dovizia di dettagli e più approfondito scavo psicologico è quella di un personaggio che in verità carnefice non è.<br />
<br />
Inoltre, questo romanzo è uno dei pochissimi esempi nell'intero corpus maigrettiano in cui vediamo il nostro eroe pericolosamente vicino a qualcosa che ha tutta l'aria di essere un turbamento erotico. In effetti è abbastanza curioso che nel delineare la figura di Maigret, Simenon lo abbia doviziosamente caratterizzato in rapporto a tutta una serie di appetiti (almeno apparentemente) elementari per poi chiudersi in una reticenza pressoché assoluta rispetto a un tema che peraltro non gli era affatto estraneo (per usare un garbato eufemismo) né come scrittore né come uomo. Censura? Autocensura? Non lo sapremo mai. Sta di fatto che per tanti riguardi - dal cibo, alla pipa, dai posti caldi al Calvados - conosciamo nel dettaglio qualità e quantità di ciò che piace a Maigret; quando giungiamo al capitolo donne, abbiamo una serie di accenni vaghi e spesso di segno negativo: conosciamo donne che lo lasciano indifferente, altre che gli suscitano una tenerezza piuttosto paterna che di altro segno; da questo punto vista, l'unica cosa certa è che Maigret è... il marito della signora Maigret. Ecco, in questo libro ci sono alcuni piccoli sprazzi che illuminano un aspetto della personalità del commissario sul quale sappiamo davvero poco. E si tratta di sprazzi che fanno intravvedere una realtà assai meno ordinariamente borghese (e quindi assai più interessante) di quanto potremmo sospettare.<br />
<br />
Ma forse l'aspetto più peculiare di questo romanzo è il virtuosismo davvero incredibile che Simenon mostra nella costruzione dell'atmosfera, o meglio delle atmosfere. Da una parte abbiamo un incrocio su una statale qualunque dell'Ile-de-France, quattro case in mezzo a un nulla fatto di campi e di boschi. Senza le facilitazioni offerte dai bistrot e dai negozi di Parigi, senza le suggestioni dell'acqua del mare o dei canali, Simenon riesce a caratterizzare questo <i>non-luogo</i> in maniera addirittura cinematografica: e non è un caso se praticamente subito dopo l'uscita del libro, un regista del calibro di Jean Renoir ne trasse un film di una pregnanza visiva assoluta. E poi - in contrasto con la scala di grigi del paesaggio circostante - c'è la casa degli Andersen, di questo stranissimo <i>gruppo di famiglia in un interno </i>in cui nulla è ciò che sembra e si respira un clima quasi da serra.<br />
<br />
In conclusione: uno dei più atipici romanzi di tutto il ciclo, col plot giallo che arriva quasi a recedere sullo sfondo per fare posto a una storia di intrighi, di passioni e di avidità degna del miglior Balzac. Non possiamo non rimanere ammirati di fronte alla folle prodigalità dell'invenzione simenoniana, che in un giallo profonde una quantità di spunti e di temi che sarebbero tranquillamente bastati per tre romanzi <i>durs</i>. <br />
<br />
<br />
<br />gmrobertohttp://www.blogger.com/profile/07424458071749974883noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7602074521152130478.post-84662210427352699572016-01-23T13:47:00.000+01:002016-01-23T16:44:41.265+01:00Esercizi di traduzione dal polacco, 5<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhVu6QGz28NtmxOgurS0hdbTPq-s6ibj06zfN97DSsi831ITXgDjO4K6nKtpRONeHmhrYIM9ezzhFqGVFJACO1XTe-QkE5-Jeb9GgFKPDNU3UVLhmN0MZ1x_flXF44JsdDjk-V2JiRfrOs/s1600/Maciej-SienczykBigMouth.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhVu6QGz28NtmxOgurS0hdbTPq-s6ibj06zfN97DSsi831ITXgDjO4K6nKtpRONeHmhrYIM9ezzhFqGVFJACO1XTe-QkE5-Jeb9GgFKPDNU3UVLhmN0MZ1x_flXF44JsdDjk-V2JiRfrOs/s320/Maciej-SienczykBigMouth.jpg" width="290" /></a></div>
<div style="text-align: left;">
<i>Classe 1972, Maciej Sieńczyk (che vedete ritratto (?) qui a fianco) è noto in Polonia soprattutto come disegnatore e autore di comic novels. Ma la rubrica "Mój kącik" ("Il mio angolino") che tiene sul periodico culturale online <a href="http://www.dwutygodnik.com/">Dwutygodnik.com</a> rivela una penna che è perfettamente a suo agio con le parole oltre che coi segni grafici. Un esempio è questo racconto, a metà fra Kafka e Achille Campanile, in cui grazie a </i><i>Sieńczyk abbiamo la conferma che la burocrazia non conosce - ahimè - confini.</i></div>
<div style="text-align: left;">
<i><br /></i></div>
<div style="text-align: left;">
<i><br /></i></div>
<div style="text-align: left;">
<i><br /></i></div>
<div style="text-align: left;">
<i><br /></i></div>
<div style="text-align: left;">
<i><br /></i></div>
<div style="text-align: left;">
<i><br /></i></div>
<div style="text-align: left;">
<i><br /></i></div>
<h2 style="text-align: center;">
In trappola</h2>
<h3 style="text-align: center;">
di Maciej Sieńczyk</h3>
<div>
<br /></div>
<div>
È curioso come quel giorno mi sia rimasto impresso nella memoria come particolarmente lieto. Finiva proprio allora una lunga sequenza di giorni di pioggia e dei forti temporali sembravano promettere un miglioramento. Una gentile ragazza mandata da una certa galleria d'arte era venuta da me a prendere cinque miei disegni che dovevano essere esposti in Slovacchia; nella circostanza mi diede da firmare il contratto. </div>
<div>
Il giorno dopo mi arrivò una mail dalla galleria: non volevano i disegni che aveva preso la ragazza ma degli altri e bisognava cambiarli. Non ci vidi nulla di male, io stesso mi ero meravigliato che avessero scelto proprio i meno riusciti. Nel frattempo era arrivato il contratto dalla Slovacchia e quando la ragazza venne di nuovo da me lo firmai in sua presenza. Ricordo che scherzammo sul fatto che io non conosco lo slovacco e chissà cosa stavo firmando. Passò qualche giorno. Contrariamente alle attese il tempo non era migliorato e faceva di nuovo freddo. Mi arrivò una mail dalla Slovacchia: era necessaria un'aggiunta al contratto. Sarei dovuto andare all'ufficio del Fisco, prendere e compilare un certificato e mandarlo in Slovacchia. Senza il certificato la trattenuta sul compenso che mi corrispondevano per il prestito dei disegni sarebbe stata del 35%, e col certificato solo il 5%. Il compenso non era gran cosa, sicché mi dimenticai completamente della faccenda. Qualche giorno dopo suonò il telefono: una signora chiamava dalla Slovacchia e diceva qualcosa in inglese. Risposi che scrivessero una mail.</div>
<div>
<br /></div>
<div>
Qualche tempo dopo incontrai il postino che mi diede una lettera dalla Slovacchia. All'interno c'era - di nuovo - il contratto. Probabilmente per via di qualche dimenticanza o incomprensione il precedente non era mai arrivato in Slovacchia. "Mai" - pensai scuotendo la testa con un sorriso - "ho firmato così tanti documenti come per questa faccenduola insignificante". Ristampai di nuovo tutte le pagine, firmai e rimandai indietro. Nel frattempo mi aspettava una mail dalla Slovacchia. Chiedevano del certificato. Risposi che mi trattenessero pure il 35%, perchè non mi andava di girare per uffici pubblici. L'indomani mi risposero che era nel mio interesse pagare il 5% invece del 35. Risposi che il giorno dopo sarei andato a chiedere il certificato.</div>
<div>
<br /></div>
<div>
Questi furono gli ultimi momenti di chiarezza del mio pensiero, il seguito riesco a ricostruirlo solo con enorme difficoltà. Ricordo che andai all'ufficio del Fisco vicino a dove abitavo all'epoca e cercai lo sportello dove, mi sembrava, consegnavano a vista quei certificati. Dietro lo sportello c'era un nonnetto. Avevo scaricato da internet il modulo, l'avevo stampato e riempito e lo diedi al nonnetto. Appoggiato al tavolino e guardando da tutt'altra parte aspettavo che - corredato del timbro - mi ritornasse in mano. Invece di questo, udii una voce gracidante che mi diceva: "Che roba mi sta dando?" "Il certificato" - risposi, completamente immerso nei miei pensieri - "perchè mi serve il timbro dell'ufficio del Fisco". "Che certificato?" - rispose il nonnetto. "Non so, non me ne intendo. L'ho trovato su internet, l'ho stampato e adesso glielo sto dando". "Cioè, devo sapere io cosa le serve?", chiese. Tornato completamente coi piedi per terra e già leggermente infastidito dall'aggressività del nonnetto chiesi allora cosa dovevo fare per ottenere un certificato valido. "Deve compilare una richiesta". "Che richiesta?", domandai stupito. "Cioè, devo sapere io quale richiesta? Scriva che vuole ottenere il certificato". "Non ho fogli di carta con me. Posso scrivere la domanda sul retro del certificato che avevo portato?" "Eccole un foglio di carta bianca". Scrissi che richiedevo il rilascio del certificato etc. etc. Il nonnetto disse "Sono 17 zloty di diritti di rilascio". Tirai fuori il denaro ma il nonnetto rispose: "Io non prendo soldi. Deve pagare sul conto dell'ufficio del Fisco". Chiesi dove fosse la cassa, per pagare immediatamente. Il nonnetto rispose che non c'era nessuna cassa. Poi dopo un po' di esitazione aggiunse di andare in comune, pagare lì e tornare con la ricevuta. Andai in comune e ritornai. Il nonnetto prese la domanda, la lesse, chiese di aggiungere qualcosa e alla fine soggiunse: "Torni fra una settimana per il ritiro". Chiesi com'era possibile che al giorno d'oggi un controllo di dati e l'apposizione di un timbro fossero faccende tanto complicate. Rispose: "In futuro dovrebbe cambiare qualcosa. Ma non per il momento".</div>
<div>
<br />
Trascorse una settimana. Una mattina dalla cornetta del telefono sentii una voce tremolante: era il nonnetto. "Sono arrabbiato con lei perchè non mi ha detto che era residente a Lublin. Qui mi hanno rimproverato di aver accettato la sua domanda, mentre lei doveva rivolgersi presso il suo luogo di residenza. Ma va bene così: ho mandato la sua domanda a Lublin, chiami pure loro". Mi dispiacque per il nonnetto, di sicuro i suoi colleghi più giovani lo avevano non poco sfottuto; ma nello stesso tempo ero arrabbiato con lui perchè faceva tanto sciattamente il suo lavoro: avrebbe dovuto verificare i dati al momento, e non venirmi a rompere la testa adesso. </div>
<div>
<br /></div>
<div>
Dopo qualche giorno telefonai all'ufficio del Fisco di Lublin, col presentimento che il certificato si allontanava da me a mò di un messaggero cieco in una notte tempestosa che cavalcava all'indietro un cavallo spinto dagli speroni. L'impiegata mi rispose che la collega che si occupava di quei certificati quel giorno era assente, e che richiamassi l'indomani. Telefonai quindi il giorno seguente: dopo una serie infinita di collegamenti con persone sempre diverse, mi fermai infine in una sorta di terra di mezzo servita da una donnetta. La donnetta cominciò a chiedermi dove avevo la sede. Risposi che la mia sede era sia a Varsavia che a Lublin e che facevo la spola fra le due città. Ma che nella domanda avevo già specificato la mia residenza e il posto in cui pagavo le tasse. "Non si tratta di questo" - replicò. "Dov'è che abita per più tempo, dov'è la sua sede? Dov'è che paga l'affitto, la luce, il gas?" Risposi che pagavo affitto, luce e gas in entrambe le città. "Davvero, mi è difficile stabilire con esattezza dove ho la sede", aggiunsi, sperando che una risposta formulata in questo modo potesse soddisfarla. La donnetta mi chiese nome, cognome e PESEL (<i>l'equivalente polacco del codice fiscale, ndt) </i> che le compitai faticosamente lettera per lettera, al che lei rispose seccamente: "Qui non è arrivata nessuna richiesta". Sentii il terrore lentamente diffondersi nelle mie dita. Avevo già sentito diverse storie su varie istituzioni, ma le avevo sempre ascoltate malvolentieri o le avevo attribuite alla nostra inguaribile tendenza a lamentarci. A volte avevo addirittura riso alle spalle degli infelici che raccontavano in pubblico simili esperienze. E ora eccomi lì, io stesso con un sorriso ebete in faccia, immerso in un tino pieno di sego che andava rapprendendosi. Per staccare la spina, andai a letto e mi addormentai. Il giorno dopo richiamai il nonnetto per chiedergli se davvero aveva spedito la mia domanda. Mi rispose una donna che mi disse che il nonnetto non c'era e che richiamassi il giorno dopo. L'indomani mi svegliò il telefono: era una donna dall'ufficio del fisco di Varsavia. Disse che chiamava per il certificato e mi passò il nonnetto. Sentii un po' di fruscio e poi una debole voce ormai a me ben nota. Il nonnetto mi ripetè quello che mi aveva già detto, cioè che aveva mandato tutto a Lublin e che da quel momento avrei dovuto chiamare lì. Non ancora del tutto sveglio, risposi che il giorno prima avevo appunto chiamato lì e mi avevano detto che non era arrivato nulla. "No beh" - rispose con voce tanto impotente quanto gentile - "bisogna aspettare. Dovrà aspettare".</div>
<div>
<br /></div>
<div>
Mi girai sul fianco e caddi nel dormiveglia Il sogno non era ancora terminato, quando fui svegliato di nuovo dal telefono. "Da dove mi sta chiamando?" chiesi, strappato di nuovo al sonno, "da quale ufficio?" Da una inaudita lontananza mi arrivò la risposta che dall'ufficio del Fisco, dopodichè la donna cominciò a parlare velocemente e confusamente. "Sì, ma dall'ufficio di Varsavia o da Lublin?" domandai, forse un po' troppo rudemente. Venne fuori che era Lublin. Era appena arrivata la mia domanda proveniente dall'ufficio di Varsavia. La donna cominciò a farmi le domande standard su dove avevo la sede. Poi aggiunse che il modulo era incompleto, perchè alla domanda bisognava aggiungere altri due non so bene quali documenti e che il meglio era che li richiedessi personalmente. Risposi che il signore che aveva accettato la mia domanda non mi aveva detto nulla di ulteriori documenti. Ma ormai non me ne fregava più nulla. Dissi che avevo intenzione di ritirare la domanda, visto che ormai era fin troppo tempo che aspettavo il certificato. Aggiunsi che tutto doveva concludersi con reciproca soddisfazione, visto che io avevo pagato e loro in cambio dovevano limitarsi a fermare l'emissione del certificato. Ma la donnetta si ostinò, disse che per ritirare una domanda non bastava dirlo. Lo disse con enfasi, forse anche con fierezza. Aggiunse che se quella era la mia intenzione dovevo inoltrare un'altra domanda con la richiesta di annullare l'emissione del certificato e sarebbe stato meglio che l'avessi scritta subito e mandata con raccomandata prioritaria, altrimenti mi sarebbe arrivata una richiesta di chiarimenti e sarei dovuto andare a presentarmi personalmente. "Posso essere sicura" - chiese - "che scriverà la domanda di annullamento"? Risposi che al momento lavoravo, ma appena avessi finito avrei scritto la domanda e l'avrei impostata. "Ma la manderà in giornata, così mi arriverà domani?" Mi curvai sotto quella voce gentile e risposi che l'avrei spedita immediatamente. Imprecando mi tirai su dal letto, scrissi la domanda e andai in posta a spedirla. Incapace di liberarmi di quel febbrile stato d'animo, corsi anche all'ufficio del comune e pagai 200 zloty in tasse immobiliari.</div>
<div>
Due settimane dopo ricevetti una telefonata da mia madre: aveva ricevuto una lettera dall'ufficio del Fisco con la conferma che avevo inoltrato una domanda per ottenere il certificato. Le chiarii brevemente la questione, e le dissi che avevo già mandato un'altra domanda che probabilmente avrebbe annullato la domanda precedente. Tre giorni dopo verso le otto del mattino mi chiamò la signora dell'ufficio del Fisco. Voleva accertarsi che avessi effettivamente inviato la domanda per annullare l'emissione del certificato. Mi sembra di aver risposto di sì.</div>
<div>
<br /></div>
<div>
Dalla visita della ragazza dei cinque disegni erano passate tre settimane. Nonostante i miei quarantatre anni sono ormai un uomo ingrigito e tremante, che manda intorno sguardi supplichevoli con occhi acquosi. Ad ogni istante potrebbero chiamare per il certificato, quindi scrivo queste righe di fretta, ranicchiato in un angolo del letto. Del tutto inaspettatamente, da questa esperienza ho imparato a gioire delle piccole cose. Passeggio per la città e sorrido alle coppiette e ai bambini che si affrettano verso la scuola. Loro vedono un signore ingobbito che a volte si ferma o siede su una panchina e dà da mangiare briciole di pane ai piccioni. Ogni tanto ripenso al nonnetto. Forse una volta era un uomo normale, poi è impazzito, si è identificato con l'ufficio del Fisco e adesso ci lavora gratis e illegalmente. Sentendo delle tante cose orribili che succedono al mondo, dei bombardamenti, delle decapitazioni, mi rallegro che la sorte si sia rivelata tanto clemente con questo angolino di mondo. E che nonostante le difficoltà di cui è lastricata l'esistenza quotidiana nulla sia in grado di arrestare il flusso della vita.</div>
<div>
</div>
gmrobertohttp://www.blogger.com/profile/07424458071749974883noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-7602074521152130478.post-25221200694900946932015-12-31T12:50:00.000+01:002015-12-31T21:10:46.094+01:00'O viecchio c'a barba<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjvsjjwz2PCtPSGP-RmQDAeXFc2RsrqeTEE8oTnYdzqRZJ6Nu2fGQH2u-uLR-aE-fT4i1Q6hJ6rxpRIc5wo7jPKpd3MNAUyjZbnti-xEmAGzPQejQEoDcYZe4o_g9t-ZF75W_PEDEAYW1w/s1600/2013-10-15-ieri-oggi-domani-Selling-Cigarettes-jpg.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="170" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjvsjjwz2PCtPSGP-RmQDAeXFc2RsrqeTEE8oTnYdzqRZJ6Nu2fGQH2u-uLR-aE-fT4i1Q6hJ6rxpRIc5wo7jPKpd3MNAUyjZbnti-xEmAGzPQejQEoDcYZe4o_g9t-ZF75W_PEDEAYW1w/s400/2013-10-15-ieri-oggi-domani-Selling-Cigarettes-jpg.jpg" width="400" /></a></div>
La settimana scorsa sono tornato al Sud a trascorrere Natale coi miei. Naturalmente avevo con me pipe e tabacco in adeguata quantità. Un giorno ero a Nola e avevo appena estratto l'occorrente per una pipata quando mio padre gettando un'occhiata al tabacco esclama: "'O viecchio c'a barba!". Ora, mio padre viaggia per gli ottantadue anni ma ha la lucidità mentale di un ventenne: sicché quel commento così apparentemente incongruo doveva avere un senso, un senso che mi sono affrettato a chiedergli. Lui mi ha risposto: "Il tuo tabacco. <i>Player's Navy Cut</i>" (pronunciando così il più lungo discorso in inglese che gli avessi mai sentito fare).<br />
<br />
La faccenda si faceva sempre più interessante. "Papà" - gli ho detto - "tu in vita tua hai sempre fumato solo sigarette. Avrai forse fumato mezza scatola di toscanelli e quelle tre volte in totale che hai provato a fumare la pipa ci hai schiaffato dentro il Clan. Mi spieghi come sfaccimma fai a conoscere un tabacco che si trova solo nel Regno Unito?" E lui, sollevando il sopracciglio con un'espressione ironica che gli conosco fin troppo bene: "Guagliò, e tu che vuoi sapere...".<br />
E mi ha spiegato che nell'immediato dopoguerra gli angloamericani che liberarono Napoli e i suoi dintorni portarono con sé, insieme al jazz e alla carne in scatola, anche un diluvio di sigarette di fogge e marchi sconosciute agli italiani del tempo, avvezzi tuttalpiù alle <i>Popolari, </i>alle <i>Milit</i> o alle <i>Macedonia. </i><br />
Queste sigarette avevano nomi così poco usuali e così bisbetici agli occhi e alle orecchie dei <i>liberati</i> che questi ultimi li deformarono a modo loro per renderli minimamente fruibili. Si salvarono le Camel, che tra nome e immagine del pacchetto non presentavano particolari problemi. Ma le Lucky Strike diventarono <i>Allucca e strilla</i>; le Chesterfield diventarono <i>'O cesso 'e fierro </i>(sic!); e le Pall Mall divennero "<i>E ppalle mmano</i>".<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjS5nDd_3YIu9hKgbscu4HHgw0d9yQxujtQzWo1TMdHjJrYQ8mJY_UkGHKhzKtwgwsmYsP1iyROXsQXA53X9nk7ekkW1fy_NcllBBGfSX38KgMVtN4rpmMMFbubNh5BzdgokFgyDK9NKmE/s1600/10140046395_64ede44519_b.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjS5nDd_3YIu9hKgbscu4HHgw0d9yQxujtQzWo1TMdHjJrYQ8mJY_UkGHKhzKtwgwsmYsP1iyROXsQXA53X9nk7ekkW1fy_NcllBBGfSX38KgMVtN4rpmMMFbubNh5BzdgokFgyDK9NKmE/s320/10140046395_64ede44519_b.jpg" width="269" /></a></div>
E poi c'erano loro. Le Player's Navy Cut, appunto. Per le quali si decise di saltare a piè pari la scritta e di riferirvisi sfruttando le immagini: e fu così che l'aitante marinaio della HMS "Hero" che vedete raffigurato qui a fianco divenne affettuosamente <i>'O viecchio c'a barba</i>.<br />
<br />
Ma non di queste sigarette ("buone ma forti", secondo i ricordi di mio padre) sono oggi qui a parlarvi, bensì del tabacco da pipa che porta lo stesso nome.<br />
Stabilirne con un minimo di affidabilità la composizione è quantomeno problematico, visto che la stessa Casa produttrice (magari in momenti diversi, chè stiamo parlando di una referenza commercializzata da più di cento anni da un'azienda fondata nel 1877 a Nottingham) dichiara ondivagamente talvolta solo Virginia e talvolta Virginia e Burley. Io stesso dopo averne fumato quasi un etto non sono in grado di sciogliere l'enigma: che la prevalenza sia di ottimi Virginia chiari non si può dubitare. Ma il Burley? A volte, in sottofondo, mi sembra di coglierne l'inconfondibile notina tostata: ma potrebbe anche trattarsi di effetto placebo. Potremmo forse concludere salomonicamente che il Burley, ammesso che ci sia, ha il solo scopo di conferire uno <i>zic</i> in più di corpo alla miscela e di temperare le asprezze incendiarie dei Virginia biondi.<br />
<br />
Il mio amico <a href="http://13pipe.blogspot.it/">Antonio</a> ebbe una volta a dire che l'espressione "tuttogiorno" usata a proposito dei tabacchi da pipa è un eufemismo per indicare roba insignificante di cui non si ha il coraggio di proclamare apertis verbis la mediocrità. Per me invece "tuttogiorno" è una categoria che si pone agli antipodi di quanto è definibile come "da meditazione": il mio prediletto Full Virginia Flake, ad esempio, è un tabacco che per corpo, complessità e ricchezza di sfumature è destinato naturaliter ad occasioni particolari, fino al punto da creare esso stesso l'occasione particolare per il solo fatto di essere stato scelto e fumato; ecco, il Player's Navy Cut è invece una miscela buonissima ma che non ruba necessariamente il centro della scena, pur avendo nel caso tutte le carte in regola per diventare il protagonista assoluto di un'oretta e mezzo della nostra esistenza. In questo è simile ad un altro prodotto della stessa area geografica, il benemerito <a href="http://ildiariodiunpigro.blogspot.it/2013/04/un-tabacco-tre-citta.html">St. Bruno</a>.<br />
<br />
Ma questo Player's ha stoffa molto più fine del suo più popolare confratello, grazie ovviamente agli splendidi Virginia chiari che ne formano la spina dorsale: ma stoffa più fine non significa inconsistenza o indefinitezza, ché anzi si tratta di un tabacco decisamente saziante. Mi sono a lungo lambiccato il cervello su una metafora adatta a renderne il sapore peculiare, ma alla fine mi sono dovuto arrendere: questo è puramente e semplicemente un tabacco che sa di tabacco buono, una sorta di punto di accumulazione, di archetipo di tutto quello a cui pensiamo quando pensiamo a un meraviglioso tabacco da pipa.<br />
Si presenta in flake molto regolari e sottili, che si prestano a qualunque sistema (o mancanza di sistema) si voglia adottare per caricare la pipa, con un grado di umidità ottimale già all'apertura della confezione (le belle confezioni inglesi del flake in busta, con un contenitore di plastica sigillato da un velo di alluminio che ricorda golosamente le vaschette di Nutella comuni nei nostri supermercati) e brucia in maniera perfetta fino all'ultima briciola, tanto da potersi configurare anche come ottimo tabacco da rodaggio.<br />
<br />
<table cellpadding="0" cellspacing="0" class="tr-caption-container" style="float: left; margin-right: 1em; text-align: left;"><tbody>
<tr><td style="text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiOwxRfOX37iVd-H6BTu817RlMSNGlHrBNEfM7a9LR0C-lY-Z5DV1zgKAfydCrLtxO-Hx1vV2wkgwFn6rAYbVrToRedeezKnf_X-vYxxgzgDsTKwSbqAHi3nK52PROOSkRcEGupBYVMuT0/s1600/IMG_0979.JPG" imageanchor="1" style="clear: left; margin-bottom: 1em; margin-left: auto; margin-right: auto;"><img border="0" height="272" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiOwxRfOX37iVd-H6BTu817RlMSNGlHrBNEfM7a9LR0C-lY-Z5DV1zgKAfydCrLtxO-Hx1vV2wkgwFn6rAYbVrToRedeezKnf_X-vYxxgzgDsTKwSbqAHi3nK52PROOSkRcEGupBYVMuT0/s320/IMG_0979.JPG" width="320" /></a></td></tr>
<tr><td class="tr-caption" style="text-align: center;">Pipa da Player's: una realizzazione del Duca in corbezzolo.</td></tr>
</tbody></table>
E a proposito di rodaggio, avere a disposizione un po' di questa meraviglia mi sta facendo comodo per rodare <i>comme il faut </i>la splendida Duca in corbezzolo sabbiato qui a fianco che ho ricevuto da Justyna per Natale. Devo dire che questa scelta, fatta per motivi anzitutto pratici, si sta rivelando fonte di grandi soddisfazioni anche sotto il profilo del gusto: pipa e tabacco collaborano armoniosamente e mi stanno regalando una dietro l'altra una serie di pipate davvero memorabili.<br />
<br />
Non mi resta da dire molto su questo tabacco (disponibile - sfortunatamente - solo in UK) se non ringraziare il mio amico Rino (l'autore del <a href="http://ildiariodiunpigro.blogspot.it/2015/12/racconto-di-natale.html">racconto</a> oggetto del post precedente) che mi ha fatto scoprire questa che per me è stata la vera rivelazione del 2015 in fatto di tabacchi da pipa.<br />
E ovviamente invitare tutti i fumatori che leggono questo post a fare <i>le umane e le divine cose </i>- per dirla con Camilleri - per procurarsene almeno un paio di buste. Scoprirete che - anche se avete maggiore inclinazione per le leggiadre donzelle che per i rudi marinai di Sua Maestà Britannica - <i>'o viecchio c'à barba</i> ha un fascino cui è difficile sottrarsi.<br />
<br />gmrobertohttp://www.blogger.com/profile/07424458071749974883noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7602074521152130478.post-6948506990457964182015-12-23T09:50:00.001+01:002015-12-23T20:13:21.724+01:00Racconto di NataleMolte cose potevo aspettarmi da questo 2015, ma di certo fra di esse non figurava diventare un personaggio letterario.<br />
Invece, quando il mio amico Calogero Rizzo mi ha inviato il racconto che state per leggere non ho potuto fare a meno di pensare che quando <a href="http://ildiariodiunpigro.blogspot.it/2015/08/heri-dicebamus.html">l'imponderabile</a> non è impegnato a menare fendenti a due mani può anche riservare piacevolissime sorprese.<br />
<br />
Vi propongo dunque a mò di obliqua <i>Christmas Carol </i>questa novella augurando a voi tutti (e in particolare a Rino, che attualmente sopporta con stoica rassegnazione il clima subtropicale di Brighton) un Natale pieno di affetto, luce e calore (oops...)<br />
<br />
<div style="text-align: center;">
<blockquote class="tr_bq">
<span style="font-size: large;">Lovat senza 'acca' </span></blockquote>
<span style="font-size: large;"><br /></span>
<br />
<blockquote class="tr_bq">
<span style="font-size: large;">ovvero </span></blockquote>
<span style="font-size: large;"><br /></span>
<br />
<blockquote class="tr_bq">
<span style="font-size: large;">Il Criceto Cosmico</span></blockquote>
<br />
<i><span style="font-size: large;">di Calogero Rizzo</span></i> </div>
<div style="text-align: center;">
<br /></div>
<br />
<div style="text-align: center;">
I</div>
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgRhgI2s6pGCgEH0YHsTu3xVBCLDuvIXu8Ags4oLR9vWlLeByitv10sjxvLe49Dxoc2AD2t57HCQPOGyfNJrE47jSl4AwGlHi76Rm3reA30WRvDuAFDAepyFi9xcEELBVmghTP-UXltay8/s1600/dogana.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="239" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgRhgI2s6pGCgEH0YHsTu3xVBCLDuvIXu8Ags4oLR9vWlLeByitv10sjxvLe49Dxoc2AD2t57HCQPOGyfNJrE47jSl4AwGlHi76Rm3reA30WRvDuAFDAepyFi9xcEELBVmghTP-UXltay8/s320/dogana.jpg" width="320" /></a></div>
Per anni il posto di dogana di C . era stato un luogo tranquillo . Il massimo sforzo che si richiedeva ai militari preposti era quello di evitare movimenti di valuta e preziosi, soprattutto in uscita, anche perché nessuno si sarebbe mai sognato di introdurli nel loro paese.<br />
Neppure lontanamente li aveva mai sfiorati il sospetto che, tra le centinaia di auto che ogni giorno transitavano sotto i loro nasi, v’era uno solo di quei frontalieri, come li definivano i verbali, che con scientifica puntualità attraversava il confine con ben altro carico.<br />
L’ingegner Gaetano De Robertis , detto Mario dagli amici - l’origin e di tale soprannome era avvolta dal mistero -, ormai da anni accumulava tabacco da pipa. Egli era, si, un fumatore di pipa, ma parco: una o due fumate al massimo al giorno, non di più. Voleva assaporarselo quel tabacco con calma, ma soprattutto voleva farlo invecchiare.<br />
<br />
“Tenente! Tenente!” chiamò a voce alta il giovane militare giunto da pochi giorni alla dogana.<br />
Il tenente controvoglia alzò il capo dalla rivista di enigmistica , che tanto alleviava la pena delle sue fatiche , per capire da dove provenisse quello strepito.<br />
Non fece neppure in tempo ad alzarsi dalla sedia che si trovò il giovane subordinato dentro la stanza.<br />
“L’abbiamo preso tenente!” annunziò al colmo del giubilo il novizio.<br />
“Chi?” domandò con perplessità l’ufficiale.<br />
“Il contrabbandiere.”<br />
“Quale contrabbandiere? Contrabbandiere di cosa?” chiese con una punta di maggiore vivacità il tenente.<br />
“Il contrabbandiere di tabacco” poté, infine, concludere il giovane.<br />
“Ah…” fu il deluso commento del tenente, “Dimmi Arturo, sai per caso in quale millennio viviamo?”, iniziò a chiedere divertito il superiore.<br />
“Sissignore, nel terzo!” rispose un po’ perplesso Arturo.<br />
“E dimmi, caro, negli ultimi dieci anni ti è capitato di passare per Napoli, che tu ricordi?”<br />
“Sissignore, proprio lo scorso maggio sono stato…”<br />
“Oh! A maggio sei stato a Napoli; e dimmi: hai per caso notato bancarelle su cui vendevano stecche di sigarette?”<br />
“Nossignore” rispose strascicando le sillabe, mentre la mente tentava di indovinare quale potesse essere il motivo di tante superflue domande.<br />
“E sai perché non l’hai viste queste bancarelle?”<br />
“Nossignore.”<br />
“Perché non c’erano. Vedi caro Arturo, da lustri ormai il contrabbando di sigarette è morto e sepolto e tu, adesso, mi vieni a dire che c’è un tizio che passa la frontiera con qualche stecca di sigarette per risparmiare qualche euro e che per questo motivo io, proprio ora, dovrei mettermi a fare un verbale?”<br />
“Ma non si tratta di sigarette signore, il prevenuto dice che si tratta di tabacco da pipa e, secondo me, non solo di quello si tratta” concluse con sguardo significativo il giovane.<br />
“Vabb è , fallo entrare e torna al tuo posto”, disse rassegnato il tenente e mentre il giovane faceva entrare il De Robertis , si chinò a infilare nel cassetto la rubrica di enigmistica: “A proposito Arturo, mi ero dimenticato di dirti che la tua licenza per il fine settimana deve essere revocata, forse dovremo fare importanti operazioni” fu la vendetta del l’ufficiale.<br />
“Documenti!” intimò il tenente, guardando il prevenuto dal basso all’alto.<br />
Adempiuta l’identificazione di rito , il tenente si mise a ispezionare il tabacco sequestrato che il giovane Arturo gli aveva poggiato sulla scrivania: “Sicché lei è un contrabbandiere di tabacco?” chiese infine, esaminando con una certa curiosità le latte dentro lo zaino, cercando di capire come le balene raffigurate su que gli involucri cilindric i potessero avere a che fare col fumo.<br />
“Per nulla, sono esatti duecentocinquanta grammi” disse De Robertis senza fare una piega.<br />
“Che vuol dire duecentocinquanta grammi?” si riscosse il tenente dalla contemplazione di quegli oceani su carta verde e rossa.<br />
“Ah! se non lo sa lei…” chiosò ironico il suo interlocutore.<br />
“Senta giovanotto, vediamo di fare poco gli spiritosi, qui le domande le faccio io e lei risponda a tono”, s’inalberò il tene n te.<br />
“A parte il fatto che non sono più ‘giovanotto’ da oltre quindici anni, le faccio notare di aver risposto con estrema puntualità alla sua domanda; ora, se lei non sa trarne le dovute conseguenze, io non so cosa possa farci”, disse con calma De Robertis , guardando placidamente l’altro.<br />
Sebbene, in quel preciso momento, l’ufficiale avesse l’incontenibile voglia di mandare fuori dal suo ufficio il De Robertis a pedate nel sedere, capì con guizzo istintivo di sopravvivenza professionale che si trovava su un terreno assai scivoloso: l’intuito gli diceva che il suo uomo ne sapeva molto più di lui in materia, anzi a dire il vero, in quel momento, non avrebbe neppure saputo a quale legge mettere mano per verificare se fosse o meno in presenza di un illecito.<br />
“Tabacco lei dice?” chiese il tenente prendendo la scatola cilindrica sulla quale stava la balena sospesa tra mare e cielo che tanto aveva ammirato poco prima. “Vediamo , Oriental n. 1 , vediamo un po’” proseguì a dire, togliendo il tappo bianco dalla sommità e infilando il dito nell’anello metallico attaccato alla sottile striscia di alluminio che sigillando la latta, ne garantiva il sottovuoto. L’attimo esatto in cui strappò l’ermetica chiusura fu il solo, durante quel colloquio, in cui De Robertis distolse lo sguardo , girando bruscamente la testa alla sua destra, chiudendo gli occhi, sentendosi lacerare i timpani da quella profanazione; avrebbe preferito essere schiaffeggiato: aveva comprato quella l atta di tabacco per conservarla così com’era , per la sua vecchiaia.<br />
L’odore degli orientali invase la stanza , e le narici della prepotenza burocratica investigarono l’odore acetico dei virginia Mc Clelland .<br />
<br />
<div style="text-align: center;">
II</div>
<br />
“Tu mi devi spiegare, quale ragione ti spinge a comprare tutto questo tabacco, capisco che sia introvabile nel nostro paese e non nego che sia squisito, ma se non te lo fumi, che lo compri a fare?” gli chiese il suo perplesso collega di vizio , al quale aveva appena narrato la sua disavventura in dogana .<br />
“Eh…” sopirò, ridacchiando sotto i baffi De Robertis , riassestando gli occhiali sul naso, con l’aria di chi debba per l’ennesima volta spiegare l’ovvio a un mentecatto, “vedi caro Pino, il punto non è tanto fumare, ma saper cogliere l’intero spettro di sapori che quasi sinfonicamente il tabacco è capace di offrire e, soprattutto, bisogna saper imparare la pazienza, per farlo invecchiare; quando è invecchiato , e il virginia ha sviluppato i suoi zuccheri, allora si che diventa una fumata de gna di essere fatta e ricordata; magari tramandata, chissà…”, replicò sibillino , mentre Pino si chiedeva muto a chi potesse essere tramandata una fumata memorabile.<br />
“Si d’accordo, posso anche comprendere, ma tutti questi tabacchi che compri oggi quando li fumerai, tra trent’anni?”, fu il suo unico sussulto.<br />
“No, non tutti almeno; ma l’obbiettivo è di fumare tabacchi che abbiano un invecchiamento medio di almeno otto anni” fu la conclusione del ragionamento del De Robertis .<br />
‘Invecchiamento medio?’ parve domandare il silenzioso arcuarsi del sopracciglio destro di Pino.<br />
‘ Medio ’ confermò l’immobile sguardo ieratico di Gaetano , senza dire parola, che aveva perfettamente decifrato l’irsuto punto di domanda dell’altro .<br />
“E se morissi prima di quel termine, per così dire ‘medio’?” insinuò tentatore Pino , tornando per primo a far uso dell’organo deputato alla parola.<br />
“Se sarò morto il problema sarà stato definitivamente superato”, concluse assiologico De Robertis .<br />
In effetti l’ultima argomentazione era insuperabile e, d’altro canto, iniziò a pensare a-dialogicamente Pino i soldi erano i suoi, c’era chi li impiegava peggio, lui stesso non sarebbe stato, in verità, in grado di scagliare la prima pietra; se l’avesse fatto, di sicuro, sarebbe stato poi costretto a nascondere, vergognoso, la mano.<br />
Di sicuro non sbagliava a dubitare delle reali motivazioni dell’amico, sebbene non riuscisse a comprenderle appieno. Il fatto era che De Robertis sapeva bene di non vivere nel migliore dei mondi possibili, purtuttavia non perdeva la speranza che ogni monade fosse al suo posto; ogni uomo sente la primordiale necessità di ordinare l’irrazionale caos che lo circonda, di credere che , in fondo, all’interno delle mura domestiche tutto sia a posto e proceda secondo i piani ; quali poi , restava un mistero.<br />
Ecco, per Gaetano De Robertis il tabacco aveva quell’inespresso scopo, e se proprio non riusciva a pacificarlo del tutto, poteva, alla fin dei conti, consolarlo, quale estremo rimedio.<br />
“Ma non hai paura che il tabacco ammuffisca o vada rovinato?” fu l’ultimo inutile tentativo di Pino.<br />
Un bonario sorriso aleggiò sul volto di De Robertis , mentre pensava a quante volte aveva già spiegato come conservasse il tabacco dentro i bormioli , una volta aperto, proprio a scongiurare quegli accidenti; peraltro, era la minima parte, quello che andava via via fumando, poiché quello posto realmente a invecchiare si guardava bene dall’aprirlo, di privarlo del suo originario sottovuoto.<br />
“No”, si limitò a dire, riassumendo , nella più semplice e breve negazione che consentisse il linguaggio, tutti passati dialoghi con l’amico: con un po’ di fortuna la memoria avrebbe fatto il resto.<br />
“Sia!”, s’arrese Pino, “ma io non vedo altro che accumulazione: rinunzi a cogliere la bellezza dell’attimo, a intimargli di fermarsi, mentre non c’è altro che accumulazione nel tuo progetto, la paura ch e tutto possa sfumare, cosa che, oltretutto, sarebbe in ogni caso la più logica conseguenza. Certo, tu sosterrai che la stai preparando la venuta dell’attimo indimenticabile, ma intanto la procrastini, col rischio che l’unico concreto risultato che tu possa ottenere sia solo l’indurimento della tua anima . E poi, cos’è questo tempo durante il quale invecchia il tuo tabacco, lo puoi forse toccare, a stento lo possiamo pensare.”<br />
“Su, non perdere la tua dignità così, il tempo è un fatto ” lo rimproverò bonario De Robertis .<br />
“Mi fa specie che un uomo di scienza come te prenda sottogamba quest’argomento; eppure, ti ci sei abbondantemente dovuto affaticare nei tuoi studi universitari. Forse il desiderio di accumulazione s i è fatto così potente da … ma lasciamo andare , se è vero che il tempo è relativo, dovrà essere pur vero che lo è anche il modo in cui si sceglie d’impiegarlo. ”<br />
<div style="text-align: center;">
III</div>
<div style="text-align: center;">
<br /></div>
Soddisfatto della fumata e della conversazione, lasciato l’amico a finire di fumare e pagare il conto delle innumerevoli birre , De Robertis s’era ritrovato in pochi minuti nel suo studio, circondato dagli innumerevoli raccoglitori, i quali invec e di accogliere premurosi al loro interno fascicoli di lavoro , erano divenuti il ricovero di latte di ogni genere di tabacco , accuratamente separato e classificato per genere, specie e sotto specie .<br />
Lo sguardo di De Robertis si posò sulla scrivania dove lo attendevano le latte comprate in mattinata, iniziando a collocare mentalmente ogni latta nel suo futuro scomparto. Lo sguardo indugiò un attimo sulla scatola di Orientali n. 1 che la prepotenza poliziesca aveva violato; poco male: avrebbe fumato quel tabacco nelle settimane seguenti , rimediando con un’altra per l’invecchiamento. Quella sera, però, era dedicata a un’occasione speciale, attesa ormai da tanti anni, l’apertura del Christmas Cheer ormai posto a invecchiare da quindici anni esatti, proprio quel giorno la latta compiva il suo genetliaco .<br />
Liberata la scrivania da ogni ingombro, De Robertis con crescente eccitazione tolse il coperchio di plastica posto alla sommità della latta di tabacco e, non senza esitazione, infilò l’indice destro nell’anello d’alluminio, tirando il quale avrebbe abbattuto le ultime mura che difendevano ancora il tabacco. Chiudendo per un attimo gli occhi pensò a quegli ultimi anni trascorsi e, zac!, un incalcolabile istante dopo il profumo del tabacco, prepotentemente, aveva già invaso tutta la stanza. Infilò immediatamente il naso all’interno del contenitore, a sincerarsi che quello che sentiva fosse effettivamente l’odore che aveva percepito, inalando profondamente dalle narici. Si, riconosceva il consueto odore acetico di quella selezione di scuri virginia, ma dopo quindici anni l’odore s’era fatto più dolce, morbido. Sempre con gli occhi chiusi, più volte allontan ò e rimmerse il naso nella latta a sincerarsi della infinità di sfumature che promanavano. Su un bianco foglio di carta versò una carica di tabacco, esaminandone con attenzione il colore: il più grosso di quelle irregolari scaglie di flake era di una scurezza mai vista, tanto da far maggiormente risaltare il lucore cristallino dello zucchero che affioravano sul dorso. Lo finì di sbriciolare lentamente, annusando, di tanto in tanto, il pezzo che aveva ogni volta in mano, chiedendosi se non fosse stato più opportuno attendere ancora qualche anno. Caricata la pipa , una Ardor dalla forma comunemente definita lovat , con la più lieve pressione del dito , pigiò involontariamente con la stessa delicatezza il telecomando del suo stereo, e le note di un pianoforte diffusero la prima mazurka di Chopin.<br />
Acceso il fiammifero lo avvicinò con esasperante lentezza ve rso il centro del fornello, attendendo si vedere il tabacco gonfiarsi, quando squillò il telefono.<br />
‘Cazzo il telefono! Mi sono dimenticato di spegnerlo’ pensò De Robertis , allontanando la fiamma dal tabacco che già tendeva a rialzarsi e gettando il fiammifero nervosamente nel posacenere.<br />
“Pronto.”<br />
“ Buonasera ingegnere, sono io, scusi se la disturbo a casa a quest’ora” rispose la voce incerta dall’altro capo del telefono.<br />
“Io chi?”<br />
“Mi perdoni, sono Antonello, abbiamo un grosso problema col sistema di sicurezza e francamente non so dove mettere le mani.”<br />
“Mi dica tutto” rispose rassegnato De Robertis che, dopo aver posato la pipa, era stato costretto a far tacere anche Chopin.<br />
“Beh, insomma il problema è questo…” Il problema era serio, ma non tanto da impedire a De Robertis di lanciare qualche triste occhiata alla pipa, abbandonata sulla scrivania e di pensare che mentre loro due parlavano , il tabacco s’asciugava dentro la pipa, che l’atmosfera , la liturgia, era stata infranta e chissà se avrebbe saputo ricrearla. Guidava seccamente, con ordini più che consigli, quel giovane e inesperto collega attraverso il dedalo del linguaggio binario, sperando che la questione finisse velocemente, occhieggiando di tanto in tanto le lancette dell’orologio; ma le lancette sembravano ferme, le parole del collega gli arrivavano lentissime, quasi sospese immobili nell’aria .<br />
Non fu cosa lunga, non più di mezzora, che all’ingegnere parve una vita intera, quindici anni di attesa, per la precisione.<br />
<br />
Terminata la telefonata, De Robertis si premurò di spegnere il telefono cellulare e di staccare la linea del fisso prima di prendere nuovamente in mano la pipa . Dimenticandosi di Chopin per la prima volta in vita sua, sfregò nuovamente il fiammifero e l’avvicinò cauto al tabacco che prese a brillare rossastro , gonfiandosi orgoglioso, mentre le mascelle di De Robertis si serravano per il piacere e un brivido gli percorreva la spina dorsale.<br />
Avvolto da un’azzurrognola sci a di fumo, si ricordò di Chopin, con un sorriso , e pigiando il tasto di avvio dello stereo; pensò che tutto sommato qualche piccolo imprevisto non sarebbe riuscito a rovinargli la festa . D opo qualche secondo, il campanello di casa irruppe in scena .<br />
Imbufalito De Robertis andò ad aprire con la pipa in bocca, deciso a non farsi interrompere da nessuno a qualsiasi costo.<br />
“Chi è?” chiese circospetto attraverso al porta.<br />
“Amici” rimandò l’acuta e ben nota voce di Antonio, uno dei suoi più cari amici.<br />
“Anto’, che cazzo ci fai qua?” chiese sempre più perplesso De Robertis , aprendo la porta, in mezzo alla quale venne a troneggiare la statura fuori dall’ordinario dell’amico.<br />
“Sono venuto a prenderti, piglia la giacca” lo salutò l’amico.<br />
“Eh?”<br />
“Le nostre care consorti si sono incontrate nel pomeriggio, durante lo shopping e hanno organizzato per noi una cenetta con i fiocchi a casa mia. T’abbiamo voluto fare una sorpresa e, così, eccomi qua a prenderti: servizio a domicilio” proseguì sempre più ilare Antonio.<br />
“Ma io, la pipa…” farfugliò De Robertis .<br />
“La pipa la puoi portare, anche se io non l’ho mai capito questo tuo vizio , molto costoso oltretutto ” , concluse Antonio, mettendo tra le braccia dell’amico la giacca che nel frattempo aveva preso dall’appendiabiti. Posata la pipa, mesto, Gaetano De Robertis seguì l’amico, consolandosi al pensiero che al ritorno la fumata sarebbe stata comunque meravigliosa, forse migliore addirittura ; chi non sapeva, infatti , che col virginia non c’è meglio di una bella ‘fumata tanticra ’: acce ndere la pipa lasciarla spegnere e riprenderla solo l’indomani , era una delle cose più gustose che avesse mai sperimentato. E poi rimaneva tutt’intera la latta ancora da fumare, da centel linare per mesi, anni forse: una fumata al mese, una ogni trimestre ; meglio si, una ogni trimestre, se ne sarebbe ricordato di quella latta.<br />
<br />
<div style="text-align: center;">
IV</div>
<br />
“Insomma non si ricorda altro?” chiese asciutto e professionale il maresciallo dei carabinieri. De Robertis scosse la testa in senso negativo, guardandosi la punta delle scarpe.<br />
“Allora” proseguì il maresciallo “le rileggo la denuncia: mi trovavo a cena a casa di amici, quando sono rientrato a casa insieme a mia moglie abbiamo notato che la porta di casa era aperta. La serratura della porta è risultata essere stata forzata. Ignoti, erano entrati nella summenzionata abitazione e avevano asportato i seguenti beni…” . I l maresciallo iniziò la litania dell’elenco degli oggetti del furto, che il derubato ascoltava passivamente col capo sempre più chino, come sopraffatto da un macigno.<br />
“ Un computer marca Apple, due fascicolatori a tre cassetti co ntenenti i seguenti tabacchi”: i l nome di ogni singolo tabacco rubato una coltellata al cuore; di ognuno De Robertis sapeva quando e dove l’aveva comprato, in che valuta, in compagnia di chi fosse e quando fosse prevista la sua degustazione.<br />
Una profonda malinconia, un vero e proprio sentimento di irredimibile infelicità lo vincevano, nell’udire i nomi delle pipe rubate, dei tabacchi, poco prima elencati da lui stesso con incredibile sforzo di volontà. Non era rimasto nulla: libri, dischi, pipe, tabacchi; proprio nulla , a parte i mobili .<br />
Poco importava dei libri o dei dischi, li avrebbe ricomprati, o forse no, in fondo li aveva già letti e ascoltati; ma il tabacco no, coincideva con l’esatto trascorrere della sua vita, quello era invecchiato con lui: era il suo capolavoro, la sua opera più difficile, proprio perché la più paziente. Era certo vero che non aveva fatto null’altro che aspettare, ma era esattamente quel vincere la tentazione, domare la sua libidine con un atto consapevole e titanico di volontà a rappresentare quant o di più umano e al tempo stesso disumano potesse essere un innocuo vizio . L’invecchiamento non era un’opera del tempo ma della sua volontà che aveva saputo resistere, che merito aveva il tempo?<br />
Il tempo, già! , Anni d’attesa, racchiusi in quei barattoli, che avrebbero potuto rinnovarsi nel futuro, avere un senso una direzione ben precisa, erano svaniti in poche ore , sicuramente destinati a essere abbandonati in qualche discarica, una volta che i ladri si fossero avveduti qual era il reale contenuto di quegli ermetici contenitori ; forse, proprio l’accuratezza con cui erano chiusi, li aveva indotti a caricarsi quel peso così inutile per loro.<br />
Solo u n miracolo poteva salvarlo, p ensò , disperato De Robertis : l’idea folle che il tempo non fosse un semplice fatto, come gli suggerivano gli stessi pensieri che in quei momenti andava elaborando , ma che fosse veramente relativo. Forse un giorno avrebbe trovato una curvatura nello spazio , per un atto di pietà cosmica, che gli avrebbe reso il suo tempo passato e con esso i suoi tabacchi, i suoi anni d’attesa , la sua stessa vita .<br />
<br />
“Infine, una latta rossa appena aperta di Christmas Cheer e una pipa marca Ardor, modello lovat . Si scrive senza ‘acca’ lovat , vero ingegnere?”<br />
<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg1ft96A7YCcJxkeaP8o_SGu3rqgI4Pa6PESYgQPLePX8007XY1MxZ6L_PTPM14Zzcdnth4HLqK0B68XrF08FlxOuvdIBYAPx9tCnr52MYA9LomvDpeA2GC0dUyUmCDPpBN6AjYP07937s/s1600/december-2013-pipe-guys-pick.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="448" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg1ft96A7YCcJxkeaP8o_SGu3rqgI4Pa6PESYgQPLePX8007XY1MxZ6L_PTPM14Zzcdnth4HLqK0B68XrF08FlxOuvdIBYAPx9tCnr52MYA9LomvDpeA2GC0dUyUmCDPpBN6AjYP07937s/s640/december-2013-pipe-guys-pick.jpg" width="640" /></a></div>
gmrobertohttp://www.blogger.com/profile/07424458071749974883noreply@blogger.com0